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I burattini pazzi di Giampiero, che trasforma gli scarti in arte

 

È iniziato tutto con un gioco insieme a sua figlia: creare un burattini con delle lattine vuote. Poi è continuato e oggi Giampiero ha realizzato

Riciclo e riuso: cosa sono e in cosa differiscono tra loro?















Troppo spesso, specie negli ultimi tempi, si fa una gran confusione tra riciclo e riuso. Entrambi pilastri dell'economia circolare, sottendono però una sostanziale differenza nell'approccio. Ecco perché è importante saper ...

Benvenuti al Plastic Bag Store, dove anche anche il pane è di plastica

Intervista all’artista americana Robin Frohardt che, con il suo The Plastic Bag Store, installazione partita da New York e ora a Los Angeles dopo essere passata dall’Australia, riflette sul ruolo della plastica nelle società consumiste















C’è un negozio in America, un classico grocery store, un alimentari di quelli che si incontrano in tutte le città statunitensi, con arance che scintillano dalle cassette della frutta, bibite coloratissime, scatole di cereali in fila sugli scaffali, affettati e insalata di cavolo nel reparto gastronomia e riviste di gossip e cucina accanto alla cassa. Tutto normale, per un attimo. Ma le arance scintillano un po’ troppo, il rosso di quella bistecca è sospetto, il pane sembra di gomma e la marca di quel gelato è… Bag & Jerry? Questo non è uno dei tanti anonimi grocery store americani, questo ne è la copia in plastica. Qui tutto è di plastica. Dalle carote alle salsicce, dalle torte al sushi, tutto è fatto di sacchetti per la spesa, bottiglie e tappi. The Plastic Bag Store è un’installazione e performance dell’artista Robin Frohardt che il 30 giugno ha aperto le porte a Los Angeles dove resterà fino all’11 luglio.

Lo scorso autunno era in un angolo di Times Square, a New York, dove avrebbe dovuto aprire, in una prima versione che includeva uno spettacolo di marionette dal vivo, il 18 marzo 2020. A installazione già pronta, dopo la prova generale, aveva dovuto chiudere per poi riaprire a ottobre. Nel frattempo lo spettacolo era diventato un film, commissionato con le restrizioni Covid in mente, dal Center for the Art of Performance della UCLA che oggi ha contribuito a portare l’intera installazione a Los Angeles.

La trasformazione da spettacolo dal vivo a progetto cinematografico ha reso più economico far girare l’installazione che a febbraio è già stata in Australia e altre tappe verranno annunciate nei prossimi mesi. Per Frohardt è un sogno che si avvera perché l’artista di base a Brooklyn a questo progetto ci stava pensando da quasi dieci anni.

Ce lo racconta in questa intervista in cui ci spiega l’idea dietro il suo lavoro, parla del suo rapporto con i rifiuti e ci dice che ci vuole un po’ di umorismo per mettere le cose in prospettiva.

Raccontaci come nasce l’idea del Plastic Bag Store.

L’idea mi è venuta anni fa osservando come al supermercato ti imbustano qualsiasi cosa, spesso con doppia busta: una busta, all’interno di un’altra busta, contiene cose già impacchettate in scatole con all’interno altre buste. È talmente sciocco che ho pensato che sarebbe stato divertente rendere l’idea in modo ancora più ridicolo, creando un alimentari che vendesse solo imballaggi. Via via che pensavo al progetto e iniziavo a realizzare i prodotti per il negozio, un po’ alla volta mi sono interessata al problema dell’inquinamento da plastica. Ho iniziato a leggere e ho scoperto che tutta la plastica che sia mai stata prodotta dall’uomo esiste ancora in qualche forma su questa terra, perché non si biodegrada, ma si fotodegrada e basta. È una cosa che il cervello fa fatica a processare: l’idea che il contenitore in cui conservavi il caffé nel 1997 è ancora da qualche parte là fuori è tragica ma anche interessante da un punto di vista narrativo. È affascinante pensare che gli oggetti che usiamo oggi resteranno in circolazione e qualcuno potrebbe trovarli in futuro, senza avere idea di cosa fossero e come li usassimo. Così ho iniziato a lavorare con le marionette per sviluppare una narrazione e l’alimentari di plastica è diventato una specie di teatro di marionette immersivo, in cui raccontiamo una storia piuttosto elaborata che si svolge nell’antichità, nel presente e nel futuro e che è un po’ sulla plastica come artefatto, ma anche sull’essere parte della lunga storia umana. Di certo non voglio fare la predica a nessuno, ma offrire un contesto, mettere le cose in prospettiva, dire che facciamo parte di un pianeta, sulla vasta scala del tempo.
L’apertura del Plastic Bag Store doveva inizialmente avvenire a marzo 2020, ma poi c’è stata la pandemia…

