Il suo impiego, a Filago (BG) o a Vado Ligure, è stato fondamentale.
Il motivo per cui, in un venerdì di fine febbraio, oltre 200
persone sono accorse ad ascoltare Crosignani -già Primario della U.O.
Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale presso l’Istituto Nazionale
dei Tumori di Milano, e ideatore del Progetto Occam - Occupational
Cancer Monitoring - Sistema Informativo Sui Tumori Di Origine
Professionale- è riassunto in due parole:
indagine epidemiologica.
Del resto, la provincia di Lecco, pur ospitando dai primi anni 80 un
inceneritore, non ne ha mai misurato le ricadute e gli effetti. Ed è per
questo che quando la società che gestisce il ciclo dei rifiuti -SILEA
Spa, 100% partecipata dai Comuni- ha chiesto e ottenuto da Regione
Lombardia il via libera ad operare al massimo carico termico, pari a
123mila tonnellate di rifiuti bruciati all’anno, è nato un
coordinamento locale di associazioni ispirato alla teoria “Rifiuti zero”.
Chiarezza e trasparenza in materia di salute pubblica sono i punti
che il giovane coordinamento condivide con quei comitati cittadini sorti
negli anni contro i 44 forni esistenti nel Paese o i 9 derivanti dal
decreto Sblocca-Italia del Governo. Per ottenenerle, è necessario
seguire le impronte care al professor Crosignani -anche se
l'amministrazione comunale di Civate, dopo un primo accordo, ha fatto
retromarcia sulla nomina dell'epidemiologo quale perito di parte nelle
fasi dell'indagine che vorrebbe condurre direttamente SILEA Spa-.
Professore, che cosa si intende per indagine epidemiologica?
L'indagine epidemiologica è ciò che serve per fare una misura
diretta degli effetti sulla salute da parte di una sorgente qualsiasi.
Che può essere lineare -come il traffico- oppure puntuale -un
inceneritore, un cementificio o quant'altro-.
Come si sviluppa?
Si comincia a guardare un insieme di patologie di cui occuparsi.
Per mia esperienza, i tumori non sono la prima patologia da considerare,
perché presentano sino a vent'anni di latenza. Vogliamo aspettare
vent'anni per misurare gli effetti sulla salute o vogliamo fare qualcosa
che ci dia risposte rapide? Faccio l'esempio di Rezzato, con il cementificio di Italcementi, o Vado Ligure, dove la nostra indagine ha comportato il blocco della centrale a carbone di Tirreno Power, o a Filago, dove sorge un forno inceneritore.
In questi casi abbiamo analizzato gli eventi acuti, probabilmente meno
coinvolgenti rispetto all'incidenza dei tumori, che però non escludono
assolutamente un approfondimento sui fattori cronici. Per eventi acuti
intendiamo, ad esempio, ricoveri per infarto, malattie polmonari,
influenza e polmonite, asma e così via. Concentrarsi sugli eventi acuti
restituisce l'idea di quel che accade a livello di emissioni oggi.
Misuriamo oggi quel che si può misurare oggi.
Dopodiché?
Si realizza uno studio caso-controllo che considera gli eventi ed
un campione della popolazione sana, e si procede ad analizzare le aree
dove si concentrano le maggiori ricadute per verificare se e come oggi
vi siano più ricoveri e più eventi.
Esistono alternative a questo tipo di indagine?
Come alternativa all'indagine epidemiologica viene presentato uno
strumento privo di fondamento scientifico quando siamo interessati alle
emissioni di una sorgente complessa, che è l'operazione chiamata "Risk assessment"
(RA), sostenuta anche dalle parti di Regione Lombardia. Questo consiste
nell'analisi delle emissioni di un impianto utilizzando degli
equivalenti di effetti sulla salute a seconda delle sostanze considerate
(es. gli ossidi di azoto). Faccio un esempio: se in una determinata
area dovessero registrarsi cinque microgrammi in più di ossido di azoto,
allora ci si dovrebbe attendere due ricoveri in più per asma.
Tralasciamo per un istante il coacervo di sostanze che fuoriesce da un
impianto e che non è nemmeno preso in considerazione -come ha
recentemente illustrato Medicina Democratica, e in particolare il dottor
Marco Caldiroli-, in base ad un'operazione di Risk assessment basterebbe considerare pochi inquinanti per produrre calcoli dagli effetti sulla salute trascurabili.
Ricordo che Regione Lombardia consiglia il RA, ma non esclude l’indagine epidemiologica. Guardando il RA del cementificio di Calusco d'Adda
si può notare che il potere cancerogeno del particolato è pari a
zero. Ciò lascia perplessi in quanto risale a un anno e mezzo fa la
presa di posizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che
riconosce il PM10 come cancerogeno, dando anche
equivalenti precisi (aumento dell'8% in più del tumore al polmone per
ogni 10 microgrammi/metro cubo a lungo termine).
