Ogni giorno in Italia rimangono invenduti 13 mila quintali di pane, una cifra davvero impressionante. Secondo uno studio condotto dall’Associazione Internazionale del Panificio Industriale, in media una persona ne consuma circa 52 chili all’anno. Pensate: in pratica con il pane scartato ogni giorno si potrebbero alimentare 25 mila persone per un anno! Il pane rappresenta un prodotto particolare, poiché la domanda varia moltissimo da giorno a giorno e, ahimè, siamo comunemente abituati ad associare il “pane fresco” con il pane “appena sfornato”, come se quello giunto a fine giornata non fosse più buono! Ma sappiate che già nell’antichità questo prodotto era considerato sacro e gli egizi ricavavano dal pane raffermo un’ottima bevanda. Allora perché non ispirarci alle antiche tradizioni?
Oggi vi raccontiamo la storia di un progetto che nel suo piccolo, ma con grandi risultati, contribuisce ogni giorno a salvare parte di quell’enorme quantitativo di pane che rimane invenduto sugli scaffali di panetterie, supermercati, catene di ristoranti o fast food. Parliamo di Biova Project, startup innovativa torinese che nasce nel 2019, i cui soci fondatori sono Franco Dipietro, Emanuela Barbano e Simone Oro. Insieme stanno lavorando a un modello virtuoso attraverso la trasformazione del nostro pane da “scarto” a nuova risorsa, ritrovandone la sacralità in un modo certamente originale. Una “piccola goccia nell’oceano”, come loro si definiscono. Ma per porre un freno agli sprechi, come raccontano i nostri protagonisti, forse sarà proprio una birra a salvare il mondo!
«Biova è il nome di una tipica pagnotta piemontese», ci spiega Franco. «A lei ci siamo ispirati, poiché ci racconta di una lunga e centenaria tradizione. Ma per noi la biova è simbolicamente tutto il pane, è quello ancestrale, che da sempre ne identifica tutte le tipologie». Così nasce il progetto, da un sogno ormai divenuto realtà: trasformare tutto quel pane di scarto in un prodotto nuovamente commercializzabile.
«L’idea ci è venuto dopo aver conosciuto da vicino la problematica dello spreco alimentare, perché finché la conosci solo attraverso i numeri, non riesci a quantificarla davvero. Emanuela ed io abbiamo collaborato con progetti che si occupano di recuperare le eccedenze di cibo, specialmente dai catering aziendali. Quando vedi il quantitativo di cibo che avanza e sei consapevole del suo destino, cambia automaticamente anche il tuo atteggiamento nei confronti di questo problema».
Franco ed Emanuela si sono occupati di sviluppare un sistema che potesse andare a intercettare gli scarti nel momento giusto, ovvero quando sono ancora adatti a essere trasformati attraverso la birrificazione. Ma come funziona il progetto? Per prima cosa, i produttori – per esempio commercianti o panettieri – mettono da parte, all’interno di ceste, l’invenduto della giornata. Raggiunta la quantità necessaria, i dipendenti e i volontari di Biova Project lo recuperano e lo portano all’interno di appositi centri, dove viene tostato per bloccarne il deperimento. Dopo essere stato tritato e poi impacchettato all’interno di sacchi – rigorosamente riciclati – viene trasportato ai birrifici della città che, come per magia, lo trasformano in birra.
«Per noi è importante essere attivi sul territorio nel punto più vicino al recupero e per questo motivo lavoriamo attraverso partnership con birrifici, fornendo da una parte un servizio di recupero e dall’altra un servizio di consegna». Il cerchio si chiude, infatti, quando la birra prodotta viene distribuita proprio a quelle panetterie e a quei supermercati che hanno donato il loro pane.
L’aspetto interessante, nella fase di trasformazione, è che il pane va sostituire fino al 30% della materia prima normalmente utilizzata per fare la birra, come nel caso del malto d’orzo. Ecco perché il processo di economia circolare è particolarmente efficace: oltre al recupero del pane invenduto infatti, si risparmia anche l’utilizzo della materia prima che servirebbe per realizzare una birra equivalente. Come ci racconta Franco, «i birrai che collaborano con noi e che noi consideriamo veri “alchimisti”, sono i migliori nel preparare una particolare ricetta e hanno una profonda etica che ci accomuna, legata al recupero degli alimenti».
Biova Beer è molto più di una birra, è un movimento diffuso e attivo che sta partecipando a un cambiamento collettivo. «Uno dei fattori principali di successo della nostra attività è il coinvolgimento di tantissimi attori sul territorio: dai panettieri di quartiere che mettiamo in contatto per recuperare gli sprechi alle associazioni di panificazione provinciali, dai grandi produttori di pane come le S.p.a alle grandi catene di supermercati. A volte arriviamo addirittura a essere un centinaio di persone che collaborano per un periodo di tempo su un preciso progetto. Ecco perché ci consideriamo un movimento: perché con noi possono partecipare diverse professionalità oltre che cittadini attivi interessati ad agire insieme e concretamente contro lo spreco alimentare».
