Accertamenti presso la ditta Ecoservizi a Lammari - Capannori

Dai sopralluoghi sono emerse alcune problematiche ambientali relative alla gestione dei rifiuti stoccati
A seguito di richiesta del Comune di Capannori, il 25/11/2015 ARPAT ha svolto alcuni accertamenti, in collaborazione con il Corpo di Polizia Municipale di Capannori, presso lo stabilimento Ecoservizi di Riccomini David, in via Traversa Lammari.
Dai sopralluoghi sono emerse alcune problematiche ambientali relative alla gestione dei rifiuti che vi erano nel tempo stati stoccati.
L'impianto, autorizzato alla gestione di rifiuti con Determina 74/09 della Provincia di Lucca, risulta in procedura fallimentare dal 29/05/2015, per la quale è stato già nominato un curatore fallimentare.
Durante gli accertamenti è risultato che l'impianto versa in una situazione di totale abbandono e che in passato venivano stoccate diverse tipologie di rifiuto, anche pericolose: principalmente oli minerali esausti.
Si è però potuto accertare che i 5 silos destinati allo stoccaggio degli oli e dei carburanti risultano vuoti e che al di sotto di una tettoia e su area pavimentata sono presenti alcune cisternette vuote ma che avevano contenuto in passato olio esausto.
In collaborazione con personale del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Capannori si è verificato che non vi è presenza di contaminazione all'esterno dell'area.
Nei magazzini sono presenti alcuni barattoli di prodotti chimici (barattoli di vernici) e materie prime in piccola quantità costituite da contenitori di olio minerale nuovi e sigillati.
Al di sotto di un capannone è presente un cumulo di rifiuti costituiti da rifiuti ingombranti, tra cui mobili e suppellettili.
Sono ancora presenti alcuni autoveicoli in uso alla ditta ormai da dismettere.
In data 02/12/2015, ARPAT ha già dato notizia alla allora Provincia e al Comune di Capannori dello stato dei luoghi e il curatore fallimentare ha già provveduto, là dove necessario, ad isolare e mettere in sicurezza i rifiuti presenti e sta provvedendo al completamento della bonifica dell'area e allo smaltimento dei rifiuti ancora presenti.
Dato lo stato d'abbandono dell'area, ARPAT ha suggerito alla Magistratura di valutare la possibilità di un sequestro preventivo allo scopo di salvaguardare i luoghi e renderli inaccessibili anche a terzi. La Magistratura ha dato il consenso e dal giorno 10/02/2016 si è proceduto al sequestro dell'area.
Ad oggi, con gli interventi già messi in atto, non si ha motivo che possano sussistere pericoli immediati per le persone e l'ambiente circostante.

fonte: http://www.arpat.toscana.it

Inquinamento, i cambiamenti climatici stanno uccidendo la Grande Barriera Corallina

Ci sono le immagini aeree a mostrarlo: la Great Barrier Reef d’Australia, una delle meraviglie naturali più suggestive del mondo, ha perso i suoi vivaci colori e la vita che ospitava ed è al 95% “sbiancata”Non si sa se tornerà mai normale, ma secondo i più pessimisti metà morirà fra qualche settimana. È il peggior episodio di “sbiancamento” delle barriere coralline mai registrato.
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La Great Barrier Reef è composta di circa 3.000 sistemi indipendenti e 900 isole che si snodano su un area di circa 350mila chilometri quadrati. La si vede dallo spazio ed è la più grande struttura del mondo costruita da esseri viventi: miliardi di polipi corallini che si sono organizzati da sole nel tempo. Per la sua bellezza, per la biodiversità della vita che ospita, la Great Barrier Reef d’Australia è un sito protetto dall’Unesco dal 1981.
Ma sta morendo. Terry Hughes, il capo del National Coral Bleaching Taskforce d’Australia che ha eseguito il sondaggio dello stato di salute della barriera ha detto che questo è stato il peggior viaggio della sua vita. Di centinaia tratti di barriera analizzati fra la città di Cairns, Australia fino a Papua Nuova Guinea, un tragitto di 400 chilometri di mare, Hughes ha trovato che solo 4 segmenti su 520 erano sani. Il resto erano tutti sbiancati. Un ecosistema sano avrebbe presentato invece diversità di colori e vita.
Perché i coralli sbiancano? Sbiancano a causa dell’aumento della temperatura del mare, a sua volta causato dai cambiamenti climatici visto. Gli oceani infatti assorbono il 93% del calore generato dall’effetto serra sul pianeta. I coralli sono particolarmente sensibili alla temperatura dell’acqua in cui vivono. Anche aumenti modesti di temperatura portano al rigetto dell’alga principale che le compongono e che le danno colore: le zooxanthellae.  Il colore scompare, i coralli diventano bianchi, e più proni a malattie e alla morte. E con loro scompare tutta la biodiversita che ospitano visto che un quarto di tutte le specie marine sul pianeta vivono in simbiosi con gli habitat generati dai coralli. È una morte triste.
