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Il principio di precauzione è regola
Il nuovo Regolamento di Polizia Rurale del Comune di Ponte nelle Alpi (Belluno) vieta l’uso in tutto il territorio del comune dei più pericolosi prodotti fitosanitari attualmente utilizzati in varie pratiche agricole.
L’approvazione del regolamento è stata preceduta da un percorso di partecipazione coordinato con le organizzazioni: “Terra Bellunese” (ne fanno parte legali, tecnici agronomi, produttori agricoli etc. che ha redatto il regolamento e ne promuove l’adozione ai comuni della provincia) e “Liberi dai Veleni” (Coordinamento Provinciale di movimenti che si occupano del tema).
Si sono tenuti tre incontri pubblici sui temi:
- Effetti sulla salute dell’impiego di prodotti fitosanitari (medico ISDE);
- proiezione del film-documentario “Cresceranno le siepi”. Il film racconta, attraverso le testimonianze di una dozzina di contadini, il nuovo modello di agricoltura – basato su ecologia, sostenibilità, qualità dei prodotti e rispetto della salute – che si sta diffondendo in Veneto e non solo;
- Progettazione in Permacultura.
Sono in programma nelle prossime settimane altri appuntamenti:
- Un incontro con le aziende agricole professionali e non;
- Un incontro con le associazioni di categoria del settore;
- un incontro con le commissioni comunali.
Si tratta di un primo passo verso un’agricoltura amica della terra e dell’uomo, molto resta ancora da fare. “Anche i Comuni possono fare la loro parte – sostiene l’assessore all’ambiente Ezio Orzes -, per custodire la biodiversità“. Il regolamento è stato approvato all’unanimità dal Consiglio Comunale.
fonte: comune-info.net
Sorpresa: ricicliamo oltre il 40% dei rifiuti. L’Italia sta diventando virtuosa?
Pneumatici
che diventano suole di scarpe, fondi dei caffè che diventano funghi,
reti da pesca che diventano jeans. Ecco come l’economia circolare si sta
diffondendo in Italia: dai rifiuti la nascita di nuove risorse
Nel
2008 Mark Bowles, 48enne di San Diego con la faccia da ragazzino, ebbe
un’idea chiacchierando con un amico: perché non pagare i consumatori che
decidevano di cedere il proprio cellulare in disuso affinché venisse
ricondizionato, riciclato e rivenduto? All’epoca solo il 3% dei
dispositivi nel mondo veniva riciclato. Eppure i telefonini, com’è noto,
contengono materiali tossici tra cui arsenico, litio, cadmio, mercurio e
zinco. A Mark venne così l’idea di creare alcuni chioschi di riciclo in
giro per gli Stati Uniti. Postazioni dotate di un sistema di
intelligenza artificiale in grado di scansionare e valutare più di
quattromila modelli ed emettere un preventivo che il cliente poteva o
meno accettare: da 1 a 300 dollari. Sono nate così le ecoAtm, i bancomat
del riciclo, che al 31 luglio 2014 hanno recuperato in tutta l’America
250 tonnellate di dispositivi, 30 tonnellate di rame (abbastanza per
costruire un’altra Statua della Libertà) e 700 chili di argento
(sufficienti per coniare 22.540 monete d’argento da un dollaro American
Eagle). Procedure simili oggi vengono adottate anche dai colossi hi-tech
come Apple ma Mark forse non sapeva che la sua idea era datata
addirittura diciottesimo secolo: nel 1798 infatti Thomas Malthus
pubblicò un saggio considerato tra le basi dell’economia circolare. Nel
1931 fu il turno dell’economista Harold Hotelling che scrisse di
«prodotti troppo economici sfruttati egoisticamente a un ritmo
eccessivo, e realizzati e consumati in modo tale da generare molti
sprechi». Non suona familiare?
L’economia del «prendere, produrre e buttare»
Eppure
l’economia basata sui principi del «prendere, produrre, buttare» ha
continuato a regnare incontrastata per anni in tutto il mondo
occidentale. Ma lo sviluppo economico così come lo conosciamo è
destinato ad andare in rotta di collisione con la disponibilità di
risorse e con un numero: il mondo è sommerso da 11 miliardi di
tonnellate di rifiuti e solo il 25% viene recuperato e reinserito nel
sistema produttivo. Il resto — come spiega bene il libro Circular
Economy, dallo spreco al valore, edizioni Egea, 2016 — è un’opportunità
perduta che riempie i bidoni della spazzatura e intasa le discariche.