Abbiamo dovuto chiudere subito dopo la prova generale, ma per fortuna il proprietario dello spazio ci ha consentito di restare e siamo stati lì per tutto il lockdown: è stato strano ritrovarci con l’installazione nella Times Square della pandemia, mentre lavoravamo a una storia in cui un personaggio dell’era post-atomica trova tracce di un negozio di alimentari del passato. Nel frattempo avevamo pensato di trasformare lo spettacolo in un film, senza sapere se saremmo mai riusciti a mostrarlo davanti a un pubblico. Ma poi in autunno i contagi erano in calo e abbiamo deciso di mostrare il film in un modo simile a quello in cui era stato inizialmente concepito lo spettacolo, usando lo spazio in modo immersivo.

Avevi già in mente Times Square quando hai concepito l’idea o la scelta della location è venuta dopo?

L’idea iniziale risale a parecchio tempo fa, forse era il 2012. E da subito avevo pensato a Time Square, un posto con cui tutti i newyorchesi hanno un rapporto di amore/odio, anzi, forse odio e basta. Anche se, dopo averci portato il Plastic Bag Store, ora mi piace di più [ride]. Volevo che fosse in un postaccio perché il Plastic Bag Store è una cosa disgustosa, volevo che si mimetizzasse, che i turisti ci incappassero per caso. Ma al tempo non avevo né le risorse né le connessioni per realizzare una cosa del genere a Times Square. Negli anni ho cercato di farlo succedere; ma a un certo punto lo avrei fatto dovunque. Poi però sono stata contatta dalla Times Square Arts e… è stato perfetto!

The Plastic Bag Store avrebbe dovuto aprire nello stesso momento in cui era previsto che a New York City entrasse in vigore il divieto di utilizzo delle buste di plastica. È stata una coincidenza?

In parte sì, avevamo intenzione comunque di aprire l’installazione in primavera. Ma sapevamo che presto sarebbe entrato in vigore questo divieto e così poi abbiamo fatto in modo di aprire nella stessa settimana.

Da dove arriva il materiale? Come te lo sei procurato?

Sono sempre in cerca, quindi trovo sempre cose, poi ho avuto amici che conservavano alcune cose per me e ho raccolto altro materiale nel mio palazzo. E poi c’è un centro di riciclaggio di fronte al mio studio dove la gente porta sacchi di bottiglie. Con loro ho fatto accordi per alcune cose specifiche: a un certo punto per esempio mi servivano bottiglioni da due litri e cercarli nella spazzatura uno ad uno sarebbe stato un po’ lungo… [ride] 

Robin Frohardt, The Plastic Bag Store (Photos by Maria Baranova-Suzuki)

In passato hai lavorato molto con il cartone e ora hai fatto tutto in plastica. Due materiali diversi, ma l’approccio è simile?

