Il riciclo della gomma diventa arte negli scatti di Daniele Tamagni

















La mostra voluta da Ecopneus dall'11 dicembre presso lo Spazio Solferino a Milano. E' “Materiale-Valore-Immateriale. Reinterpretare il riciclo della gomma"
Da rifiuto a riuso, recupero, riciclo della materia; da brutto a bello. E' il tema al centro della mostra, voluta da Ecopneus, “Materiale-Valore-Immateriale. Reinterpretare il riciclo della gomma" che esporrà, a partire dall'11 dicembre presso lo Spazio Solferino a Milano, gli scatti di Daniele Tamagni, vincitore del World Press Photo 2011.
Un viaggio per immagini nel riciclo della gomma, per comunicare la sostenibilità ambientale ma anche i risvolti sociali ed economici della sua attività di “circular economy”: il recupero e il riciclo di quasi 250mila tonnellate di Pneumatici Fuori Uso ogni anno; un valore per la comunità, per l’ambiente e per l’intero Paese.

fonte: http://www.earthday.it/

Stefano Vignaroli: "Personaggio Ambiente Italia" del 2014


Sono molto felice di annunciarvi che Stefano Vignaroli è stato candidato come "Personaggio Ambiente Italia" del 2014. E' stato scelto per il suo impegno parlamentare e per essere riuscito a far approvare quest'anno due importanti emendamenti all'interno del collegato ambientale sull'introduzione del vuoto a rendere e sul potere calorifero dei rifiuti. Stefano è il vicepresidente della Commissione bicamerale d'inchiesta per il ciclo illecito dei rifiuti e lotta da anni per la difesa del territorio e dell'ambiente. Sono davvero contento che il suo impegno sia stato riconosciuto. Se volete, potete votarlo qui www.personaggioambiente.it . In bocca al lupo!

L'Italia del Riciclo: aumentano imprese e occupazione, 34 miliardi di fatturato

L'Italia dei rifiuti genera più occupazione e aziende in crescita: negli ultimi 5 anni le imprese del settore della gestione della spazzatura sono aumentate del 10%, di queste il 94% fanno attività di recupero, ed i posti di lavoro registrano un incremento del 13%, mentre il fatturato del recupero dei rifiuti sfiora i 34 miliardi
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Un'industria della green economy, quella della gestione dei rifiuti, è cresciuta negli ultimi 5 anni: sono aumentati il numero di addetti (+13%) e di aziende (+10%), il 94% delle quali svolge attività di recupero. E' questa la fotografia scattata dal rapporto 'L'Italia del riciclo' 2014, promosso e realizzato da Fise Unire (l'Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti) e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Secondo il report resta preponderante il numero delle piccole imprese, aumentano le società di capitali e cala il peso delle ditte individuali. Nonostante "l'impatto della crisi dei mercati internazionali e dei consumi, l'incertezza del quadro normativo e l'inadeguatezza dei mercati di sbocco delle materie riciclate", continua a crescere il riciclo degli imballaggi (più 1% nel 2013 rispetto all'anno precedente) che sostiene settori industriali (siderurgia, mobili, carta, vetro) strategici per il nostro Paese.

Oltre il 68% dei nostri imballaggi viene avviato a riciclo, con un miglioramento delle performance delle filiere alluminio, carta, legno, plastica e vetro. E - spiega lo studio - sarebbero "notevoli i margini di ulteriore sviluppo con un quadro normativo più chiaro e omogeneo". Secondo il rapporto "il valore aggiunto generato in totale ammonta a circa 8 miliardi di euro", cioè "oltre mezzo punto di Pil".

Le imprese che in Italia fanno attività di recupero dei rifiuti sono in tutto oltre 9000, soprattutto micro-aziende con meno di 10 addetti. La crescita sia delle imprese che del numero di occupari - viene spiegato - "a fronte di un andamento generale negativo per il manifatturiero, si può considerare una manifestazione concreta del processo di transizione verso la green economy". Il riciclo degli imballaggi cresce dell'1%: 7,6 milioni di tonnellate contro le 7,5 del 2012. L'incremento c'è in tutte le filiere con punte d'eccellenza nel tasso di riciclo, per esempio, di carta (86%), acciaio (74%) e vetro (65%).

Risultati altalenanti registrano le altre filiere. In particolare sono in calo i materiali ottenuti da bonifica e demolizione di veicoli fuori uso e la raccolta pro-capite media nazionale di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. C'è molto spazio di miglioramento per la raccolta dei tessili. "Proprio in considerazione delle dimensioni di queste imprese - evidenzia Anselmo Calò, presidente di Unire - le profonde carenze ed inefficienze che affliggono il settore, a livello soprattutto normativo ed amministrativo, sono ancora più difficili da sopportare". Per Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, "il riciclo dei rifiuti in Italia potrebbe crescere con norme più chiare", tra cui un decreto ministeriale per la classificazione dei rifiuti. Infine è "indispensabile scoraggiare il ricorso allo smaltimento in discarica".

Corretta gestione rifiuti,risparmio 600 mld e meno gas serra
Un ulteriore risparmio di 600 miliardi di euro e una riduzione delle emissioni di gas serra tra il 2 e il 4%. Questa la stima - riportata dal rapporto di Fise Unire e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, 'L'Italia del riciclo' 2014 - che la ricetta sulla 'prevenzione dei rifiuti' potrebbe portare a livello nazionale ed europeo guardando alle prospettive di crescita per il settore del riciclaggio. Secondo il report "il conseguimento dei nuovi obiettivi in materia di rifiuti creerebbe circa 600.000 nuovi posti di lavoro, rendendo l'Europa più competitiva e riducendo la domanda di risorse scarse e costose". Le misure proposte, che consentirebbero peraltro di ridurre l'impatto ambientale, prevedono "il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell'80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030 e, a partire dal 2025, il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili".

fonte: www.ecodallecitta.it

Ambiente, M5S: "Il Ministero ammette la firma decennale con Sogesid”


 
Roma, 5 dicembre 2014 - In poche parole: la Sogesid è necessaria al ministero dell'Ambiente perchè nel tempo esso è stato depauperato di forza lavoro e tecnici. Sarà utilizzata per il periodo strettamente necessario. Parola del ministero dell'Ambiente che ha risposto così a una interrogazione del M5S (prima firma del deputato, vicepresidente della Commissione Ambiente, Massimo De Rosa) sull'accordo appena sottoscritto.

Un accordo tra Ministero e Sogesid della durata di dieci anni: «Sarebbe questo il tempo strettamente necessario? - dice De Rosa - Si fanno accordi con Sogesid perchè il ministero ha subito tagli al personale: è un'ammissione incredibile da parte del ministero. E così facendo sta esternalizzando i suoi compiti spendendo milioni di euro in consulenze».
Il ministero ha confermato l'esistenza dell'accordo sostenendo che darà "più trasparenza ai rapporti con Sogesid". «Ma ci chiediamo - conclude De Rosa - come è stata gestita finora la società che muove milioni di euro di soldi pubblici e che subappalta lavori molto importanti per l'intero Paese senza procedure chiare. Ricordiamo che dal 2008 al 2011 la Sogesid ha assorbito dal Ministero 426 milioni di euro attivando 1600 consulenze per 35 milioni di euro. Conseguenza di questi soldi? Basta vedere quante bonifiche sono state realizzate». 