Secondo il Professor Justin Martin dell’Università del Queensland è tutto e senza ombra di dubbio a causa dei cambiamenti climatici.
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Fino a pochi decenni fa, questi sbiancamenti erano rari e geograficamente localizzati, ma in anni recenti sono diventati più comuni ed interessano aree sempre maggiori. Il primo evento a grande scala fu registrato nel 1997, con la morte del 18% di tutti i coralli sul pianeta. Nel 2014, un nuovo fenomeno di moria su grande scala dei coralli, a causa degli aumenti di temperatura degli oceani. Secondo il National Oceanic Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, l’epidemia dei coralli sbiancati potrebbe impattare il 40% dei coralli sul pianeta.
Ce la faranno i coralli a ritornare alla normalità? Come detto non si sa, anche se i più pessimisti dicono di no. Ma Mark Eakin oceanografo di NOAA ricorda che tornare alla normalità sara’ molto difficile. I coralli sono delicati e le continue “martellate” da parte dell’uomo — usa proprio queste parole! –non lasciano presagire niente di buono.
Forse a Matteo Renzi i coralli d’Australia paiono lontani dalle pressioni e dalle parole dei suoi petrol-amici. Ma i coralli silenziosi e lontani sono una ennesima testimonianza del fatto che il pianeta è fragile e che anche ecosistemi incontaminati e speciali sono minacciati dai cambiamenti climatici generati dall’uomo e dal nostro uso smodato di fonti fossili.  I coralli sbiancano e muoiono per colpa nostra.
Da qualche parte dobbiamo iniziare, se vogliamo conservare questo pianeta per le generazioni future, dalle barriere coralline che muoiono, ai ghiacciai dell’Artico che si sciolgono, alle isole del Pacifico che vengono ingoiate dal mare. Non è giusto che questi ecosistemi vengano obliati dal pianeta perché non sappiamo dire di no ai petrolieri. Non possiamo aspettare un giorno di più.
Spero che chiunque sia sensibile a questi temi diventi un piccolo attivista, che sia lui o lei un piccolo difensore della Terra,  e che tutti in massa si possa votare SI il 17 Aprile. Nonostante il fossil-pensiero dei governanti italici il pianeta ce la può fare senza petrolio. Qui le immagini della Grande Barriera Corallina d’Australia che sbianca e muore.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Greenpeace Italia: il 17 aprile sei pronto a difendere il mare?



Greenpeace Italia

Campagna Nazionale ISDE “Combustioni Zero”

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In vista del referendum sul quesito abrogativo dell’articolo 35 dello Sblocca Italia, ISDE Italia ha attivato la campagna nazionale “Combustioni Zero”.

Scarica il documento messo a punto da Ugo Corrieri, Valerio Gennaro, Patrizia Gentilini, Ernesto Burgio, Agostino Di Ciaula e Vincenzo Migaleddu.
Questo documento è stato inviato anche al Comitato “Sì blocca inceneritori” come strumento di supporto scientifico nella promozione della raccolta firme ai fini del referendum che si dovrebbe svolgere il prossimo anno.


Sono ancora cattive le notizie sul clima

Sono trascorsi alcuni mesi dalla Cop 21 di Parigi ma le preoccupazioni sugli effetti devastanti dei cambiamenti climatici continuano a crescere. I giudizi severi sul vertice francese non erano frutto di pessimismo ma di rigorose letture critiche rispetto alla comunicazione irresponsabile favorita dai governi e dai media non si sa se più incompetenti o più compiacenti. Forse entrambe le cose. Alluvioni e siccità cominciano a delineare delle fasce di territori che più risentono del riscaldamento globale. I danni all’ambiente e a tutti gli esseri viventi fanno risaltare la spietata e criminale ragione economica che li determina. Le poche notizie relative ad attività di base e a movimenti popolari che tentano di realizzare processi positivi dovrebbero moltiplicarsi per incidere ma sono una via, forse la sola, percorribile
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Ancora una raccolta di notizie sulla situazione ambientale causata dal mutamento climatico in rapido aggravamento. Il periodo in esame si riferisce ai primi mesi dopo la COP 21 di Parigi, che non sembra aver avuto effetti anche minimi sulla situazione del pianeta, anche quando gli eventi narrati hanno carattere positivo. Colpisce invece l’aumento di fenomeni di uguale gravità ma di segno opposto in paesi apparentemente lontani: alluvioni e siccità cominciano a delineare delle fasce di territori che più risentono del riscaldamento globale. I danni al mondo animale e alla natura continuano a presentarsi con una costanza che evidenzia la forte spinta economica che li determina e che deve avere un suo ruolo importante nel sistema economico dominante e globale. Le poche notizie relative ad attività di base e a movimenti popolari che tentano di realizzare processi positivi dovrebbero moltiplicarsi molte volte per incidere sulle dinamiche climatiche e al momento costituiscono l’unica via percorribile malgrado le tante difficoltà da superare.