Per anni ho lavorato solo in cartone, facendo installazioni e film. Ho sempre amato le limitazioni imposte dal materiale: mi interessava vedere fino a che punto si poteva arrivare con solo cartone e colla a caldo, cosa se ne poteva tirare fuori. È una cosa che ho sempre trovato molto liberatoria. Al contrario, l’idea che si possa fare qualsiasi cosa con qualsiasi cosa la trovo un po’ paralizzante. Per me le restrizioni sui materiali sono stimolanti. Quindi la sfida di realizzare cose da sacchetti e altri rifiuti in plastica che andavo via via accumulando mi entusiasmava. A livello artistico e artigianale è stato un lavoro che mi ha dato molta soddisfazione.

Nei tuoi lavori usi spesso materiale di scarto e i rifiuti entrano in diversi modi nel tuo lavoro anche a livello contenutistico. Da dove viene questo interesse o questa fascinazione?

Viene dal fatto che fossi un’artista povera e usavo tutto ciò che potevo procurarmi gratuitamente. L’ho scoperto a San Francisco: facevo installazioni con un gruppo chiamato il The Cardboard Institute of Technology. Ci siamo accorti che potevamo raccogliere scatoloni di cartone dalla spazzatura, farci la nostra installazione e una volta finita, ripiegare i cartoni e portarli al centro di riciclaggio dove ce li pagavano. Poi credo di essere sempre stata interessata ai detriti. Sono cresciuta in un posto dove c’erano un sacco di centri commerciali, si comprava tanto e si faceva tanta spazzatura. E poi anche vivere a New York City significa essere sempre circondati da spazzatura. Se inizi a farci caso ti accorgi che è ovunque.

Robin Frohardt, The Plastic Bag Store (Photos by Maria Baranova-Suzuki)

Quindi consideri i rifiuti una risorsa…

Decisamente sì e sono anche una cosa a cui ho sempre accesso. Non saprei immaginare di fare i lavori che faccio con materiali diversi, soprattutto perché tendo a creare cose che sono… tanta roba. Non so di quale materiale che non fosse totalmente gratuito potrei mai fare un intero negozio di alimentari… [ride]

In un tuo precedente lavoro i rifiuti tornano nella forma di un Dumpster Monster, il mostro del cassonetto. Chi è?

È un personaggio che inizialmente appariva nel sogno del protagonista del mio lavoro The Pigeoning, ma lì era molto piccolo, era una marionetta. Ma poi mi è venuta voglia di farne uno in scala reale: è un grosso pupazzo gonfiabile che vive dentro un cassonetto e si gonfia ed esplode dal cassonetto e bisogna prenderlo a bastonate per rimetterlo dentro. [ride] Lo stiamo portando in tour con il Plastic Bag Store, lo mettiamo in strada di fronte al negozio.

Robin Frohardt, The Plastic Bag Store (Photos by Maria Baranova-Suzuki)

Prima dicevi che non vuoi fare la predica a nessuno, ma Plastic Bag Store e altri tuoi lavori sembrano avere un messaggio.

È sempre complicato fare un lavoro che parla di qualcosa, perché non credo sia compito mio dire alla gente cosa fare, che decisioni prendere. Di sicuro non voglio far sentire in colpa nessuno. La plastica è così radicata nelle nostre vite che è incredibilmente impegnativo essere plastic free o anche solo limitarne il consumo. Ed è anche un privilegio: ci sono tutti questi prodotti riutilizzabili e in materiali alternativi alla plastica. Sono adorabili, ma spesso costosi. Spesso l’opzione più economica è l’opzione usa e getta. Spero che questo cambi in futuro, ma per ora è così. Quindi non ho intenzione di puntare il dito. In parte è inevitabile che la gente si senta un po’ a disagio nel Plastic Bag Store, ma voglio anche intrattenerla. Quando veniamo bombardati di immagini tragiche di tutte le cose orribili che stanno accadendo come l’inquinamento da plastica, la perdita di fauna selvatica, gli oceani, tendiamo a distogliere lo sguardo, perché è troppo, ci sentiamo impotenti. Il mio è un modo indiretto di affrontare il discorso attraverso l’umorismo, è una sorta di presa in giro di noi stessi che spero produca un maggiore coinvolgimento. Non sono nella posizione di pretendere purezza: per esempio noi facciamo del nostro meglio per rendere la produzione di The Plastic Bag Store il più ecologica possibile, ma prendiamo aerei per andare da un posto all’altro, trasportiamo parecchio materiale, insomma non siamo certo senza peccato.