fonte: m5s parlamento

L’apocalisse del neoliberismo di Padre Alex Zanotelli

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“Vidi una bestia salire dal mare …”. È con queste parole che il profeta dell’Apocalisse descrive l’Impero Romano alla fine del primo secolo. Le stesse parole le userei per le nuove bestie che appaiono all’orizzonte: il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, nell’acronimo inglese T-tip e l’Accordo per il Commercio dei servizi, nell’acronimo inglese Tisa. Due trattati pericolosissimi, purtroppo poco conosciuti dal grande pubblico, perché porteranno alla privatizzazione dei servizi.
Il T-tip creerà la più grande area mondiale di libero scambio fra le economie degli Usa e della Ue, che rappresentano metà del Pil mondiale e il 45 per cento dei flussi commerciali. Le trattative per creare il T-tip sono partite in tutta segretezza nel luglio 2013 a Washington e sono condotte da pochi esperti della Commissione europea e del ministero del Commercio Usa. Obama vuole firmare il Trattato entro il 2015.
“Il Trattato più importante del mondo”, proclama il Sole 24 ore. Lo è infatti per i poteri economico-finanziari mondiali. Secondo De Gucht, commissario per il commercio Ue, il Trattato offrirà all’Europa due milioni di posti di lavoro in più, 119 miliardi di euro di Pil che equivale a 545 euro in più all’anno per ogni famiglia. Per di più, ci sarà un incremento del 28 per cento delle vendite di prodotti europei negli Usa e dell’1 per cento del Pil, nel giro di dieci anni. La realtà, invece , è tutt’altra! Il T-tip è un negoziato stipulato senza la partecipazione dei cittadini. È un vero e proprio golpe da parte dei poteri economico-finanziari che governano il pianeta. È la vittoria delle lobby (multinazionali e banche), che hanno a Bruxelles quindicimila agenti e tredicimila a Washington, stipendiati a fare pressione sulle istituzioni.
Protestors against the EU-US Transatlantic Trade and Investment Partnership in Brighton. Photograph:
Il Trattato indebolisce il principio di precauzione vigente in Europa in relazione ai nuovi prodotti, elimina le sanzioni in caso di abusi relativi ai diritti sociali e ambientali, mira a una progressiva privatizzazione di tutti i servizi pubblici, a sottomettere gli Stati a una nuova legislazione a misura di multinazionali ed infine trasferisce la risoluzione delle controversie tra imprese private e poteri pubblici a strutture di arbitrato privato tramite il cosidetto Isds (Individual State Dispute Settlement)”. Questa è una rivoluzione nelle procedure usate per risolvere i contenziosi tra privati e Stati”, dice Marcello de Cecco su La Repubblica, un quotidiano che spesso sulle sue pagine inneggia al Trattato. E continua: ”È un’innovazione giuridica che serve a limitare drasticamente la sovranità degli stati, favorendo le grandi multinazionali”.
Il Trattato inoltre avrà pesanti ricadute sul mondo del lavoro aggirando le norme del diritto dei lavoratori proclamato dall’Ilo svuotando le normative per la protezione dei lavoratori, ma anche ridimensionando il diritto di contrattazione collettivo. Quest’area di libero scambio Usa -Ue, creata dal T-tip, sarà protetta dalla Nato, che peraltro già investe 1.000 miliardi di dollari all’anno in armi!
L’altra Bestia, ancora più minacciosa della prima, è il Tisa (Trade in Services Agreement) – Accordo per il Commercio dei servizi. Il settore dei servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70 per cento del prodotto interno lordo: solo negli Usa rappresenta il 75 per cento dell’economia e genera l’80 per cento dei posti di lavoro nel settore privato. Su questo ghiotto bottino, i rappresentanti di una cinquantina di Stati (Ue, Usa, Canada, Australia, Giappone…) si stanno ritrovando in totale segretezza nell’ambasciata australiana a Ginevra, dal 15 febbraio 2012 per un accordo sul “commercio dei servizi”(sic!). Si è venuti a conoscenza di questo grazie a Wikileaks. I testi dell’accordo rimangono segreti. Scopo fondamentale di questo accordo è accelerare la privatizzazione di tutti i servizi pubblici e impedire qualsiasi forma di riappropriazione pubblica di un’attività privatizzata(sic!). Il Tisa impedirebbe i monopoli pubblici (educazione nazionale) e i fornitori esclusivi di servizi anche a livello regionale e locale (per esempio le minicipalizzate per i servizi idrici).
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Tutto questo avviene nel più totale silenzio, anzi con l’impegno degli stati a non rivelare nulla di questa trattativa fino a cinque anni dopo la sua approvazione. Anche con il Tisa, i governi vorrebbero concludere le trattative entro il 2015.
Come cittadini non possiamo accettare l’arrivo di queste Bestie che consegneranno l’Europa e il mondo alle logiche del mercato. “È l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria”, che papa Francesco bolla con tanta forza. Solo una vasta protesta di massa in tutta Europa potrà sgominare il T-tip e il Tisa. Nel 1998 noi europei siamo riusciti a sconfiggere il Mai (Accordo multilaterale sugli Investimenti), che è quasi la copia del T-tip. Abbiamo vinto dicendo Mai al Mai! Possiamo fare altrettanto con il T-tip e il Tisa.
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Già è in atto una mobilitazione in Italia fatta da un network di un centinaio fra associazioni di consumatori, sindacati e reti agricole con un sito molto informato. (www.stop-ttip-italia.net). I capi di Stato europei sono già preoccupati per la crescente ostilità contro questi Accordi. Ne hanno parlato al vertice del G20 a Brisbane (Australia). E il più convinto sostenitore di questi trattati l’abbiamo in casa. Il governo Renzi.
Carlo Calenda, vice-ministro per lo sviluppo economico nel governo Renzi e responsabile dell’Italia per il T-tip, insiste perfino di includere nel Trattato il controverso meccanismo di risoluzione tra investitori e Stato, il cosidetto Isds, fortemente voluto dagli Usa. “Il T-tip – dice Susan George – è un assalto alla democrazia, alla classe lavoratrice, all’ambiente, alla salute e al benessere della cittadinanza. L’unica risposta possibile dinanzi a questo attacco è alzarsi dal tavolo, chiudere la porta e lasciare la sedia vuota”. È questo quello che chiediamo al governo Renzi.
Mentre alla Conferenza episcopale italiana (Cei) chiediamo di esprimersi su questi Trattati. La commissione degli episcopati della comunità Europea ha sottolineato che il T-tip “solleva una serie di problemi e controversie proprio perché la Chiesa deve far sentire la voce dei più deboli e dei più poveri in Europa e nel mondo, nella misura in cui saranno interessati dall’accordo di libero scambio”. I vescovi europei hanno deciso di preparare un documento per gli eurodeputati. Ma dovranno farlo in fretta se vogliono arrivare in tempo.Perché i vescovi italiani non potrebbero fare lo stesso? Questo darebbe tanta forza alle comunità cristiane, all’associazionismo di ispirazione cristiana a congiungersi con il grande movimento di opposizione a questi trattati. Uniti possiamo farcela!
Ma dobbiamo muoverci perché i poteri forti vogliono chiudere la partita al più presto possibile. Diamoci da fare perché vinca la vita.

Alex Zanotelli

fonte: http://comune-info.net

“Food, il futuro del cibo” secondo il National Geographic

Fino all’1 marzo 2015 in mostra a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, più di 90 scatti del celebre magazine dedicati al tema dell’alimentazione. Dall’impatto dell’agricoltura intensiva sul pianeta allo spreco alimentare. FOTO

 


Jim Richardson, Jessore, Bangladesh. Gli abitanti del villaggio di Jaghati usano una trebbiatrice a pedale per sgranare il riso dalla pianta. Richardson è uno dei fotografi più noti di National Geographic. Credits: Jim Richardson/National Geographic - Info sulla mostra

Buttare un sacchetto di 8 mele perchè una è bacata: le follie che spingono allo spreco di cibo

All'incontro sullo spreco di cibo organizzato dai 5 Stelle di Regione Lombardia, Valter Molinaro (COOP) ha raccontato gli assurdi che in Italia spesso rendono più semplice per la grande distribuzione buttare le eccedenze alimentari, piuttosto che donarle. C'erano anche Pane Quotidiano, Fondazione Banco Alimentare, City Angels e quelli di App Breading
Buttare un sacchetto di 8 mele perchè una è bacata: le follie che spingono allo spreco di cibo
Lo scorso 28 novembre, all’incontro organizzato dall’associazione Guizart e dal Movimento 5 Stelle di Regione Lombardia, presso la Sala Gonfalone del Palazzo Pirelli, i presenti hanno conosciuto meglio alcune importanti realtà di contrasto allo spreco alimentare. Comprese quelle che portano le eccedenze di cibo ai bisognosi, categoria purtroppo in costante aumento quasi ovunque e che, dalle testimonianza di chi opera nel settore, vedono ormai la fascia indigente da aiutare divisa a metà tra immigrati e italiani.

L'incontro "Contro lo spreco alimentare, conosciamo alcuni casi di successo e raccogliamo le proposte da portare direttamente nelle istituzioni”, ha visto aderire Luigi Rossi di Pane Quotidiano, Andrea Giussani della rete di Banco Alimentare, Mario Furlan fondatore dei City Angels, Gabriella Zefferino di App Breading, l’applicazione nata a Bergamo per incrociare domanda e offerta del pane invenduto, e Valter Molinaro, del progetto contro lo spreco "Buon fine", di Coop Lombardia.

Come presidente della Fondazione Banco Alimentare, Andrea Giussani ha ricordato i numeri di questa realtà che si occupa di recuperare alla fonte tonnellate di alimenti che altrimenti andrebbero sprecati, per distribuirli a migliaia di bisognosi. 1,95 milioni di persone aiutate, grazie alla rete di 8898 strutture caritative che distribuiscono il cibo. L’organizzazione del Banco Alimentare è notevole e conta quasi 100 dipendenti, più centinaia di volontari in tutta Italia.

Giussani ha ricordato che è fondamentale distinguere i concetti di “eccedenze alimentari” e di “spreco”, perché il vero problema sono proprio le eccedenze. In Italia ogni anno si producono 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari, per un valore di circa 13 miliardi di euro, ossia 101 kg di cibo e 220 euro di eccedenza a testa. "Di queste sono sprecate (in un ottica sociale), ben 5,5 milioni di tonnellate, pari al 92,5% dell’eccedenza!", ha detto Giussani. Ciò avviene in tutta la filiera agro alimentare (produttori di materie prime, aziende di trasformazione, GDO, grossisti, negozi, hotel, ristoranti e catering), dove le eccedenze di cibo vengono ancora distrutte e smaltite, diventando spreco. “Il nostro compito è incrementare il volume del salvabile, destinandolo al consumo umano”, ha concluso Giussani. Sono 70.000 le tonnellate di cibo, "salvate" dal Banco Alimentare nel 2013.

Valter Molinaro, del progetto "Buon fine" di Coop Lombardia, ha spiegato come purtroppo sia tutto il sistema che in Italia favorisce lo spreco di cibo, anche presso la grande distribuzione organizzata (GDO), spesso a causa di leggi sbagliate. Si dovrebbe rendere più conveniente per la GDO donare le eccedenze alimentari, piuttosto che trasformarle in rifiuto, cosa che in Italia ancora non avviene, nonostante sin dal “Decreto Ronchi” 22/1997 ci sarebbero i presupposti per avere davvero una legge sui rifiuti, che premi chi ne produce meno.