  1. India, un paese illuminato a Led. “Siamo riusciti a spuntare un prezzo di 73 rupie (un euro), per ogni lampadina, il 76% in meno rispetto alle 310 (4,2 euro) del febbraio 2014. Ne abbiamo cambiate già 45,9 milioni, dovremo arrivare presto ai 710 totali, potremo così abbattere i consumi. E i costi: in particolare la domanda di energia per illuminare le strade di 100 città – 35 milioni di lampadine – passerà da 3400 Mw a 1400, con un risparmio di 5,5 miliardi di euro all’anno. Anche l’emissione di anidride carbonica, fonte di inquinamento atmosferico che vede l’India al terzo posto fra i responsabili mondiali verrà –in questo ambito – abbattuta del 50-70% . Il piano del primo ministro Narendra Modi per i nuovi lampioni procede anche più rapidamente del previsto. Un buon abbrivio anche per l’altro, ambizioso piano energetico annunciato dal governo: quello della diffusione dell’energia solare, che dovrebbe generare 100 GW entro aprile 2022. (Sette, pag.3, 22 gennaio 2016)
  2. Se il condominio è eco. Il miglior esempio di sostenibilità per il nuovo anno? Lo offre l’esperienza delle Eco Courts, progetto partito da una scommessa: dimostrare che i condomini e gli insiemi di cittadini possono essere il luogo ideale in cui avviare iniziative di condivisione e riduzione dello spreco di risorse. Per questo, nel 2011, sono stati selezionati quattro condomini pilota (a Milano, Cinisello Balsamo, Roma e Rogoredo) intorno ai quali è cresciuta una comunità virtuale di oltre 5000 persone interessate ad avere eco-consigli. Fra riunioni di condominio e laboratori tematici, in tre anni, le Eco-Courts hanno realizzato dalla più classica raccolta di oli da cucina, pile, farmaci, toner e lampadine, al bike sharing (recuperando vecchie bici); da una casa dell’acqua nel cortile (per dire basta alle bottiglie di plastica) fino a un parco elettrodomestici a disposizione di tutti, un orto condominiale, un laboratorio per il fai-da-te, persino una palestra. Ma oltre alle soluzioni creative, in termini di risparmi effettivi, il bilancio conclusivo del progetto (replicabile) ha confermato la sua portata innovativa: si è evitata la emissione di 2579 tonnellate di C02 nell’atmosfera, con una riduzione di oltre il 20% nei consumi di acqua, di oltre il 30% di energia termica/riscaldamento, del 35% di energia elettrica. Tutorial e materiali conclusivi dell’esperienza sono a disposizione su life-ecocourts.it (Io Donna, pag. 99, 10 gennaio 2015)
  3. Francia, Renault sotto inchiesta. Il 19 gennaio la casa automobilistica francese Renault ha richiamato 15.000 auto sospettate di produrre emissioni di gas di scarico superiori ai livelli consentiti dalle norme. La decisione, spiega la Bbc, è arrivata dopo l’apertura di un inchiesta e la perquisizione di tre impianti dell’azienda. Il caso ha fatto crollare le azioni della Renault: infatti gli investitori temono che possa ripetersi uno scandalo simile a quello della Volkswagen. La ministra francese dell’energia Ségolène Royal ha detto che la Renault non è l’unica casa automobilistica a violare i limiti, ma non ha rivelato i nomi delle altre aziende che sarebbero coinvolte. (Internazionale n.1137, pag.103, 22 gennaio 2016).
  4. Il 14 gennaio la banca d’affari Goldman Sachs ha annunciato un accordo con le autorità statunitensi per mettere fine a una serie di azioni legali collegate alla crisi dei mutui spazzatura del 2008.L’istituto ha accettato di pagare un totale di cinque miliardi di dollari tra multe e risarcimenti. (Internazionale n.1137, pag. 103, 22 gennaio 2016)
  5. La ricchezza dell’élite. Secondo la ong britannica Oxfam, le 62 persone più ricche del mondo possiedono un patrimonio pari a quello del 50% più povero della popolazione mondiale (circa 3,6 miliardi di persone), che dal 2010 si è impoverito del 41%. Cinque anni fa ci volevano 388 miliardari per raggiungere un patrimonio equivalente. “Le disuguaglianze continuano ad aumentare”, scrive Die Tageszeitung. (Internazionale n. 1137, pag.103, 22 gennaio 2016)
  6. Alex, l’uragano fuori stagione. Quest’anno gli uragani sono arrivati presto nell’emisfero nord. Subito dopo Pali, il primissimo ciclone tropicale del Pacifico centrale, anche l’Atlantico orientale ha sfornato un’insolita tempesta: il 14 gennaio una depressione tropicale si è trasformata in Alex, il primo uragano della zona dal 1938 e il quarto nel mese di gennaio in 150 anni. Alle 11 ora delle Azzorre, il satellite Terra ha scattato questa foto di Alex. Due ore dopo, i venti soffiavano a 140 chilometri all’ora. Alex non è insolito solo perché è un uragano invernale, ma anche perché è il secondo a formarsi in quel tratto di Atlantico del Nord (a nord del 30°parallelo nord e a est del 30° meridiano ovest) da quando sono cominciate le registrazioni nel 1851. In genere quando la temperatura della superficie marina è inferiore ai 26 gradi gli uragani non si formano, per cui è sembrato strano che Alex si formasse con un’acqua a circa 22 gradi. Scott