Robin Frohardt, The Plastic Bag Store (Photos by Maria Baranova-Suzuki)

In che modo pensi che l’arte possa contribuire alla conversazione sul cambiamento di sistema?

Per cambiare le menti prima devi cambiare i cuori, la gente ha bisogno di sentire le cose prima di razionalizzarle in pensiero. Ed è qui che l’arte può entrare in gioco: toccare gli animi, entrare in connessione con le persone a livello emotivo, visivo, spirituale, qualunque sia il livello da cui poi si arriva alle idee. L’usa e getta e tutta questa plastica monouso sembra siano sempre stati parte della nostra vita, ma in realtà sono cose molto recenti. Certamente riusciremo a transitare verso un modello diverso, ma deve avvenire un cambiamento culturale che renda il passaggio naturale, che renda queste cose fuori moda e culturalmente indesiderabili, come fumare al ristorante… [ride] Se la gente non comprerà più queste cose, smetteranno di venderle. Detto questo, io sono solo un’artista. Tutto quel che possiamo fare è alimentare la fiamma della divulgazione pubblica, continuare ad aggiungere materiale all’idea e pezzi alla conversazione.

Dicevi che la plastica monouso è una cosa recente, ma nel film che è parte dell’installazione costruisci la buffa storia di un personaggio dell’antichità che inventa il business dell’acqua in vaso. Come mai hai voluto ambientare questa cosa nel passato?

Solo perché, messa in un altro contesto temporale, appare totalmente ridicola. Creare dei vasi usa e getta per contenere acqua che poi viene trasportata su navi attraverso i mari è così sciocco quando lo racconti in forma di favola ambientata nell’antichità, ma poi pensi: oh, è esattamente quello che facciamo! [ride]

Robin Frohardt, The Plastic Bag Store (Photos by Maria Baranova-Suzuki)

Cosa speri che il pubblico porti con sé del Plastic Bag Store?

Beh, spero niente perché non è in vendita [ride]. Che la gente capisca che la plastica è male sarebbe la risposta ovvia, ma vorrei andare un po’ oltre. Si tratta di capire il contesto in cui siamo, comprendere dove siamo nel percorso della storia umana ed essere consapevoli della longevità di alcune delle decisioni che prendiamo oggi. E poi magari la prossima volta che entri in un supermercato ti sembrerà di essere nel Plastic Bag Store e forse questo produrrà un cambiamento nella tua mente.

Se tra mille anni qualcuno dovesse trovare il Plastic Bag Store cosa penserebbe?

Spero che non succeda. Spero che avrò riciclato ogni singolo pezzo dell’installazione e lo avrò trasformato in qualcosa di irriconoscibile. O magari sarà in un museo, ma non in un museo di indecifrabili reliquie come quello che i visitatori attraversano nel Plastic Bag Store, un museo d’arte! [ride]

fonte: economiacircolare.com



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Oceano e clima, dieci murales per la tutela degli ecosistemi marini

 

Da Milano a Bari, passando per Chioggia, Marina di Ravenna, Firenze, Malfa e Golfo Aranci: dieci opere di street art hanno inaugurato una campagna di comunicazione a supporto di mari ed oceani del Pianeta. Un primo passo verso un Mar Mediterraneo sempre più protetto.


Ancora una volta, l’arte diviene protagonista nella comunicazione ambientale. In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani dell’8 giugno, l’onlus Worldrise ha svelato i 10 murales frutto del progetto ‘Oceano e Clima’. Da Nord a Sud, le dieci opere sono state realizzate in tutta Italia con vernici ecologiche, ma la vera novità in termini comunicativi è che ogni singolo murales è stato associato a un talk divulgativo finalizzato a sensibilizzare riguardo il ruolo della tutela dell’ambiente marino nel fronteggiare la crisi climatica. Dalla fauna tipica al rapporto indissolubile uomo-oceano, le opere raffigurano le bellezze del mondo marino e altre forme evocative in grado di suscitare interesse e far riflettere. 