Molinaro, pur ricordando che dati recenti attribuiscono lo spreco alimentare per il 42% alle mura domestiche, e solo per il 5% alla GDO (i produttori sono responsabili per il 39% e la ristorazione per il 14%, da “Il libro nero dello spreco in Italia” di Andrea Segrè, 2011) ha ricordato alcune assurdità cui si assiste in Italia. “Le leggi sono tali per cui una confezione di pasta aperta, un imballo di banane invendute per la buccia puntinata, un retino di 10 mele di cui 1 sola è ammaccata o bacata, sarebbero da destinare a rifiuto". La grande distribuzione non può infatti scartare prodotti e confezioni per selezionare o eliminare le unità danneggiate e riconfezionare il resto, perché così si perderebbe la tracciabilità del singolo alimento, imposta per legge.

Per fortuna, grazie alla famosa legge “del Buon Samaritano” (legge 25/6/03 n. 155), quella che ha fatto nascere Banco Alimentare, questi alimenti si possono donare alle Onlus, da quando esse sono state parificate all’utente finale. "Ma molti ancora non lo fanno", ha spiegato Molinaro, “perché trasformare cibo avanzato in rifiuto costa meno che donarlo”. Questo per le incombenze gestionali e burocratiche che il “donare” richiede.

“Mancano poi benefici economici per contrastare lo spreco, quando la leva migliore sarebbe appunto la tassazione sui rifiuti: ridurla, se uno spreca meno. Spesso mi appello ai Comuni: con una tariffazione puntuale sui rifiuti, forse entrerebbero meno soldi al Bilancio, ma altri si risparmiarebbero per i Servizi Sociali, grazie alle tonnellate di cibo recuperato per gli indigenti....”. Le leggi, inoltre, sono calibrate su donazioni “una tantum”, di quantità ingenti e con uno o pochi soggetti destinatari; non su una gestione capillare, per una distribuzione continuativa delle donazioni (generalmente giornaliera) e per una pluralità di soggetti beneficiari e cedenti ...".

L’altro grande problema è proprio la restrittività della normativa igienico sanitaria, che fa sì, ad esempio, che non possano essere donati prodotti con la data di scadenza superata (da consumarsi entro il ….), mentre potrebbero essere utilizzati prodotti con termine minimo di conservazione (da consumarsi preferibilmente entro il ….).

Tuttavia, grazie al progetto “BUON FINE”, Coop riesce a recuperare cibo in 75 province italiane, in 556 punti vendita. Nel 2013 si sono donate circa 4000 tonn di cibo, per un valore di 22 milioni di euro. A favore di 906 associazioni beneficiarie, per circa 150.000 persone in difficoltà.

Molinaro ha infine spiegato come, grazie ad una partecipazione al PARR (Piano Regionale Riduzione Rifiuti) di Regione Lombardia, sperimentata a Brescia da parte di Coop e da Simply, si sia calcolato in modo preciso lo spreco medio di cibo della grande distribuzione organizzata: 7 kg di cibo sprecato, per ogni mq di superficie espositiva, all’anno. Numeri enormi se si considerano le superfici della GDO che, per gli ipermercati, sono superiori ai 2.500 mq.

L’incontro è stato introdotto dal consigliere regionale 5 Stelle Eugenio Casalino e moderato da Stefano D’Adda, di Eco dalle Città.

fonte: www.ecodallecitta.it 

Una volta per tutte: Basta!!! - Gualdo Cattaneo - Lunedi 15 dicembre ore 20.45


Eleonora Evi sulla Conferenza sui Cambiamenti Climatici



5 Stelle Europa

Rifiuti, Ispra-Federambiente: “Discarica preferita in regioni a rischio ecomafie”


Per il rapporto sulla gestione dell'immondizia in Sicilia la raccolta differenziata è ferma poco sopra al 10 per cento. E nei termovalorizzatori resta posto per smaltire altre 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti che potrebbero arrivare dai territori che ne sono privi o non sono autosufficienti
Rifiuti, Ispra-Federambiente: “Discarica preferita in regioni a rischio ecomafie”
La discarica è ancora la forma di smaltimento preferita dalle regioni a rischio ecomafie. E’ quanto emerge dal rapporto Ispra-Federambiente sulla gestione dei rifiuti in Italia che ilfattoquotidiano.it è in grado di anticipare. Dal rapporto si evince anche un altro dato piuttosto significativo, specie alla luce delle norme recentemente approvate con il decreto Sblocca Italia: nei termovalorizzatori italiani, localizzati prevalentemente al nord, c’è posto per smaltire altre 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti che nei prossimi mesi potrebbero arrivare dalle regioni prive o comunque non autosufficienti dal punto di vista degli impianti di trattamento.
Ma nel giorno in cui l’Italia viene condannata alla multa record di 40 milioni di euro per non essere stata capace, dalla condanna avvenuta nel 2007 ad oggi, di mettersi in regola sulle discariche, salta gli occhi il fatto che regioni come la Sicilia abbiano praticamente la stessa percentuale di ricorso alla discarica di Paesi come la Romania. Mentre, sempre nell’isola, la raccolta differenziata è ferma poco sopra al 10 per cento, la peggiore performance nazionale. Poco sopra ci sono Calabria (14,7 per cento), Molise (19.9), Puglia (22), Basilicata (25,8), Lazio (26.5) e Liguria (31.5). Le Regioni migliori sono invece Veneto e Trentino con il 64,6 per cento di raccolta differenziata, seguite da Friuli Venezia Giulia (59.1), Piemonte (54,6) e Lombardia (53,3). Ma anche in questi casi  si tratta di un risultato più che deludente se si pensa che la legge italiana imponeva già per il 2008 il raggiungimento di quota 45 per cento, mentre per il 2012 l’asticella era fissata per tutti al 65.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Auto elettriche, il Piano Nazionale Infrastrutturale pubblicato in Gazzetta | Il testo

Il Piano infrastrutturale per i veicoli alimentati ad energia elettrica è arrivato in Gazzetta Ufficiale: "I veicoli elettrici potrebbero contribuire alla stabilità della rete elettrica ricaricando le batterie in periodi domanda generale di elettricità ridotta e reimmettendo nella rete l'elettricità contenuta nelle batterie in fasi di elevata domanda generale di elettricità"
Auto elettriche, il Piano Nazionale Infrastrutturale pubblicato in Gazzetta | Il testo
È pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 settembre 2014 di approvazione del “Piano infrastrutturale per i veicoli alimentati ad energia elettrica, ai sensi dell'articolo 17-septies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83”.

Ecco cosa prevede il piano:

"Entro il 2030, secondo le previsioni, il parco automobili mondiale dovrebbe salire da 800 milioni a 1,6 miliardi di veicoli, cioè raddoppiare. Questa prospettiva pone l'esigenza di un "salto" tecnologico che assicuri una mobilità sostenibile a lungo termine con l'obiettivo di "decarbonizzare" i trasporti. La strategia intende perciò aiutare l'industria europea ad assumere nel mondo un ruolo di protagonista nello sviluppo delle tecnologie di propulsione alternative. La tendenza generale verso il trasporto sostenibile implica che l'industria automobilistica europea potrà rimanere competitiva soltanto conquistando il primato nel campo delle tecnologie verdi. L'industria europea dovrà perciò progressivamente uscire dalla situazione attuale e riorientare la sua produzione puntando su veicoli "puliti" ed efficienti dal punto di vista energetico; questo le consentirà di accrescere la sua competitività, creare occupazione nel settore dell'automobile e in altri settori a monte e a valle e ristrutturarsi con successo.

Due indirizzi devono essere seguiti simultaneamente: la promozione di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico basati su motori a combustione interna di tipo convenzionale e la facilitazione dell'applicazione di tecnologie innovative in veicoli a bassissimo consumo di carbonio.

Sono stati realizzati diversi studi in materia: lo "Study on Clean Transport Systems" (studio sui sistemi di trasporto puliti) ha esplorato i possibili contributi dei combustibili alternativi per conseguire l'obiettivo di riduzione del 60% delle emissioni di gas serra fissato dal Libro bianco sui trasporti e il "CTS Implementation Study on Alternative Fuels Infrastructure" (studio sull'attuazione di specifiche tecniche comuni nel settore dell'infrastruttura per i combustibili alternativi) ha preso in esame le differenti opzioni per sviluppare a livello di Unione europea un'infrastruttura per combustibili alternativi.

Lo studio "EU Transport GHG: Routes to 2050" ("Le emissioni di gas serra nel settore dei trasporti dell'UE: itinerari per il 2050") ha preso specificamente in esame gli aspetti della decarbonizzazione rilevanti ai fini della presente iniziativa e le conclusioni cui è pervenuto hanno sottolineato il ruolo fondamentale di un continuo miglioramento dell'efficienza tecnica dei veicoli in combinazione con l'uso di combustibili alternativi per garantire un buon rapporto costi-efficacia dell'intero pacchetto strategico.

L'elettricità è un combustibile pulito, idoneo in particolare per favorire la diffusione dei veicoli elettrici, compresi quelli a due ruote, negli agglomerati urbani con vantaggi in termini di miglioramento della qualità dell'aria e riduzione dell'inquinamento acustico. Gli Stati membri devono fare in modo che siano creati punti di ricarica per veicoli elettrici in quantità tale da garantire una copertura sufficiente, almeno due volte il numero dei veicoli.
I proprietari privati di veicoli elettrici dipendono in larga misura dall'accesso ai punti di ricarica ubicati in parcheggi collettivi di condomini, uffici e zone commerciali. Per venire incontro ai cittadini, è opportuno che le autorità pubbliche adottino disposizioni regolamentari per garantire che i progettisti e i gestori dei siti citati mettano a disposizione l'infrastruttura adeguata con un numero sufficiente di punti di ricarica per veicoli elettrici.
Nel predisporre l'infrastruttura per i veicoli elettrici è necessario tenere conto dell'interazione di tale infrastruttura con il sistema elettrico come pure della politica dell'Unione in materia di energia elettrica.