Braun, meteorologo della Nasa, ha spigato però che questa temperatura dell’acqua è superiore alla norma (di mezzo grado o un grado) e, soprattutto, che una sacca di bassa pressione nell’alta atmosfera ha fatto sì che la temperatura dell’aria fosse abbastanza fredda rispetto all’acqua. “ La differenza di temperatura tra superficie e strati superiori era sufficientemente forte da creare una instabilità convettiva. L’attività temporalesca ha gradualmente scaldato lo strato superiore dell’acqua fino a trasformare il ciclone extratropicale in un ciclone tropicale”. Il primo uragano dell’Atlantico a cui viene dato un nome si forma in media il 9 luglio, scrive il Washington Post. E solo lo 0,5 per cento delle tempeste tropicali si registra prima del 1 giugno. (Mike Karlowicz (Nasa), Internazionale n. 1137, pag. 99, 22 gennaio 2016, con foto)
  7. Il ciclo glaciale saltato. L’accumulo di emissioni di anidride carbonica passate e future potrebbe rinviare di centomila anni l’inizio della prossima glaciazione. E’ quanto prevede l’Istituto per le ricerche sull’impatto climatico di Potsdam, che ha ricostruito le otto glaciazioni avvenute nella storia climatica della Terra individuando i principali fattori che hanno preceduto ogni ciclo glaciale. Un indicatore dell’inizio della crescita delle calotte glaciali sembra essere il rapporto tra insolazione e stiva e concentrazione atmosferica di anidride carbonica. Considerata la bassa radiazione solare attuale, la glaciazione dovrebbe essere già cominciata, ma non è così. I ricercatori hanno calcolato che, anche escludendo gli effetti dell’attività umana, non comincerà prima di altri 50mila anni e che un aumento minimo di anidride carbonica sarebbe sufficiente a posticipare l’evento di altri 50mila anni. “Stiamo saltando un intero ciclo glaciale, un fatto senza precedenti”, scrive Nature. (Internazionale n.1137, pag.97, 22 gennaio 2016.
  8. Siccità. Quattrocentomila bambini sono a rischio di malnutrizione in Etiopia a causa della più grave siccità che ha colpito il paese negli ultimi trenta anni. Dieci milioni di persone hanno bisogno di aiuti alimentari. L’allarme è stato lanciato dalle Nazioni Unite. In Sudafrica la siccità ha spinto il governo ad importare sei milioni di tonnellate di mais. (Internazionale n. 1137, pag.98, 22 gennaio 2016)
  9. Il 30% del pescato non viene dichiarato. Le statistiche ufficiali, denuncia uno studio su Nature Communication, spesso non tengono conto della pesca artigianale e di sussistenza, di quella illegale e del pesce scartato. Ogni anno nel mondo si pescano 109 milioni di tonnellate di pesce e non 77 come dichiarato nel 2010 da più di 200 paesi o territori. (Internazionale n. 1137, pag.98, 22 gennaio 2016)
  10. Cetacei. In Europa i cetacei sono intossicati da alti livelli di inquinanti, scrive Scientific Reports. Le orche e varie specie di delfini, tutti ai vertici della catena alimentare, hanno una forte concentrazione di pcb, sostanze chimiche tossiche usate in Europa fino al 1987. I Pcb, che rimangono a lungo nell’ambiente, sembrano essere presenti soprattutto nel Mediterraneo occidentale e a sudovest della penisola iberica. (Internazionale n. 1137, pag.98, 22 gennaio 2016)
  11. Guiane, Foresta troppo “dorata”. La corsa dei minatori ha distrutto dal 2000 ad oggi, 1300 km di verde. In quattro aree del Sudamerica si concentra il 90% della distruzione di foresta provocata dalla corsa illegale all’oro. La più estesa, di gran lunga, è nelle tre Guiane (Guiana, Guiana Francese e Suriname) e nell’area limitrofa che appartiene al Venezuela. Seguono la regione di Madre de Dios nell’Amazzonia peruviana, l’area tra i fiumi Xingu e Tapajos in Brasile e infine la regione del Rio Magdalena in Colombia, quella che ispirò a Garcia Marquez i suoi racconti fantastici. Lo sostiene uno studio dell’Università del Portorico pubblicato di recente sulla rivista Environmental Research Letters. Era da anni che il fenomeno della corsa all’oro e dei suoi effetti sull’ambiente non era studiato nei dettagli, dando forse per scontato che appartenesse al passato. Invece nulla riesce a fermare i sogni di ricchezza di migliaia di mineros (o garimpeiros in portoghese) non appena si sparge la voce di un nuovo Eldorado. L’aumento dei prezzi del metallo giallo e la domanda dai paesi emergenti hanno contribuito al nuovo boom. Lo studio calcola che dal 2007 ad oggi oltre 1300 chilometri quadrati di foresta sono stati distrutti in Sudamerica a causa dell’attività mineraria illegale. A Guacamayo, in Perù, soltanto nel 2010 arrivarono dodicimila avventurieri, la maggior parte a bordo di bulldozer per aprirsi varchi nella foresta. Ne sparirono 400 chilometri quadrati , in una regione considerata tra le più ricche in biodiversità del mondo. La corsa all’oro non provoca soltanto l’abbattimento di alberi, ma ma la contaminazione dei corsi d’acqua a causa del mercurio impiegato per separare l’oro dalla roccia. Il fenomeno più impressionante negli ultimi anni è quello della migrazione di migliaia di garimpeiros brasiliani verso la Guiana francese. Si ritiene che metà dell’economia del territorio d’oltremare sia legata ai cercatori d’oro. (Sette, pag.49, 23 gennaio 2016)
