Il piano d’azione per l’economia circolare 2020 è uno dei principali segmenti del Green Deal, che include iniziative lungo l’intero ciclo vita dei prodotti e mira a rendere norma i prodotti sostenibili UE. Il piano si concentra sul potenziamento dei processi di economia circolare, sulla promozione del consumo sostenibile e sull’accertarsi che le risorse utilizzate siano rigenerabili e presenti nel ciclo produttivo il più a lungo possibile.
Tutti questi buoni propositi, però, non possono che essere strettamente connessi ad un cambiamento economico sistemico che affronti temi economici, sociali e ambientali e che garantisca una competitività economica europea attraverso la creazione di posti di lavoro. Un cambiamento che porta il nome di bioeconomia: un un’economia più innovativa e a basse emissioni, che concilia le richieste di agricoltura e pesca sostenibili, sicurezza alimentare e uso sostenibile delle risorse biologiche rinnovabili per scopi industriali, garantendo la biodiversità e la tutela dell’ambiente.
Rimane la sfida di creare una sinergia tra bioeconomia e l’economia circolare che in breve dovrebbe integrare il modello circolare con l’utilizzo di prodotti bio-based (base biologica) grazie alle biotecnologie. Una bioeconomia circolare può servirsi dei principi della circolarità e, allo stesso tempo, di tecniche e processi promossi dalla bioeconomia.
Perché è importante la bioeconomia circolare
Il nova-Institut ha presentato una simbiosi tra bioeconomia ed economia circolare in un documento pubblicato nel 2018 intitolato The “Circular Bioeconomy” – Concepts, Opportunities and Limitations: “L’economia circolare non è completa senza la bioeconomia e viceversa. Gli enormi volumi di rifiuto organico e di flussi di scarti provenienti da agricoltura, silvicoltura, pesca, scarti organici di produzione di cibo e mangimi possono essere integrati solo nell’economia circolare attraverso processi di bioeconomia. Allo stesso tempo la bioeconomia trarrà enormi vantaggi da una maggiore circolarità”.
Secondo una pubblicazione della Commissione Europea su come “la bioeconomia può contribuire al Green Deal”, si stima che la bioeconomia contribuisca a quasi il 9% della forza lavoro e al 4,7% del Pil dei 27 Paesi membri. Cifre ancora decisamente poco significative. Ecco perché attraverso il progetto Horizon 2020, la Commissione Europea ha già dedicato alla bioeconomia circolare 3,85 miliardi di euro di fondi pubblici e diverse iniziative negli ultimi sette anni. Nel 2018 l’ European Bioeconomy Strategy ha rappresentato un passo in avanti importante che può impattare positivamente su diversi settori produttivi in cui innovazione e tecnologia giocano sempre un ruolo fondamentale.
La pace tra biosfera ed economia
“Per implementare la transizione che il Green Deal si prefigge – dice John Bell , direttore Healthy Planet del dipartimento ‘Ricerca e innovazione presso la Commissione europea’ all’evento Empowering the circular bioeconomy through the EU Green Deal – dobbiamo porre le basi di un’economia giusta e inclusiva. La bioeconomia è centrale in questo processo e grazie alle tecnologie e le giuste policy possiamo accelerare la transizione”.
Biosfera ed economia devono finalmente fare pace e la bioeconomia sembra l’intermediario perfetto per far sì che ciò avvenga. “Vivremo in un mondo in cui le risorse e le materie prime saranno sempre più limitate – continua Bell – la Bioeconomy si occupa di risorse viventi (living resources) che rinnovano se stesse e l’ecosistema circostante. Il cibo sarà la prima cosa”. Nell’UE, si stima che il 20% del cibo totale prodotto venga perso o sprecato (FUSIONS, 2016), quando 33 milioni di persone non possono permettersi un pasto di qualità .
Materiali a base biologica
“L’innovazione è fondamentale per la trasformazione bio-based – sostiene Claire Skentelbery Direttrice generale di EuropaBio (uno dei gruppi industriali di biotecnologica più grande d’Europa) – è una parte molto promettente che ci dà grandi opportunità. Le politiche aiutano a far sì che le tecnologie abbiano un impatto significativo nel sistema produttivo. Materiali come la plastica biodegradabile e compostabile o i materiali da costruzioni rinnovabili dovrebbero essere visti come investimento a lungo termine”.
La proposto di una Taxonomy regulations (un sistema di classificazione UE che stabilisce un elenco di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale) fa sorgere preoccupazioni sulla sostenibilità finanziaria immediata, ma “sviluppare politiche sostenibili attraverso un’efficace comunicazione che responsabilizzi il consumatore – continua Skentelbery – stimolerà la domanda di mercato. Alcuni technical screening criteria, strumenti di valutazione dei prodotti bio-based, contengono troppe semplificazioni. Per i prodotti alimentari non sono abbastanza precisi, dovrebbero essere allineati ad altri criteri come quelli usati per le materie prime che in Europa esiste da tempo”.
L’importanza delle foreste nella bioeconomia circolare
Una dimensione a cui il Bioeconomy Strategy Action Plan del 2018 non ha dedicato molto spazio è quella delle foreste. “Nel documento – fa notare Lauri Hatemaki vice direttore dell’European Forest Institute e professore all’università di Helsinki – si cita poco l’importanza delle foreste e i molteplici benefici che forniscono alla società e all’ecosistema. Per raggiungere la neutralità climatica si devono considerare tutte le categorie che svolgono un ruolo importante nel processo di stoccaggio del carbonio. Il Green Deal da questo punto di vista deve avere un approccio più olistico”, conclude Lauri Hatemaki.
16 marzo la Commissione Europa, tramite le parole del Commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius, ha confermato l’importanza del ruolo delle industrie a base forestale che portano benefici economici e sociali. Ha ricordato inoltre che il Protocollo di Kyoto impegna la maggior parte dei Paesi industrializzati a limitare le emissioni di gas serra attraverso il computo delle quote d’emissione consentite. I bilanci nazionali quindi devono considerare anche i serbatoi di carbonio agro-forestali e le fonti di emissione connesse ai cambiamenti di uso del suolo (afforestazione e deforestazione).
I dubbi sul legno vergine usato per produrre energia
Tra i possibili utilizzi delle foreste, però, c’è anche la produzione di energia tramite la combustione di biomasse come il legno. “Nonostante abbia un importante ruolo nella transazione, la bioeconomy ha dei limiti”, fa notare Luc Bas, direttore per l’Europa di IUCN (International Union for Conservation of Nature) e Climate and Nature Ambassador. “L’uso del legno per produrre energia è una soluzione interessante, ma non è naturale. Secondo un report la maggior parte di biomasse che bruciamo per produrre energia emettono più gas ad effetto serra che carbone e gas”. Il rialzo dei prezzi e la scarsità della materia hanno fatto accendere le polemiche sull’uso del legno pregiato per la produzione di energia attraverso le centrali a biomassa che ricevono, in Italia, ingenti sussidi pubblici. 500 scienziati ed economisti di tutto il mondo hanno scritto una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen e al presidente degli Stati Uniti Joe Biden in cui chiedono alle autorità, che si sono impegnate a raggiungere l’obbiettivo emissione-zero entro il 2050, di eliminare gli incentivi a favore delle centrali a biomassa che utilizzano legno vergine.
fonte: economiacircolare.com
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