È necessario che la creazione e il funzionamento dei punti di ricarica dei veicoli elettrici siano realizzati con le modalità di un mercato concorrenziale con accesso aperto a tutte le parti interessate alla creazione o alla gestione di infrastrutture di ricarica.
I veicoli elettrici potrebbero contribuire alla stabilità della rete elettrica ricaricando le batterie in periodi domanda generale di elettricità ridotta e reimmettendo nella rete l'elettricità contenuta nelle batterie in fasi di elevata domanda generale di elettricità.
Per questo i punti di ricarica dovrebbero essere dotati di contatori intelligenti e il prezzo dell'elettricità nei punti di ricarica dovrebbe essere basato sul mercato, in modo da promuovere un consumo (e uno stoccaggio) flessibile dell'elettricità grazie a una tariffazione dinamica.

Leggi il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale

fonte: www.ecodallecitta.it

Mas: miglioramento genetico in agricoltura oltre gli OGM (e i loro rischi)


Miglioramento genetico delle piante senza ricorrere agli OGM: una sfida possibile? L'alternativa agli OGM è già qui. Esistono biotecnologie che, a differenza dell'ingegneria genetica, non comporterebbero rischi per l'ambiente e la salute. Si parla della MAS (Marker Assisted Selection): la selezione assistita da marcatori per il miglioramento genetico delle piante.
La MAS viene utilizzata per la selezione convenzionale delle piante e produce nuove varietà di colture non-OGM che risultano più resistenti alle malattie e in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici. Le nuove varietà di colture non-OGM vengono già utilizzate in agricoltura. La tecnologia degli OGM è ormai obsoleta, dato che produce piante brevettate e portatrici intrinseche di rischi per l'ambiente e per la salute. Lo rende noto l'ultimo rapporto di Greenpeace International, che porta il titolo di "Smart Breeding: la nuova generazione di piante".
"La MAS è una biotecnologia innovativa che indubbiamente guarda al futuro, ma che già ora sta avendo un impatto positivo sulle vite degli agricoltori, aiutandoli a gestire le avversità", dichiara Janet Cotter della Science Unit di Greenpeace International. "Questo è il tipo di tecnologia che può colmare il divario tra il sapere degli agricoltori e l'approccio scientifico, al fine di ottenere il meglio da entrambe le prospettive".
Il rapporto di Greenpeace International analizza gli effetti migliorativi che la MAS ha su diverse colture nei vari continenti. I casi studio riguardano gli sviluppi di questa tecnica al fine di:
1) Affrontare stress biologici, come virus, funghi, batteri, erbe infestanti e insetti;
2) Affrontare gli stress fisici e chimici, come siccità, eccesso di salinità o inondazioni;
3) Migliorare la concentrazione di micronutrienti nelle colture;
4) Ottenere cereali di qualità migliore.
Attualmente la MAS viene utilizzata da agricoltori in Cina, India e Indonesia per far fronte a malattie del riso, in Nigeria e Tanzania per dare alla manioca una buona resistenza al virus del mosaico, in Nord America per la resistenza ai funghi che attaccano il frumento.
"Rispetto alla MAS, l'ingegneria genetica è una tecnologia vecchio stampo che, nonostante la serrata attività di promozione portata avanti dall'industria biotech, non ha mantenuto le sue promesse. Il cosiddetto Golden Rice ad esempio, dopo oltre venti anni di ricerca, è un progetto ancora fermo allo stadio sperimentale a causa delle scarse performance agronomiche", conclude Cotter.
Greenpeace chiede a governi, aziende e organizzazioni filantropiche di sostenere pratiche di agricoltura ecologica e tecnologie innovative come la MAS. Queste possono contribuire significativamente alla transizione verso un modello di agricoltura ecologica, in grado di fornire cibo sano senza danneggiare l'ambiente, soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici in corso.
Scarica qui il rapporto integrale "Smart Breeding: la nuova generazione di piante"
Leggi qui la sintesi del rapporto e la scheda riassuntiva (in italiano)

fonte: www.greenbiz.it

Rinviare il pensionamento delle lampade alogene può far perdere 8,6 mld euro

A dirlo è il Clasp, un gruppo operativo negli standard energetici, che ha collaborato a un rapporto con l'Agenzia svedese per l'energia, il governo belga e il Consiglio europeo per un'economia efficiente a livello energetico
Rinviare il pensionamento delle lampade alogene può far perdere 8,6 mld euroProlungare la vita delle lampadine alogene, facendo slittare il loro pensionamento dal 2016 al 2018 come ipotizzato in una proposta Ue, potrebbe costare 8,6 miliardi di euro in termini di mancati risparmi energetici. A dirlo è il Clasp, un gruppo operativo negli standard energetici, che ha collaborato a un rapporto con l'Agenzia svedese per l'energia, il governo belga e il Consiglio europeo per un'economia efficiente a livello energetico.

Lo studio, preparato per la Commissione europea, indica progressi più veloci, per le lampadine a Led, rispetto alla tabella di marcia stilata dall'Ue a metà del 2013, sia in termini di costi che di performance. Il costo delle lampadine a Led prese in esame per l'indagine varia tra i 6,16 e i 28,42 euro, contro un prezzo medio di poco più di due euro per una lampadina alogena di pari potenza. Per produrre la stessa luce, tuttavia, le alogene consumano dieci volte più elettricità rispetto ai Led. "La proposta di estendere la vendita delle lampadine alogene in Europa dal 2016 al 2018 - si legge nel rapporto - può ritardare ulteriormente l'introduzione di un'illuminazione efficiente in Europa".

La votazione europea sul posticipo del pensionamento delle alogene si terrà agli inizi del 2015. In base a uno studio condotto nel 2013 per la Commissione Ue da VHK/VITO, fermare la vendita delle alogene nel 2016 comporterebbe la perdita di 10mila posti di lavoro, soprattutto in Germania.

fonte: ansa ambiente

MyFoody, la start up che coinvolge grossisti e ristoranti per contrastare lo spreco di cibo

MyFoody è una start up italiana ideata nel novembre 2012 che ha l'obiettivo di coinvolgere grossisti, imprese di ristorazione e piccole e grandi distribuzioni per far sì che il cibo "a richio", (quello che non verrebbe immesso sul mercato o in eccedenza perché prossimo alla scadenza), venga venduto ad un prezzo più basso e accessibile a tutti

MyFoody, la start up che coinvolge grossisti e ristoranti per contrastare lo spreco di cibo 

Contro lo spreco di cibo l'Italia continua ad essere un territorio ricco di idee innovative. Sorti negli ultimi anni, sono ormai numerosi i progetti che ambiscono a trovare soluzioni ad uno dei problemi più evidenti della società del consumismo: lo spreco, quello di cibo in particolare.

Con lo scopo di contrastare il fenomeno è sorta poco meno di un anno fa una start up con base a Milano, dopo un periodo di incubazione a Firenze, dal nome MyFoody. Si tratta di una piattaforma e-commerce che dà la possibilità di comprare prodotti alimentari che altrimenti sarebbero sprecati ad un prezzo scontato. Il progetto è molto semplice e, a “popolare” concretamente la piattaforma, ci sono i prodotti in eccedenza, in scadenza o con difetti estetici di confezionamento che, come ormai è noto, sono una discriminante fondamentale per la vendita. Tutti questi prodotti alimentari, proprio grazie alla piattaforma, vengono "salvati" evitando che diventino rifiuto.

 

 

“MyFoody è un progetto che rientra nella Blue Economy o Economia Circolare - si legge sul sito www.myfoody.it-. Il principio fondamentale è quello secondo cui gli sprechi di un'attività diventano risorse di un'altra attività. Con MyFoody, infatti, gli attuali sprechi alimentari diventano risorse per l'intera comunità”. Già, perché grossisti, imprese di ristorazione o grande e piccola distribuzione, veri protagonisti del sistema, hanno la possibilità di cedere, grazie alla piattaforma, il cibo in eccedenza, dando la possibilità ad altri, privati ma anche organizzazioni non profit, di acquistare il cibo ad un prezzo scontato.

“Perché pagare il prezzo pieno per un prodotto in scadenza? Perché buttare prodotti perfettamente commestibili ma vicini alla scadenza? E i prodotti con difetti di packaging, perché sprecarli?" Sono queste le domande che hanno ispirato nel novembre 2012 l'ideazione di questo progetto contro lo spreco alimentare.

Nel concreto la piattaforma funziona mediante un servizio di geolocalizzazione: gli utenti, in base al luogo in cui vogliono ricevere la spesa, vengono geolocalizzati e possono acquistare i prodotti della propria zona di riferimento.
La geolocalizzazione è un elemento fondamentale del progetto, perché l'obiettivo degli ideatori è quello di offrire un servizio di consegna a domicilio che sia anche ad impatto zero, usando per il trasporto, dunque, mezzi non inquinanti.

Il progetto, che vanta di essere stato selezionato tra le migliori star up europee vincitrice del Chest Project, ha ricevuto anche il patrocinio di Expo2015 e vinto il concorso per idee di impresa Alimenta2talent, che premia le migliori idee per innovare il modo di fare agricoltura riducendo gli sprechi.

fonte: www.ecodallecitta.it

La Svezia costretta ad importare rifiuti per non morir di freddo.


