“È come se dovessimo ricominciare tutto da zero”
“I paesi sviluppati sono responsabili della stragrande maggioranza delle emissioni storiche di CO2 e molti di loro si sono considerevolmente arricchiti bruciando combustibili fossili”, ha ricordato Amjad Abdulla, che rappresenta una quarantina di piccole nazioni, dalle Maldive alle Bahamas. Ciò nonostante, una parte del mondo ricco sta di fatto rifiutando di fare la propria parte. E il nodo, ancora una volta, è quello dei finanziamenti. L’Accordo di Parigi, riprendendo quando deciso già nell’ormai lontanissimo 2009 a Copenaghen, prevede uno stanziamento annuale di 100 miliardi di dollari per aiutare le nazioni più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. “Essi ci impongono già conseguenze devastanti. Alcune nazioni rischiano addirittura di scomparire a causa della risalita del livello degli oceani”, causato dallo scioglimento dei ghiacci, ha aggiunto Abdulla.
Le nazioni più piccole, alla fine della settimana tailandese di colloqui, hanno puntato il dito senza mezzi termini nei confronti “degli Stati Uniti e dei loro alleati”. Accusati di aver attuato una politica di disimpegno di fronte alla questione climatica. In termini tecnici, ciò si traduce nell’impossibilità di ottenere un accordo sulla “struttura” dei finanziamenti futuri: come, quando e a chi – concretamente – debbano essere concessi i fondi. L’agenzia di stampa Afp ha citato in particolare una “fonte di alto livello in seno al blocco africano”, secondo la quale la situazione sarebbe a un punto di rottura. Con i paesi ricchi che “rinnegano le loro promesse e rifiutano di parlare di stanziamenti futuri”. La stessa persona ha concluso sconsolata: “È come se dovessimo ricominciare tutto da zero…”.
ActionAid: Accordo di Parigi sul clima sull’orlo del precipizio
Un punto di vista condiviso da Harjeet Singh, della ong ActionAid, secondo la quale “l’Accordo di Parigi è sull’orlo del precipizio”. Anche le associazioni, infatti, accusano gli Stati Uniti di Donald Trump, al cui fianco ci sarebbero in particolare parte dell’Unione europea (Regno Unito in testa) e l’Australia.
A nulla è valso aver scelto Bangkok come sede della settimana di lavori preparatori in vista della Cop 24. Secondo la direttrice della divisione locale di Greenpeace, Tara Buakamsri, il 40 per cento della megalopoli tailandese, nella quale vivono più di dieci milioni di abitanti, rischia di ritrovarsi sommerso dal mare entro il 2030. Un monito che, almeno per ora, non sembra essere stato ascoltato.
fonte: https://www.lifegate.it