Ad oggi Biova Project è attivo sul territorio piemontese, lombardo e ligure. Le sue birre si possono trovare sull’e-commerce, in diversi grandi supermercati, nelle piccole attività locali e sono distribuite anche a hotel, caffetterie e ristoranti. «Quest’ultimo anno, tra le difficoltà e le limitazioni del Covid-19, siamo riusciti a salvare una tonnellata di pane e a produrre circa 15.000 litri di birra, vendendoli praticamente tutti. Perché noi lo spreco…ce lo beviamo!».
La missione di Biova Project è parte integrante della transizione verso quel mondo con meno sprechi e con più attenzione all’ambiente che tanto sogniamo e che vediamo sempre più concretizzarsi in questi anni. Un progetto innovativo e replicabile che ci auguriamo possa diffondersi in sempre più contesti territoriali, nella speranza che prima o poi il mondo non avrà più bisogno di trovare soluzione agli sprechi.
fonte: www.italiachecambia.org
«Biova è il nome di una tipica pagnotta piemontese», ci spiega Franco. «A lei ci siamo ispirati, poiché ci racconta di una lunga e centenaria tradizione. Ma per noi la biova è simbolicamente tutto il pane, è quello ancestrale, che da sempre ne identifica tutte le tipologie». Così nasce il progetto, da un sogno ormai divenuto realtà: trasformare tutto quel pane di scarto in un prodotto nuovamente commercializzabile.
«L’idea ci è venuto dopo aver conosciuto da vicino la problematica dello spreco alimentare, perché finché la conosci solo attraverso i numeri, non riesci a quantificarla davvero. Emanuela ed io abbiamo collaborato con progetti che si occupano di recuperare le eccedenze di cibo, specialmente dai catering aziendali. Quando vedi il quantitativo di cibo che avanza e sei consapevole del suo destino, cambia automaticamente anche il tuo atteggiamento nei confronti di questo problema».
Franco ed Emanuela si sono occupati di sviluppare un sistema che potesse andare a intercettare gli scarti nel momento giusto, ovvero quando sono ancora adatti a essere trasformati attraverso la birrificazione. Ma come funziona il progetto? Per prima cosa, i produttori – per esempio commercianti o panettieri – mettono da parte, all’interno di ceste, l’invenduto della giornata. Raggiunta la quantità necessaria, i dipendenti e i volontari di Biova Project lo recuperano e lo portano all’interno di appositi centri, dove viene tostato per bloccarne il deperimento. Dopo essere stato tritato e poi impacchettato all’interno di sacchi – rigorosamente riciclati – viene trasportato ai birrifici della città che, come per magia, lo trasformano in birra.
«Per noi è importante essere attivi sul territorio nel punto più vicino al recupero e per questo motivo lavoriamo attraverso partnership con birrifici, fornendo da una parte un servizio di recupero e dall’altra un servizio di consegna». Il cerchio si chiude, infatti, quando la birra prodotta viene distribuita proprio a quelle panetterie e a quei supermercati che hanno donato il loro pane.
L’aspetto interessante, nella fase di trasformazione, è che il pane va sostituire fino al 30% della materia prima normalmente utilizzata per fare la birra, come nel caso del malto d’orzo. Ecco perché il processo di economia circolare è particolarmente efficace: oltre al recupero del pane invenduto infatti, si risparmia anche l’utilizzo della materia prima che servirebbe per realizzare una birra equivalente. Come ci racconta Franco, «i birrai che collaborano con noi e che noi consideriamo veri “alchimisti”, sono i migliori nel preparare una particolare ricetta e hanno una profonda etica che ci accomuna, legata al recupero degli alimenti».
Biova Beer è molto più di una birra, è un movimento diffuso e attivo che sta partecipando a un cambiamento collettivo. «Uno dei fattori principali di successo della nostra attività è il coinvolgimento di tantissimi attori sul territorio: dai panettieri di quartiere che mettiamo in contatto per recuperare gli sprechi alle associazioni di panificazione provinciali, dai grandi produttori di pane come le S.p.a alle grandi catene di supermercati. A volte arriviamo addirittura a essere un centinaio di persone che collaborano per un periodo di tempo su un preciso progetto. Ecco perché ci consideriamo un movimento: perché con noi possono partecipare diverse professionalità oltre che cittadini attivi interessati ad agire insieme e concretamente contro lo spreco alimentare».
Ad oggi Biova Project è attivo sul territorio piemontese, lombardo e ligure. Le sue birre si possono trovare sull’e-commerce, in diversi grandi supermercati, nelle piccole attività locali e sono distribuite anche a hotel, caffetterie e ristoranti. «Quest’ultimo anno, tra le difficoltà e le limitazioni del Covid-19, siamo riusciti a salvare una tonnellata di pane e a produrre circa 15.000 litri di birra, vendendoli praticamente tutti. Perché noi lo spreco…ce lo beviamo!».
La missione di Biova Project è parte integrante della transizione verso quel mondo con meno sprechi e con più attenzione all’ambiente che tanto sogniamo e che vediamo sempre più concretizzarsi in questi anni. Un progetto innovativo e replicabile che ci auguriamo possa diffondersi in sempre più contesti territoriali, nella speranza che prima o poi il mondo non avrà più bisogno di trovare soluzione agli sprechi.
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