La Svezia (nove milioni di abitanti) ha in funzione trentadue  inceneritori alimentati con rifiuti, che producono contemporaneamente calore ed elettricità.

Con il calore prodotto in questo modo, il 20% della popolazione svedese riscalda le proprie case, durante il lungo e freddo inverno che caratterizza le loro latitudini e l'elettricità copre i consumi di 250.000 abitazioni.

Un esempio di successo, una scelta da esportare negli altri paesi d'Europa, compreso il nostro?

Così sembrerebbe, vista la rinnovata euforia degli inceneritoristi nostrani, dopo il regalo che gli  ha fatto il governo Renzi che,  con il decreto "sbloccaitalia", ha promosso i termovalorizzatori a scelta stretegica nazionale.

Ma chi plaude al modello svedese e auspica il proliferare di termovalorizzatori in tutte le regioni italiane, non racconta tutta la storia.

Ad esempio,  quanti sanno che nel 2006, con già trenta inceneritori in funzione, il governo svedese aveva deciso di tassare la termovalorizzazione dei rifiuti urbani?

In base alle dichiarazione del Ministro delle Finanze svedese, questa tassazione a carico della componente "fossile" dei rifiuti (plastiche miste), aveva l'obiettivo di incentivare la raccolta differenziata e il riciclo dei materiali e i trattamenti biologici degli scarti organici, finalizzati a produrre compost, metodi ritenuti migliori, ai fini della conservazione di risorse e del risparmio energetico.

Nel 2010 la tassa sull'incenerimento è stata abolita in quanto, in base alle dichiarazioni ufficiali,  si è ritenuto che questa scelta non sia stata utile per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal governo, in particolare quella di favorire il riciclo dei materiali. Ma anche questa scelta merita di essere meglio analizzata.

In quell'anno, in realtà, la Svezia riciclava e compostava il 49% dei suoi scarti, un risultato di tutto rispetto, specialmente se confrontato con il 33% di riciclo e compostaggio registrati in Italia.

Inoltre, sempre nel 2010, il governo svedese, per promuovere il riciclo della frazione organica,  introduceva l'esenzione di tasse sulla vendita e l'immissione in rete di biometano prodotto con la raffinazione del biogas (miscela di metano ed anidride carbonica) prodotto dalla fermentazione anaerobica degli scarti organici.

Infine, nel 2012 l'AgenziaSvedese per l'Ambiente elaborava un nuovo piano nazionale per la gestione dei Materiali Post Consumo, in accordo con le indicazioni della Unione Europea.

In questo Piano, il trattamento delle frazioni organiche prevedeva che almeno il 50% degli scarti di cibo fosse trattato con tecniche biologiche (compostaggio) per uso agricolo del compost prodotto e che il 40% di questi scarti fosse utilizzato anche per produrre biometano da usare per l'autotrazione o da immettere nella rete di distribuzione del gas.

Sono importanti scelte politiche che i nostrani amici degli inceneritori si guardano bene di segnalare.

Dal 2005, la quantità di rifiuti che la Svezia incenerisce (49%) e avvia al riciclo (49%) è sostanzialmente costante mentre si è costantemente ridotta la frazione di scarti avviati a discarica, arrivata all'1% della produzione, nel 2010.

I trattamenti biologici delle frazioni organiche, raccolte in modo differenziato nel 60% dei comuni svedesi, sono in costante crescita e, nel 2011, il 15% di tutti i rifiuti svedesi erano trattati con compostaggio e digestione anaerobica, valori confrontabili con quelli italiani.

La Figura 1 mostra l'andamento dei trattamenti adottati in Svezia, a partire dal 1976, per la gestione dei propri scarti.

La Figura evidenzia come il principale risultato delle politiche Svedesi, che fin dal 2000 aveva introdotto pesanti tasse per la messa in discarica di residui con alto potere calorifico e  delle frazioni organiche, abbia fortemente ridotto l'uso della discarica, a favore del recupero energetico tramite combustione, ancora oggi il principale sistema di smaltimento.

Quello che non sembra funzionare in Svezia è il riciclo dei materiali che, nel 2006, smette di crescere e negli anni successivi mostra una tendenza alla riduzione.



FIG 2: gestione dei rifiuti urbani svedesi dal 1975 al 2012


Quest' andamento merita di essere correttamente interpretato.

Infatti ci potrebbe essere anche un altro motivo per spiegare la decisione di abolire, nel 2010, la tassa sull'incenerimento dei rifiuti: gli svedesi stavano riciclando più del previsto e in questo modo lasciavano a "bocca asciutta" i loro inceneritori.

Insomma, un'eccessivo riciclaggio degli scarti con elevato potere calorifico (carta, plastica) avrebbe costretto al freddo molti svedesi, in quanto i 32  inceneritori non avrebbero avuto a disposizione tutto il combustibile necessario per affrontare i freddi inverni del Nord.

Pertanto, a causa delle sue scelte energetiche, avviate negli anni '80, incentrate sulla produzione di calore ed elettricità dai rifiuti, la Svezia, da qualche anno, si trova nella singolare condizione di dover importare rifiuti se vuole continuare a fornire calore ai suoi abitanti.

Attualmente, la Svezia importa 813 mila tonnellate all'anno di rifiuti da utilizzare  nei suo inceneritori con recupero di calore ed energia elettrica.
Il maggiore fornitore di rifiuti è la vicina Norvegia (152.000 ton/anno), ma rifiuti arrivano anche da altri paesi europei, compresa l'Italia.

La Norvegia paga per questo servizio e, in sovrappiù, si accolla lo smaltimento delle ceneri prodotte con i suoi rifiuti. Ceneri tossiche, a causa della loro pesante contaminazione da metalli pesanti e diossine che la Svezia rimanda al mittente, guardandosi bene dal doverle inertizzare e smaltire nel proprio territorio.

E ovvio che anche la Norvegia abbia il suo tornaconto in questo scambio, trovando più economico per lei far fare il lavoro "sporco" e costoso ai suoi vicini, senza accollarsi il pesante costo finanziario della costruzione e gestione di inceneritori.

Per il momento questa gestione funziona e, grazie ai rifiuti propri ed altrui, gli Svedesi stanno al caldo ma i tecnici del settore sanno che non potrà continure così.

Sempre più paesi, insieme alla Unione Europea, stanno scoprendo come sia più conveniente, ambientalmente, ma anche dal punto di vista energetico e occupazionale, riciclare e compostare i propri materiali di scarto e avviarli in nuovi processi produttivi finalizzati all'uso delle materie recuperate.
E obiettivi di riciclo dei materiali superiori al 70% sono tecnicamente ed economicamente praticabili.

Pertanto, prima o dopo, quando gli investimenti dei termovalorizzatori saranno stati ammortizzati, gli Svedesi, per riscaldarsi, dovranno inventarsi qualche altra soluzione.

Riscaldarsi, bruciando "corone svedesi" non è proprio una furbata!

Invece l'Italia, senza la palla al piede di un grande parco di termovalorizzatori da tenere in funzione, può più facilmente  avviare la scelta virtuosa dell'economia circolare, fondata sul riciclo dei materiali.

Nonostante quello che il Governo Renzi pensi, l 'Economia Circolare è la vera scelta strategica, di interesse nazionale, in grado di garantire nuove e stabili opportunità di lavoro, elevati risparmi energetici, bassi impatti ambientali e sanitari.

Una scelta che certamente la Svezia ci invidierà.

fonte: federico-valerio.blogspot.it/

Non aspettiamo più, ecco la ciclabile

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Amministrazioni sorde e inefficienti, quando non stolide o/e pavide, portano alla situazione che ora descriverò. Oggi ho partecipato alla costruzione di una ciclabile abusiva nel tunnel di San Bibiana, per tutti i romani il traforo di San Lorenzo, che alla fine si presenterà così:
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Collega l’Esquilino a S.Lorenzo Fuori le mura; li collega perché tra i due quartieri passano i binari di Roma Termini. Si tratta di due quartieri a intensa frequentazione ciclistica per una pluralità di motivi: gli universitari, le varie etnie che vivono nella zona di piazza Vittorio, una generica società adulta e ancora “alternativa”, coppie ancora giovani ma con prole, gente di spettacolo, arte e varie applicazioni creative dell’intelletto. Molti di questi usano, malgrado tutto, la bicicletta come mezzo di trasporto anche grazie alla riscoperta socioeconomica della bicicletta: persino a Roma, guarda un po’.
Il tunnel è a senso unico dall’Esquilino a S.Lorenzo. La carreggiata è ampia 9 metri circa, con due strettissimi passaggi pedonali ai lati, protetti da fitte transenne. Uno spazio stradale eccessivo tutto appannaggio della tirannia automobilistica. Da anni blogger e comitati locali chiedono (esiste una petizione online e persino un progetto stilato gratuitamente) di ricavare un percorso ciclabile a doppio senso. A oggi il controsenso viene effettuato a rischio della vita; il giro alternativo è troppo lungo e soprattutto ancora più pericoloso, stupido, offensivo per la sua chiara matrice automobilistica.
Risposte pari a zero. Stendendo una lapide sull’amministrazione Alemanno (scusate il termine), quella Marino non sembra aver neanche recepito le reiterate proposte, che non solo sono ragionevoli ma persino ovvie. Penso sia altamente probabile che i fumosi uffici tecnici facciano al meglio quanto di loro abitudine, ovvero niente per non disturbare lo status quo e magari, chissà, non assumersi alcun tipo di responsabilità. Ormai ne conosco il modus inoperandi.
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E allora, per disperazione, abbiamo deciso di fare da noi. Una decina di volontari hanno realizzato la ciclabile, e al diavolo le amministrazioni. Tutti i volontari sono persone adulte quando non avviate verso la terza età, molti con famiglia e figli. Tre quarti d’ora di lavoro, 140 euro di spesa. Costringere costoro a commettere illeciti è il vero reato.