Per un valore annuo perduto che può arrivare anche a mille miliardi di
dollari (300 per i rifiuti urbani, 700 per quelli industriali). Lo sanno
bene i cittadini di Capannori, 46 mila abitanti in provincia di Lucca,
che hanno aderito da anni alla strategia «Rifiuti zero» insieme ad altri
223 paesi di tutta Italia per oltre quattro milioni di abitanti
coinvolti. Obiettivo: raccolta differenziata su larga scala con quote
percentuali superiori al 70%, riuso e riparazione degli scarti, utenze
pagate sulla base della produzione effettiva dei rifiuti. E non sono
neanche gli unici.
Dove la differenziata è al 90%
«Purtroppo
l’Italia nell’immaginario collettivo è ancora il paese delle
discariche, delle emergenze rifiuti e delle immagini choc
dell’immondizia di Napoli — spiega Stefano Ciafani, direttore di
generale Legambiente —. Invece ci siamo lasciati alle spalle quelle
stagioni vergognose e oggi il nostro paese può contare su 1.500 comuni
dove vivono oltre 10 milioni di abitanti in cui la raccolta
differenziata supera il 65%». Si tratta dei cosiddetti comuni
«ricicloni» a cui ogni anno l’associazione dedica un dossier con tanto
di classifica. Nel 2015 il vincitore assoluto è stato Ponte nelle Alpi,
paesino di 8.500 abitanti a due passi da Belluno. Passato dal progetto
di trasformare un’ex cava in una discarica da un milione di tonnellate
di spazzatura l’anno, a diventare il paesino italiano più virtuoso in
cui la raccolta differenziata arriva a tassi vicini al 90%. Una mosca
bianca? Non proprio.
La sorpresa del Sud
Se
è vero che i comuni italiani sono poco più di 8 mila e solo in 1.500
partecipano all’iniziativa Legambiente, è altrettanto vero che stando
all’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la
ricerca nell’ambiente, tra il 2011 e il 2013 l’Italia è riuscita a
ridurre del 6,9% i rifiuti destinati alla discarica. E secondo
l’Eurostat il tasso di riciclo nel nostro paese è passato dal 17,6% del
2004 al 42,5% del 2014. «Alla fine degli anni novanta riciclavamo il 5%
dei rifiuti urbani — aggiunge Stefano Ciafani -— siamo arrivati a
moltiplicare per otto la quota del riciclo in meno di vent’anni». Con
casi particolarmente virtuosi e alcune sorprese. Secondo Legambiente
infatti tutte le regioni, eccetto la Val d’Aosta, possono vantare un
comune come esempio virtuoso di buona gestione del servizio di raccolta e
avvio al riciclo. Ma le regioni del Nord Italia non brillano più come
prima: Lombardia e Piemonte ad esempio «sono abbondantemente surclassate
dalle Marche e dalla Campania e tallonate dall’Umbria». E la sorpresa
più grande è proprio la Campania dove la maggioranza dei comuni si
avvicina alla soglia di differenziata dal 65%, con l’eccezione quasi
unica del capoluogo. «Napoli ha numeri interessanti rispetto al passato —
spiega Walter Facciotto, direttore generale di Conai, consorzio
nazionale imballaggi — ma ha ancora un lungo percorso da fare. Invece
comuni come Bari, Catanzaro, Potenza, Matera, hanno iniziato a
realizzare dei sistemi di raccolta qualitativa. A Catania, in alcuni
quartieri, si è passati nell’arco di qualche mese dall’11 al 60% di
differenziata. Non si tratta — precisa Facciotto — di un problema
culturale, ma di organizzazione e volontà politica». E di ritorno
economico. Perché la retorica ambientalista, per anni, ha prodotto una
discreta indifferenza sull’azione pratica dei consumatori.
Gli scarti di arance che diventano tessuti
«Oggi
invece da una parte le aziende hanno capito che l’economia circolare
porta un netto vantaggio in termini di costi — spiega Beatrice Lamonica,
responsabile della practice di sostenibilità di Accenture Strategy — e
dall’altra parte gli utenti finali hanno cambiato approccio al consumo e
ora più che al possesso ad esempio, pensano alla condivisione di alcuni
servizi e prodotti che consente anche di risparmiare». Come nel
fenomeno della sharing economy in cui il principio della proprietà
lascia spazio alle prestazioni e l’utilità. Ma parlare di economia
circolare significa soprattutto parlare di scarti che diventano risorse.
