Nel mondo si torna a parlare della necessità di una carbon tax.
Negli Stati Uniti
ha stupito ad esempio la proposta degli ex ministri del tesoro di
Nixon, Reagan e Bush a favore di una tassa da 40 $ a tonnellata di CO2
che consentirebbe di ridurre le emissioni di gas serra e distribuire
alle famiglie 2.000 dollari all’anno.
In Europa, dove le associazioni tedesche delle rinnovabili
ne auspicano l’introduzione, il dibattito si è riaperto con il
fallimento del meccanismo previsto per le imprese energivore,
l’Emissions Trading System, che ha portato ad un valore della CO2
così basso da non favorire l’utilizzo delle centrali a metano a scapito
di quelle a carbone e da risultare poco incisivo anche per le altre
industrie coinvolte.
Un quadro non
ammissibile dopo l’Accordo sul Clima di Parigi che prevede
un’accelerazione della decarbonizzazione delle economie.
La carbon tax rappresenta, invece, uno strumento efficace
e la sua adozione è stata auspicata anche da molte istituzioni
internazionali proprio ora che i prezzi dei combustibili sono bassi.
Ma quale valore considerare?
La stima del governo Usa per i danni climatici è di 37 $/t CO2, mentre molte grandi imprese già utilizzano, per orientare i propri investimenti, un prezzo che va da 25 a 45 $/t.
Il Kyoto Club ha avanzato una proposta per l’Italia, volta a penalizzare l’impiego dei fossili in una logica di neutralità fiscale. Ipotizzando un livello iniziale di 20 €/t, le entrate sarebbero dell’ordine di 8 miliardi di euro,
una cifra che consentirebbe di tagliare del 10% le bollette elettriche,
ridurre il costo del lavoro e favorire interventi sulle emissioni.
Stefano Agnoli, in un articolo sul Corriere Economia del 27 febbraio ha raccolto invece alcune perplessità sulla proposta, a partire dalla già elevata tassazione sui carburanti.
In realtà, le attuali entrate fiscali
riescono a malapena a compensare i danni causati dai trasporti.
L’incremento proposto, 5 c€ a litro dovrebbe penalizzare principalmente
il diesel e servirebbe in parte ad incentivare la mobilità elettrica,
attualmente su livelli ridicoli, consentendo di avere mezzo milione di
veicoli su strada entro cinque anni.
Sul versante della generazione elettrica il suo effetto sarebbe quello di scoraggiare le centrali a carbone a favore di metano, rinnovabili ed efficienza energetica.
Insomma, si tratta di uno strumento per accelerare la transizione energetica
che, gestito in modo flessibile per tenere conto di specifiche
controindicazioni, darebbe slancio ad una politica climatica
inesistente.
Riqualificare
energeticamente interi quartieri, passare alla mobilità elettrica,
rilanciare le rinnovabili: alternative che andrebbero seriamente
perseguite e che sarebbero facilitate da una carbon tax.
La
Svezia, che l’ha introdotta nel 1991 portandola fino a 136 €/t, ha
un’economia florida e si ripromette di uscire dai fossili in meno di
trent’anni.
Cerchiamo anche noi di
utilizzare gli strumenti che consentano di cogliere in maniera
intelligente le straordinarie opportunità legate ad uno sviluppo low
carbon.
(Gianni Silvestrini è anche direttore scientifico del Kyoto Club).
fonte: http://www.qualenergia.it