  12. Stati Uniti. La città di Flint avvelenata e abbandonata. Dopo che nell’aprile del 2014 il comune aveva deciso di sganciarsi dal sistema idrico di Detroit e di prendere l’acqua dal fiume Flint per risparmiare, nella città di Flint i sono moltiplicati i casi di persone con bruciore alla pelle, tremori alle mani, perdita di capelli e perfino convulsioni. Ai bambini sono state diagnosticate anemie. I genitori trovavano strane chiazze rosse sulle loro mani e sul viso. Nonostante questo, per quasi diciannove mesi i funzionari pubblici hanno continuato a ripetere che l’acqua non aveva nessun problema. Il sindaco di Flint ne ha mandato giù un bicchiere di fronte alle telecamere. (…) Poi, alla fine di settembre del 2015, un gruppo di ricercatori dello Hurley Medical Center di Flint ha pubblicato i risultati di uno studio secondo cui il numero di bambini di meno di cinque anni con alti livelli di piombo nel sangue era raddoppiato dopo l’adozione del nuovo sistema idrico. . Solo in quel momento le autorità hanno riconosciuto la gravità della crisi. E una emergenza a lungo insabbiata si è trasformata in un caso nazionale. (Internazionale n. 1138, pag. 20 e 21, 29 gennaio 2016)
  13. Ancora su Flint. Nel frattempo si scopre che il governatore del Michigan si è messo d’accordo con la Nestlè, autorizzandola a prelevare 200 galloni di acqua pulita al minuto dalle riserve dello Stato. “Nestlè è il maggiore proprietario di risorse idriche del Michigan – l’acqua di cui gli abitanti di Flint hanno un bisogno estremo – e questa multinazionale avida di acqua ha stretti rapporti con l’ufficio del governatore Rick Snyder, cioè lo stesso ufficio che non ha esitato a smontare un sistema pubblico che si supponeva potesse mantenere sana la popolazione della città. In effetti, Deb Muchmore , portavoce capo per la Nestlè Michigan, è sposata con il capo dello staff del governatore Snyder. Come ha scritto di recente Michael Moore, “I Muchmore hanno degli interessi personali nel cercare di ottenere che la Nestlè riesca a sfruttare quanta più acqua pulita del Michigan sia possibile”. L’impresa è stata più volte citata in giudizio per le sue aggressive acquisizioni di riserve idriche private e l’allarmante quantità d’acqua che drena dal territorio del Michigan. Questa multinazionale è stata messa sotto accusa nel Michigan a partire dal 2003, quando un giudice ordinò alla Nestlè di bloccare le sue operazioni a causa della grave situazione ecologica e della massicci riduzione dei livelli idrici a seguito delle sue attività. Più recentemente, l’anno scorso, l’amministratore delegato  della Nestlè Waters, Tim Brown, ha affermato che se fosse stato possibile imbottigliare una maggiore quantità di acqua nella California duramente colpita dalla siccità, per ottenere dei profitti, egli lo avrebbe fatto”. (Tratto da us@ SumOfUs.org , petizione del 9 febbraio 2016, con bibliografia; cfr. anche M.Gaggi, Corriere della Sera, pag.53, 12 febbraio 2016) 12-SpY-grow-france
  14. Soldi in cambio di antibiotici. Entro il 2050 la resistenza agli antibiotici potrebbe causare dieci milioni di morti con un costo di centomila miliardi di dollari per la perdita di produzione economica, scrive la Bbc. Servirebbero nuovi farmaci, ma oggi all’industria farmaceutica non conviene investire nel settore. Al World economic forum 85 aziende farmaceutiche , biotecnologiche e di strumenti diagnostici, insieme a nove associazioni industriali di18 paesi, hanno quindi chiesto ai governi incentivi finanziari e nuovi modelli economici. Secondo l’economista Jim O’Neill i governi dovrebbero investire in ricerca e sviluppo tra i 16 e i 37 miliardi di dollari in dieci anni. Intanto, per frenare l’abuso di antibiotici che alimenta la resistenza , alla Duke University è stato messo a punto un test genetico, basato su semplici campioni di sangue, che riconosce con una precisione dell’87% se l’infezione respiratoria di un paziente è di origine batterica o virale. Solo nel primo caso serve l’antibiotico. Per ora il test richiede 10 ore, spiega New Scientist, ma i ricercatori puntano a ridurre il tempo di attesa ad un’ora. (Internazionale n. 1138, pag.97, 29 gennaio 2016)
  15. L’anno più caldo. Il 2015 è stato l’anno più caldo da quando si raccolgono i dati sul clima, cioè da 1880, annunciano la Nasa e la National oceanic and atmospheric administration. La temperatura media è stata do 0,9 gradi superiore alla media del nvecento. L’aumento è stato registrato sia sulla terraferma sia sulla superficie marina. Si pensa che al record abbia contribuito, oltre al riscaldamento globale, anche El Nino, il fenpmeno climatico periodico che nel 2015 è stato particolarmente intenso. (Internazionale n. 1138, pag. 98, 29 gennaio 2016, con mappa di tutti i continenti e andamento temperatura nel 2015 rispetto alla media registrata tra il 1981 e il 2010)