Alcuni esempi dei murales della campagna. Qui tutte le foto: Oceano e Clima


L’iniziativa si colloca all’interno della campagna 30×30 nata per puntare i riflettori sull’importanza degli ecosistemi marini del Pianeta. “Il mare – scrivono i promotori nella sezione “conoscenza” – genera tra il 50 e l’80% dell’ossigeno che respiriamo, rappresentando il polmone blu del nostro Pianeta, e assorbe un terzo del biossido di carbonio (CO₂) emesso nell’atmosfera”. Questo prezioso comparto della Terra è però in pericolo, ricordano nella sezione “consapevolezza” dove suggeriscono diverse sfide necessarie da affrontare per salvaguardarlo. Ma le potenziali soluzioni non mancano: nella sezione “rispetto”, infatti, sono diverse le possibilità elencate che potremmo adottare per proteggere mari ed oceani del Pianeta. A partire dalle Aree Marine Protette. L’iniziativa, non a caso, contribuisce ad uno sforzo internazionale indirizzato alla protezione di almeno il 30% dell’oceano entro il 2030. “La campagna – scrive Worldrise – punta ad applicare questo target nelle acque italiane, un obiettivo tanto grande quanto necessario a garantire la funzionalità e produttività del Mare nostrum, il Mar Mediterraneo”.

Una campagna a 360 gradi, ben fatta in termini grafici ed esaustiva a livello di contenuti. Promossa da un video dal forte impatto emotivo e corredata di tutte le informazioni utili per facilitare, anche a chi privo di un background scientifico, la comprensione dell’importanza dei nostri mari, nonché per capirne le problematiche e, di conseguenza, trovare il coraggio di agire. Inoltre, ha una marcia in più: non che il solo fine di sensibilizzare sia meno nobile, tuttavia, rispetto ad altre campagne, 30×30 si prefigge di dare seguito a degli obiettivi ecologici indispensabili, quali quelli stabiliti dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), oltreché ai nuovi target del Global Biodiversity Framework e della Eu biodiversity strategy.




fonte: www.envi.info


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Mount Recyclemore, la gigantesca scultura dei leader del G7 si trova su una scogliera vicino a Carbis Bay in Cornovaglia

I leader del G7 raffigurati nella scultura di rifiuti elettronici di Mount Recyclemore



L'installazione artistica in Cornovaglia creata da 20.000 pezzi di tecnologia scartata evidenzia la crescente minaccia che rappresenta per l'ambiente

Le sette facce giganti incombono sopra le dune, guardando cupamente le distese di mare luminoso che si dirige verso l'oceano.

Anche prima che il G7 si sedesse per iniziare il vertice della Cornovaglia, Mount Recyclemore, una scultura fatta di rifiuti elettronici scartati che raffigura i volti dei sette leader, sembrava destinata a essere una delle stelle dello spettacolo.

Creato dall'artista Joe Rush e dal tech business musicMagpie, il pezzo è apparso sulla spiaggia di Sandy Acres, proprio lungo la costa da Carbis Bay, dove i leader si stanno incontrando.

Circa 15 artisti hanno contribuito a creare la struttura in sei frenetiche settimane presso il cantiere/studio di Rush nel sud di Londra. Le parti sono state quindi spedite in Cornovaglia su camion e assemblate in loco.

Rimarrà sulla spiaggia fino a domenica, dopodiché il piano è di allestirlo presso la sede di musicMagpie a Stockport, Greater Manchester.

Diversi artisti hanno avuto il compito di raffigurare ogni leader. "Sono personaggi individuali e abbiamo avuto singoli artisti che ci hanno lavorato in modo che abbiano i loro gusti individuali", ha detto Rush.

