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Poliuretano riciclato dai materassi

Partirà a Torino un impianto sperimentale realizzato dalla start-up ReMat con il supporto finanziario del gruppo Iren.













La multiutility emiliana Iren ha deciso di investire, tramite la controllata Iren Ambiente, nella start-up torinese ReMat con l'obiettivo di sostenere l'avvio, a Torino, di un impianto per il riciclo meccanico di sfridi della lavorazione di poliuretano espanso e di imbottiti post-consumo, dai sedili auto ai materassi; al termine del processo verranno trasformati in semilavorati per materassi, pannelli fonoassorbenti o termoisolanti, imbottiture per veicoli (parti di sedile, cappelliere, insonorizzazione vano motore).

L’accordo prevede un finanziamento tramite equity e convertible a sostegno della fase di acquisto e collaudo degli impianti per il recupero del poliuretano e del successivo avvio della produzione e commercializzazione del materiale riciclato. Con in tasca l'autorizzazione sperimentale concessa dalla Città Metropolitana di Torino e grazie al supporto finanziario di Iren Ambiente, ReMat potrà completare il collaudo dell’impianto ed iniziare, già nelle prossime settimane, a trattare parte del poliuretano raccolto e gestito dal Gruppo Iren consentendone il recupero e la successiva commercializzazione.

fonte: www.polimerica.it


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Un batterio per metabolizzare i rifiuti di poliuretano, tra i più difficili da riciclare

Alcuni ricercatori tedeschi sostengono di aver identificato un ceppo di batteri in grado di degradare alcuni dei componenti chimici di una delle plastiche più difficili da riciclare: il poliuretano
















La difficoltà nel riciclare alcune tipologie di plastica è uno dei motivi per cui lo smaltimento di questo materiale rimane un problema così serio per il nostro ecosistema. Una soluzione in tal senso potrebbe arrivare dal degrado biologico. Una nuova ricerca, pubblicata su Frontiers in Microbiology, ha identificato un microbo che potrebbe capace di metabolizzare una delle materie plastiche più difficili da riciclare: il poliuretano. 
Dal 2015 l’Europa ha prodotto ogni anno oltre 3,5 milioni di tonnellate di plastica poliuretanica, ampiamente utilizzata come schiuma e materiale isolante in prodotti che vanno dai frigoriferi alle calzature. Volumi così elevati richiedono necessariamente una gestione dei rifiuti ecologica ed efficiente.
Come primo passo, i ricercatori hanno isolato un batterio del suolo da un sito ricco di rifiuti in plastica. “Il ceppo, identificato come Pseudomonas sp. TDA1 […] è stato in grado di crescere su una soluzione PU-diol, un oligomero poliuretanico, come unica fonte di carbonio, azoto ed energia”. Il batterio è riuscito ad adattare il proprio metabolismo per “nutrirsi” di questo tipo di plastica. Lo Pseudomonas sp. TDA1 proviene da un gruppo di batteri, parte della famiglia di microrganismi estremofili noti per la loro capacità di gestire composti organici tossici, che possono sopravvivere negli ambienti più difficili
Per il team di ricerca, però, questa scoperta è solo l’inizio. Prima di poter iniziare a utilizzare lo Pseudomonas sp. TDA1 sui rifiuti di poliuretano saranno necessari studi approfonditi sui processi biochimici alla base del metabolismo di questo batterio. Per il microbiologo Hermann Heipieper, del Centro Helmholtz per la ricerca ambientale, “questa scoperta rappresenta un passo importante nella possibilità di riutilizzare prodotti in poliuretano difficili da riciclare”. Infatti le strategie di valorizzazione dei rifiuti in plastica possono contribuire ad un “uso sostenibile dei polimeri sintetici”. 
In ogni caso l’utilizzo di batteri non è l’unica speranza per i rifiuti di poliuretano. Un altro studio, realizzato dall’Università dell’Illinois, ha sviluppato, ad agosto 2019, un metodo per trasformare questi rifiuti in altri prodotti utili, come ad esempio la colla. Inoltre i sempre maggiori sforzi messi in campo per ridurre l’utilizzo e la produzione di plastica possono essere d’aiuto per far fronte a uno dei problemi più stringenti del XXI secolo. Infatti, come concludono i ricercatori, “le materie plastiche post-consumo rappresentano già un grave problema per l’ambiente e in futuro il loro impatto sarà ancora più grande”. 
fonte: www.rinnovabili.it

Dal riciclo dei vecchi frigoriferi l’eco-assorbente anti olio

OKO-PUR nasce dal recupero del poliuretano dei frigoriferi. È in grado di assorbire l’olio anche in acqua, rendendola decontaminata al 95%














Recuperare i RAEE domestici, ossia i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, per ottenere un prodotto in grado di rispettare l’ambiente e assicurare l’assorbimento idrocarburi e prodotti chimici presenti nel suolo e nei corpi idrici. È quanto fa l’azienda emiliana Airbank, con OKO-PUR, l’assorbente ecologico creato grazie al riciclo dei vecchi frigoriferi. Studiato per assorbire oli, grassi, benzina, gasolio e vernici presenti sul suolo degli ambienti di lavoro, OKO-PUR si impiega come comune segatura. È certificato come assorbente per sedi stradali trafficate ma – sottolinea la società, è in grado di catturare anche l’olio in acqua, rendendola decontaminata al 95% e formando grandi grumi che possono essere poi facilmente recuperati.

Per realizzarlo l’azienda recupera poliuretano dei frigoriferi, sostanza che garantisce l’isolamento tra l’interno ed esterno dell’elettrodomestico. Si tratta di un rifiuto polimerico difficile da smaltire e corrisponde a circa il 15 per cento del materiale di cui è composto un frigo. In media ogni apparecchio contiene quattro chili di poliuretano da cui Airbank ottiene il suo eco-assorbente, prodotto sia in forma di polvere che di granuli.

Il prodotto finale ha una capacità di assorbimento molto elevata, che va da 3,7 a 10 volte il proprio peso: con il contenuto di un sacco da 6,8 chili si assorbono dai 20 agli 80 chili di liquidi.
“Idrorepellente, antiderapante, non produce fanghi e non solidifica, non assorbe l’acqua in caso di pioggia e ha un costo di smaltimento notevolmente ridotto – sottolinea Gloria Mazzoni, presidente di Airbank – OKO-PUR è un prodotto innovativo che esemplifica il concetto di economia circolare, pensa all’ambiente ed ha una serie di caratteristiche che lo rendono vantaggioso anche dal punto di vista economico”. Per produrne un chilo, spiega la società, si evita l’emissione di 250 chili di CO2 nell’atmosfera, risparmiando su energia e materie prime e contribuendo a proteggere l’ambiente.

fonte: http://www.rinnovabili.it