  16. Venticinque persone sono morte durante una enorme tempesta di neve che ha colpito la costa orientale degli Stati Uniti. A New York sono caduti 67centimetri di neve in un giorno. (Internazionale n.1138, pag.98, 29 gennaio 2016)
  17. Nel 2015 in Africa sono stati uccisi illegalmente almeno 1312 rinoceronti,una cifra record, scive Nature. Gran parte degli animali sono stati abbattuti in Sudafrica, dove però il bracconaggio è in leggero calo. Cresce invece in in Namibia e in Zimbabwe. (Internazionale n.1138, pag. 98, 29 gennaio 2016)
  18. I roghi minacciano le foreste ancestrali della Tasmania, patrimonio dell’umanità. Per molte foreste australiane il fuoco è una parte naturale della loro ecologia. Ma sull’altopiano tasmano gli incendi sono molto rari e ci sono alberi millenari che non si sono evoluti per resistergli. I roghi sono stati segnalati in 34 riserve naturali. (Internazionale n. 1138, pag. 98, 29 gennaio 2016).
  19. The Economist, Regno Unito. La febbre di zika preoccupa le Americhe. Il virus zika, trasmesso dalle zanzare e arrivato in Brasile nel maggio del 2015, ha ormai raggiunto altri 17 paesi delle Americhe. Fino a ottobre non era ritenuto una grande minaccia: solo un quinto delle persone colpite si ammalava e in genere provocava solo un po’ di febbre, eruzioni cutanee, dolori articolari e arrossamento degli occhi. Dopo, però, sono cominciate ad emergere prove di possibili malformazioni nei feti e problemi neurologici negli adulti. Il 15 gennaio i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) negli Stati Uniti hanno consigliato alle donne incinte di non andare nei paesi in cui ci sono focolai d’infezione.Il virus, per cui non esiste un vaccino, è stato isolato per la prima volta nel 1947 in una scimmia della foresta di Zika, in Uganda. Da allora si sa che ha provocato piccole epidemie sporadiche in alcune regioni africane e del sudest asiatico. Invece in Brasile, per motivi ancora oscuri, subito dopo il suo arrivo avrebbe contagiato un milione e mezzo di persone. L’allarme è scattato a dicembre, quando dei medici di Pernambuco, uno degli Stati nordorientali del paese, hanno notato un forte aumento di neonati con microcefalia, una malformazione  in cui il cranio è eccessivamente piccolo e che spesso è associata a danni cerebrali. Nei successivi quattro mesi i casi di microcefalia sono stati più di 3500, mentre tra il 2009 e il 2014 erano in media meno di duecento all’anno. . Nessuna delle cause note del disturbo – anomalie genetiche, farmaci, alcool, rosolia, esposizione a sostanze tossiche  durante la gravidanza – sembrava esserne responsabile. A metà gennaio, gli scienziati dei Cdc hanno diffuso la prova finora più convincente che lo zika si trasmette da madre a figlio. Hanno trovato il virus in quattro casi: feti o di neonati con microcefalia morti in utero o poco dopo la nascita. Alcuni ricercatori brasiliani l’avevano già trovato nel liquido amniotico di donne con feti microcefali. C’è anche un altro timore: Dopo l’arrivo della Zika in Brasile e Salvador c’è stato un netto aumento di gravi disturbi neurologici e autoimmuni, tra cui la sindrome di Guillain-Barrè, che può causare paralisi. L’aumento si è verificato anche nella Polinesia francese dopo l’arrivo del virus nel 2013. Non è facile capire fino a che punto lo zika, da solo o insieme ad altri fattori, sia responsabile di questa situazione. La febbre dengue e la chikungunya – causate da virus trasmessi dalle zanzare con sintomi simili – sono comuni dove è comparso lo zika. I test per individuarlo, sostiene Scott Weawer dell’Università del Texas, funzionano solo durante la fase infettiva,che dura pochi giorni. Dopo sono spesso inutili se il paziente ha avuto la dengue o è stato vaccinato contro la febbre gialla. E, soprattutto, solo pochi laboratori sono in grado di eseguire i sofisticati test molecolari per isolarlo. In sostanza, quindi, la maggio parte dei casi di zika non viene individuata o è confusa con altro. Dati più solidi emergeranno dagli studi prospettici avviati di recente, che seguono le donne incinte in Brasile. Lotta alle zanzare. La diffusione del virus rende sempre più urgente eliminare le zanzare che lo trasmettono. Lo zika è diffuso soprattutto dall’Aedes aegipty, che è il vettore anche della dengue e della febbre gialla e vive in clima tropicali. Tuttavia lo diffonde anche la Aedes albopictus,(zanzara tigre), anche se non si sa ancora con quanta efficacia. A dicembre il Brasile ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria e ha rimosso gli ostacoli burocratici per l’acquisto di materiali come gli insetticidi e le attrezzature per gli operatori sanitari, suscitando un dibattito sull’utilità di questa burocrazia. Ha inoltre autorizzato l’impiego dell’esercito per aiutare i 310.000 operatoti occupati nella disinfestazione dalle zanzare. (Internazionale n. 1138, pag. 96, 29 gennaio 2016).