Anche attraverso la creatività. È il caso di due italiani, Antonio Di
Giovanni e Vincenzo Sangiovanni, che hanno avviato una start-up per
produrre i funghi dai fondi di caffè con l’investimento di un
imprenditore giapponese, Tomohiro Sato. O il caso delle siciliane Enrica
Arena e Adriana Santanocito, fuori sede a Milano, che si sono fatte
conoscere in tutto il mondo per i loro tessuti creati dagli scarti di
arance e limoni e con la loro Orange Fiber sono state premiate persino
dalle Nazioni Unite. E l’impegno ad estendere la vita dei prodotti
arriva anche dai grandi gruppi. Starbucks ha avviato a Tokyo una
sperimentazione con un’azienda giapponese: non sapendo cosa fare dei
fondi di caffè scartati nei suoi locali, invece di limitarsi al
compostaggio, ha deciso di trasformarli in cibo per mucche. In tal modo
gli animali producono latte di maggior qualità. Stesso latte che viene
poi utilizzato nei punti Starbucks di tutto il Giappone. Procter &
Gamble e General Motors operano ormai sulla base di un modello rifiuti
zero e tutti gli scarti produttivi generati nelle loro sedi vengono
riciclati, reimpiegati per altri usi o trasformati in energia.
Timberland ha sottoscritto una partnership con un’azienda, la Omni
United, che sviluppa una linea di pneumatici studiati per essere
rigenerati alla fine del ciclo di vita e trasformati in suole di scarpe.
Il primo impianto di riciclo dei pannolini
Ma non serve andare fino in Giappone o negli Stati Uniti per trovare esempi virtuosi di «circular economy». A Spresiano, in provincia di Treviso, è nato il primo impianto europeo di riciclo dei pannolini da cui è possibile creare plastica in granuli e materia organico-cellulosica completamente sterilizzata. Come? Lavando e sterilizzandoli tramite vapore a pressione che elimina anche i cattivi odori. Il trattamento permette di ricavare materie prime seconde da riutilizzare in nuovi processi produttivi. Il progetto, co-finanziato dall’Unione Europea, è sviluppato da Fater (Pampers, Lines, Tampax). E oggi da una tonnellata di rifiuti si riescono ad ottenere anche 350 chili di cellulosa e 150 chili di plastica. Aquafil, azienda di Trento leader nella produzione di fibre sintetiche, recupera reti da pesca a fine vita e produce il nylon con cui viene realizzata una linea di jeans Levi’s. Pur essendo infatti il cotone la principale materia per la realizzazione del denim, in futuro non ci sarà sufficiente terra disponibile per soddisfare la crescente domanda. E le aziende stanno pian piano cercando alternative: da qui la partnership Aquafil Levi’s per l’uso di fibre diverse come il nylon. «Con un triplice vantaggio — spiega Lamonica, tra gli autori del libro Circular economy — si riducono gli scarti in mare dove molte reti vengono abbandonate a fine vita, si risparmia sul costo di smaltimento in discarica e si utilizzano tessuti meno inquinanti».fonte: http://www.corriere.it
Rifiuti: la soluzione a portata di mano
Ponte nelle Alpi (BL) è ormai da quasi un decennio il comune più virtuoso d’Italia in fatto di gestione dei rifiuti.
In questi giorni di campagna elettorale per le amministrative del prossimo 5 giugno, ci pare utile riproporre un interessante articolo dello scorso anno (le cose, nel frattempo, sono cambiate in meglio…) relativo all’esperienza incredibile di un comune che ha scelto di fare a meno di discariche e inceneritori e mettere in campo un (quasi perfetto) sistema di raccolta domiciliare con tariffa puntuale.
Qualche candidato sindaco è interessato a sperimentare una pratica di successo nel proprio territorio, una volta eletto?
IL PROGETTO DI PONTE
DIAMO I NUMERI, tutte le cifre relative al porta a porta di Ponte nelle Alpi
fonte: http://comunivirtuosi.org/
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