Come un’associazione milanese sta combattendo attivamente lo spreco alimentare








Ogni anno, ognuno di noi getta nella spazzatura in media 149 kg di cibo ancora commestibile. L’ambiente domestico è il luogo dove avviene la maggior parte dello spreco alimentare – ben il 54% del totale – a causa di pratiche di consumo difficili da sradicare. Ma la filiera dello spreco parte prima di tutto dalla sovrapproduzione industriale, e trova un suo snodo importante anche nella vendita. I cibi sugli scaffali dei supermercati vicini alla data di scadenza finiscono spesso tra i rifiuti, con un tasso di recupero di appena il 10%, ma lo spreco avviene anche nei mercati rionali, quando i commercianti sono costretti a gettare decine di cestini di frutta e verdura invenduti a fine giornata.

Negli ultimi anni si stanno diffondendo in tutto il territorio nazionale gruppi di cittadinanza attiva che lavorano nella fase distributiva per riconvertire le eccedenze alimentari in cibo perfettamente commestibile. È questo l’obiettivo dell’associazione RECUP, che opera nei mercati rionali di Milano già da qualche anno, recuperando la merce avanzata e distribuendola a chi ne ha bisogno, ma anche a chi crede in uno stile di vita alimentare antispreco. Abbiamo intervistato Lorenzo Di Stasi, volontario e responsabile della comunicazione di RECUP, per capire meglio la nascita del progetto e il modo in cui si è sviluppato in città.



Come e quando nasce RECUP?

L’associazione nasce nel 2014 da Rebecca Zaccarini. Mentre si trovava in Erasmus a Lille, ha iniziato girare per i mercati della città, vedendo quanto spreco alimentare ci fosse. Così, ha iniziato a recarsi al mercato a fine giornata e a chiedere a ogni commerciante se ci fosse la possibilità di donare del cibo ancora edibile ma non più vendibile. Parliamo quindi di cibo commestibile ma non più in buone condizioni estetiche. Tornata a Milano ha deciso di continuare a farlo, partendo dal mercato di Papiniano, uno dei più grossi della città. In poco tempo si è creato un mini network di persone attive che si sono conosciute nel mercato e che hanno iniziato ad andare tra le bancarelle per chiedere la possibilità di utilizzare i prodotti in eccesso. Oggi questo network si è allargato ed è molto più organizzato. Siamo riusciti a espanderci innanzitutto per numero dei mercati, che attualmente sono 12 a Milano, 1 a Corsico e uno anche a Verona. In ogni mercato il processo si conclude quando prendiamo le cassette di frutta e verdura, le portiamo in un luogo specifico del mercato e iniziamo la distribuzione verso i beneficiari, che siamo sia noi, i volontari, sia le persone che ci conoscono e vengono lì perché sanno quello che facciamo e dove possono trovarci.

Quanto cibo riuscite a recuperare? C’è disponibilità da parte dei commercianti del mercato, oppure qualcuno non vuole collaborare?

Facciamo un gran lavoro perché per costruire la fiducia con i commercianti ci vuole tempo. A volte può essere più difficile, alcuni ci rifiutano; altri ci dicono che lo spreco non c’è e per noi è una cosa positiva, anche perché il nostro obiettivo resta quello di abbattere lo spreco alimentare, quindi se una bancarella non ha prodotti in eccedenza è la situazione migliore. Tendenzialmente però troviamo tanta disponibilità, anche perché ci siamo fatti conoscere e ora ci facciamo riconoscere: all’inizio usavamo dei volantini, mentre ora siamo riconoscibili perché abbiamo le magliette dell’associazione, che diamo a chiunque voglia venire a darci una mano.



E invece il rapporto con i beneficiari come ve lo siete costruito?

Abbiamo creato un piccolo network in ogni mercato e la cosa bella è che si tratta di una rete eterogenea, a livello di età e di estrazione sociale. Un altro nostro obiettivo, infatti, è che il cibo recuperato acquisti anche un nuovo significato. Il nostro slogan è “Il cibo che perde valore economico acquista valore sociale”. Con questo intendiamo che abbattere lo spreco alimentare può diventare un modo anche di fare inclusione sociale: molti beneficiari diventano poi volontari, favorendo una presa di coscienza da parte della comunità riguardo questi problemi ed entrando in contatto con persone diverse per cultura e provenienza. Al mercato di Papiniano, per esempio, il recupero di cibo avveniva anche prima del nostro arrivo, quando le persone andavano a rovistare tra la spazzatura. Siamo molto soddisfatti di quello che abbiamo fatto perché oggi questo meccanismo è “istituzionalizzato” e in qualche modo tutela chi prima era costretto a mettere le mani tra i rifiuti per procurarsi da mangiare. Tra i beneficiari c’è molta collaborazione e scambio di idee: per esempio ci sono persone anziane che sono beneficiarie e loro stesse pur di essere utili agli altri partecipano alla distribuzione.


In quanti siete attualmente? Siete tutti volontari?

Siamo tutti volontari perché attualmente non possiamo pagare nessuno. Dal 2016 siamo un'associazione a promozione sociale. Abbiamo quaranta iscritti e un direttivo che viene rinnovato ogni tre anni. Per far funzionare il recupero nei mercati devono essere essere presenti almeno quattro o cinque persone: due che restano al banchetto con la merce e altri due che girino per recuperare le cassette. Nei mercati un po’ più grossi siamo anche otto-dieci persone, come quello di Papiniano. I beneficiari solitamente sono un minimo di 10, ma arrivano anche a 20-25.

Per il momento vi state rivolgendo solo ai mercati rionali, c’è la possibilità che arriviate a collaborare anche con i supermercati dove avviene uno spreco maggiore?

Abbiamo la volontà di diventare un’impresa sociale e siamo all’interno di un progetto di incubazione che potrebbe permetterci di diventarlo. A quel punto potremo pagare gli stipendi alle persone più attive ed espandere le nostre attività oltre i mercati rionali. Per il momento, però, non abbiamo alcun progetto ufficiale con i supermercati.


fonte: https://youmanist.it