“Dobbiamo riciclare le cose, dobbiamo far durare le cose. Non possiamo semplicemente buttarlo in discarica. Non è solo un problema di un politico; è un problema che la razza umana deve affrontare”.

Uno dei collaboratori di Rush, Alex Wreckage, ha ammesso che c'erano state discussioni su chi avrebbe ottenuto le parti migliori. "Ci sono state alcune discussioni: 'Voglio quel pezzo, è il naso di Biden', 'No, è Merkel'.

I volti sono 3 metri per 1 metro e costruiti con 12 tonnellate di rifiuti elettronici - circa 20.000 pezzi di tecnologia scartata.

Alex Wreckage, a sinistra, e Joe Rush davanti a Mount Recyclemore, la loro gigantesca scultura realizzata con componenti elettronici scartati.
Secondo musicMagpie, l'obiettivo era evidenziare l'enorme minaccia ambientale dei rifiuti elettronici: si sosteneva che il Regno Unito fosse uno dei peggiori trasgressori. Ha anche pubblicato una ricerca che ha scoperto che quattro britannici su cinque non sapevano cosa fossero i rifiuti elettronici e che metà dei britannici (47%) non riciclava, rivendeva o donava la loro vecchia tecnologia in beneficenza, con la maggior parte che ha optato per tenersi esso invece, dove finisce in fondo ai cassetti a raccogliere polvere.

Steve Oliver, fondatore e amministratore delegato di musicMagpie, ha affermato che c'è stata una reazione "sorprendente" al pezzo.

Il G7 e un momento cruciale per il clima
Ha detto: “I rifiuti elettronici sono un problema crescente in tutto il mondo e il suo impatto sull'ambiente è significativo. Se inviati in discarica, i rifiuti elettronici possono rilasciare sostanze chimiche nocive nel suolo e nell'acqua o, se inceneriti, i fumi rilasciano sostanze chimiche nell'aria, contribuendo al riscaldamento globale.

"Non solo questo, ma tutto, dai nostri telefoni ai nostri laptop, dipende molto da materiali preziosi per funzionare, che non sono solo risorse limitate, ma hanno anche un impatto diretto sui cambiamenti climatici quando vengono estratti dalla terra".

Come parte della sua campagna Mount Recyclemore, musicMagpie ha collaborato con l'ente benefico globale per la gestione dei rifiuti WasteAid. Per tutto il mese di giugno donerà all'organizzazione benefica £ 1 per ogni pezzo di merce di consumo scambiata dai clienti.

Rush è rinomato per le sue installazioni artistiche ambientali e ha collaborato con artisti tra cui Banksy, Vivienne Westwood e Damien Hirst. Si autodefinisce un “artista dei margini”.

Lui e Wreckage sono tra gli artisti che creano Trash City e Unfairground in un angolo del festival di Glastonbury.


fonte: www.theguardian.com


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“Inquinamento illustrato” per celebrare la Giornata mondiale dell’ambiente

Il collettivo artistico Ronin racconta le problematiche ambientali con una serie di immagini realizzate per l’SNPA




La Giornata mondiale dell’ambiente, istituita nel 1972 e celebrata ogni 5 giugno dal 1974, è lo strumento principale scelto dalle Nazioni Unite per promuovere la consapevolezza a livello globale della problematiche collegate alla protezione dell’ambiente. Negli anni si è focalizzata su temi diversi, come l’inquinamento marino, i cambiamenti climatici e il tema scelto per quest’anno è il ripristino degli ecosistemi.

Con l’occasione della giornata 2021, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente ha iniziato una collaborazione con il collettivo Ronin, un gruppo di artiste e artisti indipendenti presenti sull’intero territorio nazionale che ha realizzato una serie di illustrazioni legate alle questioni ambientali, con un occhio attento al tema portante dell’anno in corso.