  1. Gli Ogm tentano i contadini contro il “no” di Morales. Il no del governo alle sementi modificate geneticamente sta creando un forte malumore tra gli agricoltori in Bolivia, che chiedono di poter aumentare la produttività delle loro colture per competere sui mercati internazionali. Al momento, il governo di Evo Morales permette in Bolivia solo una qualità di soia Ogm, resistente ad un erbicida. Gli agricoltori vorrebbero invece nuove sementi per altri tipi di cereali, senza i quali –dicono – è impossibile per i prodotti boliviani competere con quelli di Argentina, Paraguay e Brasile nei mercati stranieri. I critici degli Ogm sostengono che i piccoli agricoltori verrebbero spazzati via dalle grandi imprese agroindustriali o resi dipendenti dai produttori di semi. I fautori sostengono che il mercato boliviano è già invaso da prodotti importati da Paesi dove non esistono le proibizioni sugli Ogm. (Sette n.04, pag.42, 29 gennaio 2016)
  2. Migliaia di pozzi per combattere la siccità. Ne hanno già scavati 1250, ma è solo l’inizio. La siccità non da tregua. Siamo in Thailandia, e la situazione non è migliore rispetto a Sudafrica ed Etiopia. Anzi. Il governo se l’aspettava, così ha annunciato che una soluzione d’emergenza sarebbe stata trovata con l’escavazione di pozzi. A 80-100 metri di profondità in tutto il paese, ma nel nordovest anche a 300 metri. Per bere, lavarsi e lavare i panni. Solo che il dramma non finisce così. Suphot Tovichakchaikul, segretario del Consiglio nazionale dell’acqua, ha ora deciso che ne verranno aggiunti altri 4300 per le necessità più urgenti, con un investimento di 85 milioni di euro. Ai contadini era stato richiesto di passare a colture meno bisognose di irrigazioni. L’emergenza, però, durerà ancora quattro mesi: e chissà se resistere fino ad allora prendendo acqua con i secchi, basterà. (Sette, n.04, pag. 44, 29 gennaio 2016).
  3. Salvate il gorilla di montagna. Tra i titoli più interessanti del catalogo italiano di Netflix c’è “Virunga”, (2014), il documentario diretto da Orlando von Einsiedel e prodotto dall’attore Leonardo Di Caprio. Nel 2012, Einsiedel parte per il Congo con l’obiettivo di raccontare l’attività  dei 400 ranger impegnati nella salvaguardia del Parco Nazionale di Virunga. Giunto nel paese africano, si trova però di fronte a un’altra realtà, scopre che il parco – abitato dai rari gorilla di montagna – è il terreno di una contesa tra gruppi guerriglieri e compagnie petrolifere occidentali. Contro gli speculatori si batte un gruppo di ambientalisti , fra cui la giornalista francese Mélanie Gouby.  Grazie all’aiuto di quest’ultima e all’uso di telecamere nascoste, il regista porta alla luce la complessa trama di corruzione che minaccia il futuro della preziosa riserva naturale. Un doveroso atto di denuncia costruito con il meccanismo a orologeria di un thriller. (F.Bottiglione, Sette n.04, pag.84, 29 gennaio 2016).