Di seguito il comunicato fatto trovare dagli anonimi organizzatori:
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Siamo un gruppo di cittadini che vivono e si muovono fra S. Lorenzo e l’Esquilino a piedi e con la bicicletta. Come molti altri, ci muoviamo senza l’auto, anche con i nostri bambini che vanno a scuola, a nostro rischio e pericolo, in una città fatta per le auto. Sappiamo dei gravi problemi che questa amministrazione deve affrontare – e il traffico è uno dei principali – delle poche risorse che ha a disposizione, dei conflitti che generano le azioni di contenimento dello spazio per le auto, ma riteniamo che, nonostante tutto, molte cose si possano fare per la sicurezza di chi lascia l’auto e sceglie la bicicletta per muoversi.
Allora, a titolo dimostrativo, una di queste cose l’abbiamo fatta noi direttamente: rendere sicuro per le biciclette il tunnel di S. Bibiana, che collega fra loro almeno 50.000 abitanti dei due quartieri e molti altri che passano lungo la via Tiburtina, con una semplice striscia per terra e qualche segnale. L’abbiamo fatto dopo molti anni di richieste, di riunioni con assessori e tecnici, di condivisione con i cittadini, abbiamo anche elaborato un progetto e lo abbiamo offerto gratuitamente all’amministrazione.
Questa azione vuole solo dimostrare quanto sia facile a volte fare quello che è necessario. Noi ci abbiamo messo qualche incontro, un centinaio di euro di materiali, una decina di persone per un ora di lavoro. Ovviamente sappiamo bene che per una amministrazione è tutto molto più complicato, le procedure per decidere e per fare, le molte norme da rispettare. E contiamo che realizzi l’opera molto meglio di come abbiamo fatto noi. Ma rimane il fatto che, per un opera così facile e così condivisibile, è inaccettabile che si debba aspettare un tempo così lungo. Il sindaco Marino, che è sensibile al problema perché usa la bici, capirà sicuramente e raccoglierà subito la nostra domanda di sicurezza, ovunque è possibile farlo a costo zero. A partire dal tunnel di S. Bibiana.
Il gruppo di cittadini promotore

Veggie Bus: a Toronto un vecchio bus navetta diventa un farmer’s market itinerante

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Veggie Bus, a Toronto un vecchio bus navetta è stato trasformato in un farmer's market itinerante per trasportare frutta e verdura fresca e bio alle aree considerate come dei veri e propri deserti alimentari. Progettato da LGA Planners, il farmer's market mobile è stato ricavato da un vecchio bus navetta donato dalla Toronto Transit Commission. Periodicamente viene rifornito con prodotti freschi di stagione e consente di trasportare agli abitanti delle zone più disagiate cibi freschi e sani, utili soprattutto per chi vive lontano dai negozi di alimentari.
All'interno di Veggie Bus LGA ha installato una serie di scaffali pieghevoli dove disporre i prodotti per la vendita. Quando il bus viene parcheggiato, gli scaffali si aprono a cascata verso l'esterno, con un arcobaleno di colori a base di lattuga, frutti di bosco, okra, yucca, broccoli, mele stagionali e altre chicche che invogliano a consumare più frutta e verdura gli abitanti di Toronto.
I clienti possono osservare gli scaffali da fuori o entrare nel bus, che è organizzato come un farmer's market in miniatura. L'interno del bus è rivestito con mensole che sorreggono cesti di zucca e casse di frutta e verdura, senza tralasciare le foto delle persone che acquistano con soddisfazione da Veggie Bus.
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Le zone periferiche di Toronto sono ormai densamente popolate con alloggi a prezzi accessibili e con molti residenti che si affidano al trasporto pubblico per gli spostamenti. Ma senza negozi di frutta e verdura fresca in questi quartieri, la comunità finisce per nutrirsi quasi sempre di cibi confezionati e poco sani. Ora però Veggie Bus porterà alimenti sani e ricchi di gusto direttamente ai cittadini, che potranno dare inizio più facilmente a uno stile alimentare ricco di prodotti freschi

fonte: www.greenme.it

Facciamo resilienza insieme



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In ingegneria la resilienza è la capacità di un materiale di resistere a forze impulsive (ovvero, la capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi, e di riprendere la forma originale dopo tale sollecitazione dinamica). In psicologia la resilienza viene vista come la capacità della persona di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne addirittura rafforzata e trasformata positivamente. In ecologia la resilienza è la capacità di un ecosistema, inclusi quelli umani come le città, di ripristinare il proprio equilibrio in seguito a un intervento esterno (come quello dell’uomo) che modifi ca l’ambiente e preleva risorse. Se lo sfruttamento eccede questa capacità di rigenerazione, provoca un deficit ecologico.
Nella nostra società essere resilienti significa, in ultima istanza, essere resistenti a un modello di sviluppo che non sta più in piedi, bollito e fallito. I resilienti sono quelli che riusciranno a sopravvivere alla prossima crisi energetica, quando anche l’ultimo barile di petrolio sarà prosciugato e non avremo più di che sfamare un sistema che fabbrica oggetti, produce energia, alimenta le comunicazioni per mezzo di una sostanza sempre più diffi cile da ottenere (conflitti, costi di estrazione, esaurimento scorte, giacimenti calanti…).
Un resiliente, ad esempio, è un cittadino in grado di autoprodursi gran parte delle cose (beni, prodotti e servizi) di cui ha bisogno per vivere. Curare un orto nel giardino di casa (o sul balcone se non si ha a disposizione un pezzo di terra, o su un pezzo di terra messo a disposizione gratuitamente dall’amministrazione comunale) è un primo antidoto, concreto ed effi cace, per smetterla di mangiare frutta e verdura prodotta chissà dove, gonfi a di pesticidi di ogni tipo, dannatamente cara.
Un resiliente, per stare agli esempi concreti, è una persona che sceglie di aver cura della propria salute bandendo tutti quei prodotti per la pulizia della casa e della persona fatti, per l’appunto, di petrolio. Che inquinano noi e le nostre falde acquifere. Che producono montagne di rifi uti (gli imballaggi in plastica). Che costano un patrimonio e che puliscono (e profumano) non molto di più e meglio dei detersivi e detergenti che possiamo autoprodurci con pochi, semplici passaggi.
Un resiliente è una persona che ricomincia a usare le mani coordinandole con il cervello, e si riappropria di gesti, saperi e abitudini che gli consentono di allungare la vita delle cose. Riparandole, quando è possibile, mettendo in gioco la capacità di farlo senza l’ausilio del denaro, in comunità organizzate in cui la ricchezza è il tempo donato, come nel caso delle banche del tempo.
Una comunità resiliente è un gruppo di cittadini e famiglie che provano a scardinare il sistema praticando, concretamente, l’alternativa. Magari con l’ausilio di una moneta locale, meglio ancora se supportati, sostenuti e incentivati da municipi sostenibili, i cui amministratori non siano burocrati privi di una visione alta e altra del futuro, ma donne e uomini al servizio delle comunità locali. Si vedano al riguardo le esperienze dei Comuni virtuosi, o delle Città in transizione.
Oggi, in questo crepuscolo di Impero che  perde pezzi ad ogni angolo di strada, chi pratica la resilienza è in montagna a resistere, e sta contribuendo anche involontariamente al momento, che verrà, della liberazione.
Marco Boschini

fonte:  http://comune-info.net

12 buone ragioni per piantare un albero

Da quelle classiche imparate sui banchi di scuola, ad altre che, forse, non avevate mai preso in considerazione. Ecco perché piantare un albero, anche ora.

Gli alberi e il clima

Aiutano a mitigare l’effetto serra, assorbendo per tutta la vita anidride carbonica e quindi anche le emissioni climalteranti di origine antropica.

Gli alberi producono ossigeno

Grazie alla respirazione cellulare, gli alberi intrappolano CO2 ed emettono ossigeno nell’atmosfera. La CO2 si trasforma in sostanza organica, che diverrà a sua volta suolo fertile. Un albero produce in media 20-30 litri di ossigeno al giorno, ogni uomo necessita in media di 300 litri di ossigeno al giorno.

Gli alberi puliscono l’aria

Sono in grado di filtrare il particolato e gli inquinanti presenti nell’aria, le loro foglie infatti intercettano sostanze dannose come l’anidride solforosa e il biossido di azoto.

Gli alberi puliscono l’acqua

Riducono il flusso della pioggia, incrementando le falde freatiche ed impedendo agli inquinanti di arrivare al mare.

Gli alberi prevengono l’erosione del suolo

Le radici penetrando nel terreno, in particolar modo sui versanti di montagne e colline, mantengono il suolo coeso, impedendo a quest’ultimo di franare.

Gli alberi abbelliscono giardini, parchi e città

E fanno bene alla salute psicofisica. È provato che il verde rilassa, rinfranca, rincuora.

Gli alberi regolano la temperatura

Producono ombra e assorbono la luce solare, raffrescando l’estate. D’inverno sono in grado di mitigare i venti più freddi.

Gli alberi producono legno

Fino a pochissimi anni fa, il legno proveniente dalle diverse specie, accompagnava qualsiasi attività umana. Dall’industria alla mobilità, dall’edilizia allo svago, dal riscaldamento alla meccanica.