Le 17 illustrazioni, selezionate dagli autori assieme alla redazione di AmbienteInforma, sono state raccolte in una galleria sulla pagina Facebook del collettivo e sono coperte dalla licenza Creative Commons CC BY-NC che consente la condivisione e il riuso delle immagini, esclusi i fini commerciali e citando il nome degli autori. I dettagli della licenza sono disponibili alla pagina https://creativecommons.org/licenses/?lang=it




fonte: www.snpambiente.it

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Quando il riciclo della plastica diventa arte

Sarà capitato a molti di ritrovare pezzi di plastica appartenenti ad un oggetto che, se non attaccati a quello, perdono la loro utilità. Non è così per Lady Be, un’artista italiana che trasforma la plastica a fine vita in opere d’arte.














Letizia Lanzarotti, in arte Lady Be, ha trovato un modo per esprimere la sua arte e al tempo stesso sensibilizzare il pubblico sul tema del riciclo degli oggetti a lei molto a cuore.

Questa giovane artista di Pavia, il cui nome d’arte esprime il suo amore per i Beatles, è celebre in Italia e all'estero per i suoi mosaici fatti interamente da materiali di scarto di plastica come tappi, bottiglie, vecchi giocattoli e oggetti di bigiotteria; i risultati sono davvero sorprendenti, con colori vivaci e che attirano l’attenzione. I soggetti rappresentati sono principalmente ritratti di celebri artisti e personaggi storici.





I materiali utilizzati per comporre i mosaici sono oggetti che tutti abbiamo avuto almeno una volta nella vita, Lady Be li cerca nei mercatini o durante delle passeggiate, li taglia e modella e li archivia poi per colore utilizzandoli nella fase creativa. Gli oggetti più strani con cui le è capitato di lavorare sono stati bigodini, cavi elettrici, bambole e giocattoli rotti levigati dall'acqua di mare. La filosofia dell’artista dietro ogni suo quadro è quello di utilizzare solo materiali che hanno avuto una vita precedente e dargli un nuovo scopo e tutelare al tempo stesso la natura lanciando un messaggio alle persone per riflettere sull'importanza del corretto utilizzo e smaltimento dei rifiuti contro la tendenza del consumismo e della politica dell’usa e getta.




Dopo la scuola d’Arte e l’Accademia di Belle Arti è nato il suo primo mosaico di 150x150cm raffigurante il ritratto di Marylin Monroe, realizzato con i giochi di plastica accumulati da bambina e nel tempo dall'artista stessa. Nonostante gli studi per disegno classico però, l’interesse dell’artista per il riutilizzo di materiali riciclati era già radicato in lei, facendole sostituire pennellate e pittura con oggetti di plastica riciclati, lucidati con la resina e proponendo una tecnica simile al mosaico.

L’aspetto peculiare delle opere di Lady Be è quello di risvegliare ricordi collegati a ciascun oggetto utilizzato, se l’opera viene vista da vicino, mentre se vista da lontano si riconosce il soggetto da lei rappresentato.





Come già detto l’artista si concentra soprattutto sui ritratti in quanto suscita un impatto e interesse maggiore sulle persone e può essere utilizzato come veicolo per far passare messaggi importanti quali il riciclo della plastica o la protesta contro la violenza sulle donne come nel caso dell’opera d’arte raffigurante una Barbie col volto tumefatto composta da tanti piccoli pezzi della famosa bambola. Altre opere riconducibili all'artista sono i ritratti di David Bowie, Salvador Dalì, Papa Francesco e i Beatles di cui è stata proposta anche un’opera d’arte da cui era possibile staccare un pezzetto e portarselo a casa come ricordo.

fonte: https://www.soluzioniplastiche.com


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Un artista crea un murale spettacolare con 200 mila tappi di plastica















Oscar Olivares è un artista venezuelano di 23 anni che sta utilizzando la propria arte come un modo per riciclare i prodotti di plastica. Il giovane ha affermato che: 'Oltre a studiare e utilizzare differenti tecniche, uso l'arte per sentirmi felice e per esprimere i miei sentimenti e le mie idee'
















Oscar, in collaborazione con un'organizzazione per la salvaguardia dell'ambiente venezuelana chiamata OkoSpiri, ha creato un gigantesco murale, servendosi solamente di tappi di bottiglie di plastica o di altri recipienti. 