Quali altri fattori minano la riuscita di un’indagine?
Proseguo in quella che io chiamo la sagra dell'ovvio: le emissioni
di un impianto non tengono conto dei confini amministrativi. Faccio
l'esempio del cementificio di Mazzano Rezzato (BS) e delle aree di alto,
medio e basso valore di emissioni. Fino ad ora che cosa hanno fatto le
ASL? Hanno fornito i dati di cui erano in possesso, su mortalità, tumori
o incidenza dei ricoveri a livello comunale. Prendendo quei dati per
singolo Comune, ovviamente, si mettevano insieme persone esposte e non
esposte ottenendo così la famosa media di Trilussa. Tradotto, non si
vedeva niente. Tant'è vero che i pareri dell'ASL, in assoluta buona
fede, non riscontravano alcuna anomalia. Quando, in due mesi, abbiamo
fatto lo studio epidemiologico andando a cercare in maniera più
approfondita se vi fossero più ricoveri nelle aree esposte rispetto a
quelle meno esposte, abbiamo scoperto che per i bambini avevamo
all'incirca il 9% in più di ricoveri nella zona a più elevata
esposizione e il 6,7% in più per la zona intermedia rispetto all'altra
esposizione.

(la divisione dell'area circostante il cementificio di Rezzato-Mazzano, nel bresciano, in base al livello di esposizione)
Dunque il primo degli ingredienti per uno studio epidemiologico è
la considerazione di un'area grossa, in modo tale da poterla dividere
nei gradienti di ricaduta che ho illustrato prima e considerare -in
quelli che chiamo appunto le impronte digitali- i fattori di contesto
(strade a grosso traffico, ad esempio). Nel caso del cementificio di
Italcementi, lo studio ha fatto sì che la ditta rinunciasse al raddoppio
della potenza dell'impianto così come voleva e portasse importanti
modifiche agli impianti.
Che ruolo ricoprono i sindaci in tutto questo?
Non dimentichiamoci che i sindaci sono i principali responsabili
della salute dei propri concittadini. L'ho provato nel caso di Bergamo,
quando mi ha contattato un amministratore particolarmente sensibile. Si
partì con lo studio delle mappe delle ricadute messe a disposizione dal
gestore del forno inceneritore di rifiuti speciali di Filago (di
proprietà di A2A). Come prima cosa si vide che le ricadute interessavano
soprattutto il Comune confinante, Madone, sul quale non insisteva
l'impianto. Quello che abbiamo fatto è stato esaminare i ricoveri dei
bambini residenti nelle diverse zone. I risultati hanno visto i bambini
residenti nelle zone ad esposizione massima -numericamente pochi- con 2
volte e mezza la probabilità di ammalarsi e di finire in ospedale
rispetto agli altri. E quasi tutti ricadevano in Madone, che
paradossalmente non riceveva nemmeno l’indennizzo per la presenza fisica
del forno essendo fuori dai confini amministrativi. Tuttavia, le
conclusioni dell'ASL furono diverse. A quel punto il sindaco ha portato
tutto il fascicolo all'attenzione della competente Procura della
Repubblica con l'accusa rivolta verso ignoti per lesioni gravissime.
Risultato: la Procura ha disposto nuove indagini, e le conclusioni sono
cambiate.
Lo studio degli effetti acuti ne esclude altri?
Il mio punto di vista -che ho applicato a Filago, a Mazzano e a
Vado Ligure- è che gli effetti acuti possano costituire la principale
avvisaglia anche di effetti letali. Ma è fondamentale procedere subito
con studi veloci, basati sulle mappe delle ricadute, senza per questo
rinunciare successivamente a valutazioni più complesse e di più lungo
periodo, com'è stata quella condotta a proposito dell'inceneritore di
Vercelli. Proporre uno studio”di coorte” come primo approccio non è
sensato sia perché il tempo e le risorse per completarlo sono molto più
grandi, sia perché uno studio caso-controllo, come quelli che ho
realizzato, è un modo più efficiente di condurre uno studio di coorte.
Un'indagine epidemiologica quindi si fa, rapidamente, e quando fosse
negativa dovrà essere valutata con molta attenzione, a partire dalle
mappe di ricaduta e da chi le predispone.
L'epidemiologia non è una panacea ma uno strumento molto delicato. Sarebbe molto bello se fosse uno strumento partecipato. C'è
un bellissimo modello da questo punto di vista. C'è un'industria
americana che ha pesantemente inquinato di sostanze perfluoroalchiliche
tutta la falda. Il giudice ha imposto all'azienda di fare l'indagine,
sobbarcandosi i costi, ma gli esperti sono stati scelti dalla comunità.
fonte: http://www.altreconomia.it