Gli alberi aumentano la biodiversità

Fanno da riparo a decine di specie animali. Uccelli, insetti, roditori. Interi ecosistemi si basano sulla loro ecologia.

Gli alberi fanno crescere sani i bambini

I bambini hanno bisogno di alberi su cui arrampicarsi per non perdere il loro lato selvaggio e il contatto con l’ambiente. La scoperta della natura favorisce le capacità motorie dei bambini, lo sviluppo cognitivo e intellettuale e la fantasia. È stato rilevato che i bambini che giocano a contatto con alberi e prati si comportano in modo più creativo.

Gli alberi sono una memoria storica

I più antichi alberi hanno centinaia se non migliaia di anni e portano dentro il loro tronco i segni del tempo. Temperature, siccità, quantità di sostanze nutritive. Da un tronco si può capire il passato.

Gli alberi sono la nostra memoria storica

Una volta piantato un albero, molto probabilmente, questo sopravviverà a noi e ai nostri figli. Un autentico lascito per l’intera comunità.

fonte: http://www.lifegate.it

FITORIMEDIAZIONE E BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI


Terni è una città contaminata. Un secolo e mezzo di industria pesante e in particolar modo l’industria siderurgica, hanno rilasciato incessantemente sostanze inquinanti nell’atmosfera e conseguentemente nel suolo. Una vasta superficie del territorio è sottoposta ad operazioni di bonifica. Il sito di interesse nazionale Terni-Papigno conta al suo interno l’ex stabilimento elettrochimico di Papigno (e la sua discarica) ed il lanificio Gruber a carico del comune; il polo siderurgico e la discarica di Voc.Valle a carico dell’AST. A quanto esposto nel rapporto “Bonifiche dei siti contaminati 2014” di Legambiente, solo l’1% di queste aree ha visto presentati progetti di bonifica e conseguente approvazione del ministero. Più le discariche Zona Fiori, Polymer, Maratta e numerosi altri siti di competenza pubblica.
L’uso della Canapa o cannabis sativa per la fitorimediazione dei terreni contaminati è particolarmente indicato per i terreni in cui sono presenti Idrocarburi e metalli pesanti, in particolar modo il Cromo e il Nichel: vero e proprio marchio di fabbrica dell’inquinamento ternano. Come illustrano numerosi studi fra cui “Heavy metal tolerance and accumulation of Cd, Cr and Ni by Cannabis sativaL.” svolto nel 2003 dall’Università di Milano-Bicocca.
La varietà Carmagnola a bassissimo contenuto di THC permette anche di sfatare il tabù che vede la canapa considerata come sinonimo di droga. Canapa che come vedremo più avanti è radicata a fondo nella nostra tradizione culturale umbra e in particolar modo della Valnerina e del ternano.


CREAZIONE DI UNA FILIERA INDUSTRIALE DELLA CANAPA DAGLI SCARTI DELLA FITORIMEDIAZIONE DEI TERRENI PUBBLICI

A differenza degli altri vegetali in cui l’unico uso successivo alla bonifica dei terreni è quello dell’incenerimento all’interno di impianti a biomasse, occasione succulenta per qualche lobbista ma disastrosa per la salute dei cittadini, la canapa ha una nuova vita. Un po’ come per il maiale: della canapa non si butta via nulla. Ma è possibile usare la canapa nonostante abbia assorbito alti quantitativi di inquinanti? Come dimostra ampia documentazione scientifica questo è possibile. La pubblicazione dell’università di Wuppertal (Germania) su Industrial crops and products, rivista internazionale sulla ricerca industriale “Industrial hemp growing on heavy metal contaminated soil: fibre quality and phytoremediation potential” descrive come la canapa abbia questo incredibile potenziale di incapsulamento e contenimento degli inquinanti all’interno della fibra, permettendo l’uso per scopi industriali, non alimentari o d’abbigliamento.
Bioedilizia l’applicazione come materiale di costruzione (coibentazione, mattoni in canapa, compensato di canapa, ecc…) permettendo lo sviluppo di un settore pienamente in crescita.
Industria Cartaria produzione di cellulosa e carta prodotta con la canapa.
Industria Tessile produzione di fibre tessili naturali e biopolimeri per la produzioni di fibre tessili destinate all’uso non-vestiario.
Industria chimica produzione biopolimeri per la produzioni di materiali plastici
Olio industriale paragonato all’olio di balena può essere utilizzato anche per la fabbricazione di vernici non tossiche di altissima qualità
Lo sviluppo di una filiera industriale della canapa può inoltre dar vita ad un ritorno della sua produzione agricola anche per molti altri scopi come quello alimentare, cosmetico e tessile. Un grande esempio di studio è il Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco, gioiello di educazione e conservazione del sapere tradizionale, dove è possibile acquisire le competenze per la tessitura artigianale a mano della canapa.
Recentemente in Umbria è nata la succursale regionale dell’associazione Assocanapa che si occupa proprio della promozione sul territorio nazionale, della coltivazione e dello sviluppo della filiera della canapa.


LA CHIMICA VERDE PARTE DA TERNI

Più di 50 anni fa la scoperta di Giulio Natta portò il polo chimico di Terni a diventare un’eccellenza con la produzione del polipropilene alla Meraklon e alla Moplefan. Oggi la crisi ha condannato il polo chimico a una lenta e progressiva dismissione. Solo attraverso la ricerca e l’innovazione nel campo della chimica verde sarà possibile ritornare ad essere un’avanguardia per il paese. Una svolta per il futuro possono essere i biopolimeri. I biopolimeri sono quei polimeri ottenuti da sorgenti naturali rinnovabili, spesso biodegradabili e non tossici da produrre. Insomma una “plastica” prodotta dalla natura con cui attuare una vera e propria rivoluzione “rifiuti 0”. La creazione di Packaging e imballaggi completamente biodegradabili e di buste per la raccolta differenziata. La creazione di fibre tessili, collanti, resine fino ad arrivare alle applicazioni biomediche più avanzate come ad esempio sistemi di rilascio dei medicinali, le protesi, materiali biocompatibili e in alcuni casi assorbibili. La canapa è direttamente applicabile per la creazione di biopolimeri estraendo i polisaccaridi dalle fibre, oppure in polimeri sintetici rinforzati dalle fibre naturali.

LO JUTIFICIO CENTURINI

Lo Jiutificio Centurini si inserì nel panorama industriale ternano tra il 1884 e il 1886, impiantato recuperando un area precedentemente destinata ad una fonderia. La forza motrice era fornita dalle acque del canale Nerino. Uso dell’energia idroelettrica, pulita e a basso costo, che ha contraddistinto lo sviluppo iniziale dell’industrializzazione a Terni. Lo jutificio dava lavoro a 1300 operai producendo tessuti di juta, filati e sacchi per l’imballaggio. La crisi del ‘29 fu la fine dell’apice di sviluppo dello Jutificio ma la vera grande crisi, che giunse alla definitiva chiusura nel 1973, fu la generale parabola discendente delle fibre tessili naturali. La mancanza di competitività con le fibre sintetiche fu un processo irreversibile. Oggi, come abbiamo visto sopra, la nuova coscienza ambientale, la ricerca e le nuove tecnologie stanno dando vita ad una nuova attenzione verso le fibre tessili naturali e in particolar modo per la canapa.

fonte: terni5stelle.it

DOPO L'ACQUA... I RIFIUTI E L'ATI1.


rifiuti zero Quello che sta succedendo al Piano d'ambito sulla gestione dei rifiuti integrata all'interno dell'ATI1 ricalca in sostanza quello che è successo per la gestione dell'acqua. Facendo una breve cronistoria di ciò che è accaduto negli ultimi mesi possiamo affermare che quello che intende fare l'ATI1 con il bando “a società privata” non è altro che la riconferma che un conto sono le promesse in campagna elettorale e un conto sono le intenzioni reali.
Per dare il via libera e dare mandato all'ATI1 di procedere con il bando serve, come richiesto, il benestare di tutti i comuni dell'ATI1. A Gubbio questa cosa non è stata ancora avallata, in puro stile “gagliardesco”, per merito del M5S. Abbiamo letto le delibere del 24 settembre dell'ATI1, che nessuno aveva ovviamente visto né tanto meno letto, sollevando numerosi dubbi e che presentavano una serie preoccupante di interrogativi allarmanti. Prima di tutto un contratto oneroso (di ben 15 anni!!!!!!!!), che vale 300 milioni di € e che sicuramente andranno a discapito dei soliti “cittadini” che si vedranno sensibilmente aumentare la famigerata “TARI”.
E pensare che bastava e basta applicare la Direttiva Europea su Rifiuti 2008/98/CE senza inventarsi niente visto che le “best practices” in tema di gestione dei rifiuti ci sono e vanno tutte nella direzione della “strategia rifiuti zero” che tanto viene sbandierata in campagna elettorale da tutti i partiti politici e puntualmente disattesa. Da notare poi che si trovano proprio nel nostro paese i migliori esempi in questo campo. Sta di fatto che il nostro comune e soprattutto le vecchie amministrazioni hanno commesso errori inenarrabili a tale proposito senza cognizione di causa, ma come si suol dire in questi casi “Errare è umano ma perseverare è diabolico”!!! Il tutto condito dalle leggi regionali, che vanno in totale contrapposizione alle regole comunitarie, sino alla decisione ultima del Consiglio regionale che considera di fatto un combustibile il rifiuto (CSS) e ne delibera la produzione ma non l'incenerimento. Mah! Abbiamo posto tutte le nostre preoccupazioni e dubbi nella nostra ultima interrogazione alla giunta comunale ponendo una serie di precise domande per le quali stiamo ancora attendendo risposta. Il nostro augurio è che finalmente, anche rischiando, l'amministrazione prenda decisioni che vadano nella direzione giusta per l'interesse di tutta la comunità e che salvaguardino Ambiente, Salute e non ultimo che ci risparmino un nuovo aumento delle tasse. Appena riceveremo le tante risposte incluse nella nostra interrogazione pubblicheremo quanto ricevuto e dovuto.
Intanto proprio ieri è arrivata la condanna della Corte di Giustizia UE all’Italia sui rifiuti. La multa è salatissima: 42,8 milioni di euro. La condanna è arrivata perché Roma non si è adeguata alla direttiva europea sullo smaltimento e il recupero. "Violato in modo persistente l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l’uomo o per l’ambiente". Il tribunale del Lussemburgo ha infatti condannato l’Italia a sanzioni per inadempienza alle direttive comunitarie sui rifiuti. Oltre a una somma forfettaria di 40 milioni di euro, la Corte ha deciso che Roma, fino al momento in cui avrà dato piena esecuzione a una precedente sentenza del 2007, dovrà pagare una penalità di 42,8 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie.
Infine segnaliamo anche un’ottima notizia giunta da Spoleto dove il Consiglio Comunale ha votato all’unanimità la Mozione avente come oggetto “adesione del Comune di Spoleto alla Strategia Rifiuti Zero” presentata dal Movimento 5 Stelle. Nella mozione si chiedeva ufficialmente l’adesione del nostro comune alla Strategia Rifiuti Zero per la riduzione, il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti al fine di razionalizzare tutto il ciclo dei rifiuti e quindi anche la spesa del cittadino.