Per completare la propria opera, il giovane artista ha utilizzato 200 mila tappi e ci ha impiegato circa

















Il risultato del suo lavoro é impressionante, si tratta di un murale che si trova nella città di El Hatillo, che ha una altezza che varia tra i 3,5 e i 7,25 metri per una larghezza di 45 metri



















Oscar ha affermato che: "Sono molto felice quando disegno e creo. Ma quello che desidero di più è che le persone provino la mia stessa felicità nel vedere le mie opere"

















La gioia e la felicità sono chiaramente espresse nella composizione che ha dato un volto nuovo a questa parte della città; poichè Oscar ha ricreato delle meravigliose are, grandi pappagalli dalle lunghe code e dai colori vivaci, rappresentate nel loro habitat naturale



















Oltre agli uccelli, nel colorato murale si possono vedere girasoli, montagne, edifici, uno splendido cielo stellato e altri elementi creati dall'artista
























Il suo meraviglioso lavoro è un esempio che dimostra a tutti noi che l'arte è in grado di trasformare le città e che la plastica può essere riutilizzata in modo creativo

fonte: https://curiosandosimpara.com

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Gli alberi vengono riciclati e diventano opere d’arte. Succede a Caserta

La natura risorge nella Reggia di Caserta in forma inedita e artistica
















Succede, a volte, che la natura risorga, esattamente come la fenice dalle sue ceneri. E se a rendere possibile questo piccolo miracolo è la mano dell’uomo, il risultato non può che renderci orgogliosi del nostro operato nel mondo. E questo è un po’ quello che è accaduto all’interno della Reggia di Caserta, che si prepara all’imminente riapertura, più bella che mai.
Ma facciamo un passo indietro per comprendere meglio la situazione, e torniamo a dicembre 2019 quando, con l’arrivo del cattivo tempo, moltissimi alberi del parco e del giardino della Reggia di Caserta sono stati abbattuti, una ferita molto importante per il Complesso vanvitelliano.
Ma la natura non poteva morire in questo modo, ecco quindi che attraverso un avviso pubblico è stato istituito un progetto per la cessione del materiale con l’obiettivo di recuperare e valorizzare ciò che non doveva andare perduto, una sorta di riciclo creativo totalmente naturale.
L’arrivo di Covid-19 però, ha cambiato tutti i piani e il procedimento è stato sospeso, almeno fino ai giorni scorsi, quando i lavori sono finalmente ripartiti. Così gli alberi della Reggia sono stati riciclati e abbigliati in una forma assolutamente inedita.
Il legname degli alberi storici infatti, è stato utilizzato per realizzare oggetti di artigianato artistico che si potranno acquistare a Caserta e a Napoli. L’altra parte di materiale invece, sarà utilizzato per produrre energia pulita, mediante la gassificazione di scarti organici, destinata all’intero complesso della Reggia.
Si tratta di un progetto sperimentale che prevede il riutilizzo di materiali, nell’ottica dello sviluppo di una filiera territoriale etica e ecosostenibile, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030, che nello specifico riguardano salute e benessere, energia pulita e accessibile, consumo e produzioni responsabili per preservare il clima e la vita sulla Terra.
E quale occasione migliore, se non quella della riapertura, per raccontare i primi progressi di questo straordinario progetto? Dopo tre mesi di chiusura forzata per l’emergenza da Coronavirus infatti, il 2 giugno lo straordinario Parco reale aprirà ai visitatori che potranno godere di una vera e propria immersione in un patrimonio naturalistico, paesaggistico e architettonico incredibile, uno dei più belli del nostro Paese e del mondo.
fonte: https://siviaggia.it

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