fonte: www.livegubbio.it


Disegniamo un’economia diversa

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Per fare una comunità serve un Gruppo di acquisto solidale. Parafrasando una famosa filastrocca di Gianni Rodari sui semi delle piante, possiamo affermare che da un Gas può nascere – con un po’ di fortuna e molto impegno – una passata di pomodoro, un orto multietnico, la filiera del pane, un co-housing, una guida agroturistica e chissà quant’altro ancora.
Paolo Castaldi è un giovane, premiato artista (il suo blog è: biancoruvido.com) che, armato di matita, ha attraversato l’Italia dell’economia solidale illustrando una decina di belle esperienze di diversi modi di vivere, consumare, lavorare. Il suo delicato e poetico diario di viaggio è stato pubblicato dalla casa editrice Becco Giallo con il titolo Chilometri zero (143 pp. 15 euro). Castaldi ha fatto con occhi d’artista ciò che anche noi stiamo facendo, più prosaicamente, da più di un anno con questa rubrica. E fa molto piacere sapere di non essere soli a provare meraviglia e interesse nei riguardi di pratiche connotate da valori umani e sociali fuori dal comune.
Il viaggio di Castaldi parte da Biorekk, un Gruppo di acquisto solidale di Padova nato vent’anni fa, illustrato come tante formichine che, attuando “pratiche di condivisione e collaborazione in grado di costruire legami di fiducia”, riescono a sollevare il mondo. Più precisamente, ad esempio, sono riusciti a formulare un metodo contabile per stabilire il “giusto prezzo” dei prodotti coltivati dai fornitori. Una specie di videogioco (scaricabile online dal sito www.apprezziamolo.it) consente di conoscere con la massima trasparenza tutte le fasi e tutti i costi della produzione. Il prezzo esatto di un vasetto di passata di pomodoro è 2,12 euro.
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In Friuli, a San Marco di Mereto di Tomba hanno chiuso il ciclo del pane: dal frumento alla farina alla panificazione (leggi anche Farina nel nostro sacco).
A Fidenza tredici famiglie hanno progettato e fatto costruire una palazzina di tre piani con tanti spazi comuni, un alloggio per ospiti, orto, locale dispensa collettiva, autonomia energetica.
Tutto ad un costo un po’ più basso del mercato (www.ecosol-fidenza.it). Nel Parco Agricolo Sud Milano GenuinaGente supporta filiere agroalimentari alternative per “Nutrire diversamente Milano” e nella vicina Maflow, fabbrica recuperata e autogestita (Autoproduzioni post industriali), spremono gli agrumi biologici e mafia-free di Rosarno.
Nel Parco dei Nebrodi è nato Terra Matta Lab, un laboratorio di ricerca per la promozione di economie reali a piccola scala (www.innesti.org). Pensano di preparare una guida per il prossimo anno: “Fuori dall’Expo. Viaggio nella terra del cibo”.
Paolo Cacciari
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Paolo Cacciari è autore di articoli e saggi sulla decrescita e sui temi dei beni comuni. Il suo nuovo libro, Vie di fuga (Marotta&Cafiero) – un saggio splendido su crisi, beni comuni, lavoro e democrazia nella prospettiva della decrescita – è acquistabile qui.  Questo articolo viene pubblicato anche su Left. Altri articoli di Cacciari sono qui.
fonte: http://comune-info.net

Terni, processo Asm: parlano i periti del pm. «Rifiuti ‘non pericolosi’ grazie a dati alterati»

Nell’udienza di martedì sono stati ascoltati Antonietta Gatti (fisico) e Roberto Mastracci (chimico ambientale). Difese pronte al controesame
Terni, processo Asm: parlano i periti del pm. «Rifiuti ‘non pericolosi’ grazie a dati alterati»
Al processo Asm è stato il giorno dei consulenti dell’accusa, il fisico e bioingegnere Antonietta Gatti e il chimico ambientale Roberto Mastracci. I due periti hanno risposto alle domande del pm Elisabetta Massini, del collegio giudicante e, nel caso della dottoressa Gatti, anche di una parte dei legali difensori dei venti imputati. Al termine l’udienza è stata aggiornata al 9 dicembre.
Antonietta Gatti, fra i massimi esperti mondiali di nanopatologie – ovvero patologie umane o animali indotte dall’inalazione o dall’ingestione di polveri molto sottili – ha riferito circa le analisi svolte all’inizio del 2008 sui fanghi e sulle polveri dell’ex inceneritore Asm, dopo i prelievi svolti dalla Forestale in diversi punti dell’impianto.
«Sostanze tossiche» «Nel materiale esaminato – ha detto il perito – abbiamo trovato numerose sostanze come ferro, cromo, piombo, nichel ma anche argento probabilmente legato alla combustione di rifiuti ospedalieri, zinco, tungsteno e altre ancora. La tossicità di tali sostanze è intrinseca e legata alle dimensioni ridotte delle particelle che raggiungono non solo i polmoni, ma anche il sangue e gli organi interni. L’accumulo può causare patologie anche molto gravi».
‘Alt’ Un’esposizione, quella del perito, ‘stoppata’ dai legali difensori che hanno chiesto di fare riferimento solo agli argomenti oggetto della perizia e quindi della deposizione – la composizione chimica dei residui di lavorazione -, piuttosto che ad aspetti medici e patologici. Un’istanza accompagnata da un concetto di fondo: «Non esistono indici né limiti di legge che vincolino la presenza di tali sostanze, comuni in ogni caso a tutti i processi di incenerimento di rifiuti».
Inceneritori Sollecitata sull’argomento dal presidente del collegio giudicante, Massimo Zanetti, la dottoressa Gatti ha poi detto di essere «contraria all’incenerimento dei rifiuti. Credo di possano percorrere altre strade – ha aggiunto – e gli esempi di Sidney e San Francisco lo insegnano».
L’altra deposizione Il consulente ambientale Roberto Mastracci ha invece riferito circa i sopralluoghi e le analisi documentarie svolte sull’inceneritore di Maratta. Diverse le irregolarità riscontrate dal perito dell’accusa che ha parlato di «rifiuti in ingresso non conformi, con scarti di macellazioni e altri rifiuti organici aggregati alla frazione secca» e di «diverse certificazioni relative ai rifiuti in ingresso, risultate poi false».
Rifiuti sanitari Rispondendo alle domande del pm Elisabetta Massini, il perito ha fatto riferimento anche ai rifiuti sanitari: «L’impianto era autorizzato a bruciare solo quelli provenienti dal sistema sanitario dell’Umbria. In uno dei primi sopralluoghi ho invece verificato la presenza di rifiuti di altre regioni».
Rifiuti pericolosi In riferimento ai residui della combustione (ceneri e fanghi) secondo Roberto Mastracci in alcuni casi sarebbero «usciti dall’impianto come rifiuti non pericolosi per poi essere smaltiti in discarica con costi significativamente inferiori. In realtà – ha aggiunto il perito – erano pericolosi e i veri parametri non figuravano nelle relative certificazioni». In un altro passaggio il consulente ha parlato della temperatura di incenerimento che, stando ai report sequestrati, in alcuni casi sarebbe «scesa al di sotto del limite di rischio che può causare la produzione di diossine».
Il processo Nella prossima udienza il contenuto della deposizione del consulente sarà oggetto di controesame da parte delle difese che puntano a smontare pezzo per pezzo il castello accusatorio della procura. Quest’ultimo si articola in un duplice filone: il primo, ambientale, è ancora attivo nonostante le prescrizioni. In particolare le accuse riguardano le presunte violazioni nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti (incluso lo scarico di reflui inquinanti nel fiume Nera) e il superamento dei limiti imposti per le emissioni nell’aria. Il secondo filone riguarda invece il mobbing che sarebbe stato attuato nei confronti di alcuni dipendenti ritenuti ‘scomodi’.

fonte: www.umbria24.it