  4. L’alligatore diventa vegetariano. Difficile immaginare un alligatore vegetariano. Ma gli allevatori americani, per renderne l’allevamento più sostenibile, stanno provando a modificare la dieta di questi predatori che in natura si cibano di pesce, tartarughe e piccoli mammiferi. Tradizionalmente gli alligatori di allevamento sono nutriti con mangimi ricavati da pesce azzurro come sardine o acciughe. Pesci a basso costo, che cominciano a scarseggiare proprio a causa dell’uso intensivo come materia prima per i mangimi usati in acquacoltura. Proprio per questo i ricercatori della Louisiana State University stanno testando una dieta a base di proteine di soia e germe di grano, che i grandi rettili sembrano gradire: “Abbiamo applicato l’esperienza fatta con i pesci”, spiegano i responsabili del progetto, i primi a sperimentare sugli alligatori i mangimi già utilizzati per pesci carnivori come salmoni e trote. Se un decennio fa servivano tre o quattro chili di mangime di pesce per produrre un chilo di salmone, oggi se ne usa solo un chilo, integrando la loro dieta con mangimi vegetali che riproducono il mix di aminoacidi minerali e acidi grassi di cui questi pesci hanno bisogno. E se il progetto dei ricercatori della LSU andrà in porto, i prossimi a cambiare dieta potrebbero essere gli alligatori. (P.E. Cicerone, L’Espresso, pag.79, 4 febbraio 2016).
  5. Polmoni, dopo il fumo il nemico è il radon. Dopo il fumo, è il gas radon la seconda causa di tumori ai polmoni in Italia, secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità. Presente nell’aria in diverse misure, il radon diventa pericoloso soprattutto se concentrato negli ambienti chiusi e non ventilati., compresi uffici e abitazioni. (L’Espresso, pag. 79, 4 febbraio 2016)
  6. Alluvioni. Il riscaldamento globale ha avuto una influenza diretta sulla serie di tempeste e alluvioni che hanno colpito l’Inghilterra meridionale a cavallo tra il 2013 e il 2014, scrive Nature Climate Change. L’aumento delle temperature ha reso più probabili le piogge intense, l’aumento della portata del Tamigi e il rischio di alluvione in alcune aree vicino al fiume. (Internazionale n. 1139, pag.90, 5 febbraio 2016)
  7. New Scientist. Il drone con licenza di uccidere. Nelle acque cristalline della Grande barriera corallina si aggira un assassino. Non è la cubomedusa, che pure è presente insieme a squali e trigoni. Ma un predatore dotato di un veleno molto più potente, che può nuotare per otto ore di fila e colpire anche 200 bersagli: è uno dei droni assassini più avanzati al mondo. Per fortuna nel suo mirino non ci sono gli esseri umani ma le stelle marine, e neanche tutte, solo quelle che minacciano l’esistenza stessa della barriera. La missione del robot è proteggerla. Il drone, però supera un confine che molti trovano discutibile. Prende la decisione di uccidere, infatti, in totale autonomia, senza input umani. Vale la pena di correre questo rischio per salvare la barriera? La stella corona di spine è tra le stelle marine più grandi e può avere fino a 21 braccia ricoperte da aculei. In una barriera sana è una forza positiva, perché si ciba dei coralli più dilaganti tenendoli sotto controllo e permettendo la crescita delle specie più lente. Il problema insorge quando si riproduce in maniera sfrenata. In base a una stima approssimativa una barriera sana ne ha una per ettaro, che è circa un campo di calcio e mezzo. Superate le 15 unità per ettaro la situazione diventa insostenibile.
  8. Veleno di bile. Una delle cause della proliferazione è il deflusso dei fertilizzanti agricoli, che si riversano nei fiumi e in mare favorendo la nascita delle alghe. <s la fioritura avviene a ottobre, cioè la stagione riproduttiva delle stelle corone di spine, le larve prosperano. ”Questi animali possono produrre 65 milioni di uova”, spiega Jairo Rivera Posada della James Cook University del Queensland. In condizioni ottimali la popolazione può esplodere causando danni ingenti. Nel 2011 il governo australiano ha lanciato una campagna  per contenere le stelle marine: dei sommozzatori hanno scandagliato la barriera armati di lunghe aste con cui iniettargli il veleno. Ma per ucciderne una occorrevano venti o più iniezioni e i sommozzatori potevano coprire solo un tratto di mare limitato. Ecco spiegato l’intervento del drone. Progettato da una equipe della Queensland University of Technology coordinata da matthew Dunbabin, il Catsbot (composto da cots, acronimo inglese del nome della stella marina e robot), perlustra la barriera, individua la stella e le inietta il veleno. E’ molto bravo nel suo lavoro. Grazie all’apprendimento automatico, , “ci stiamo avvicinando al 99,9% di precisione”dice Dunbabin.”All’inizio abbiamo usato stelle marine create con la stampante 3d”spiega. Ora però il drone capisce che non sono vere e non le colpisce. Così a ottobre Dunbabin ha testato per la prima volta il robot su una barriera con stelle marine vere. Restano da verificare gli effetti dell’intervento, ammesso che ce ne siano, sull’ecosistema della barriera. Il veleno usato è a base di bile, la sostanza prodotta dal fegato per assorbire i grassi. La producono quasi tutti i vertebrati, ma no gli invertebraticome le stelle marine, per le quali è mortale. ( Internazionale n. 1139, pag. 88, 5 febbraio 2016, con foto).
  1. Ogni giorno il mondo perde 70 elefanti. In Africa, all’inizio del ‘900 erano tra-cinque milioni. Ora sono solo 470.000. A causa dell’avorio (venduto anche a tremila dollari al chilo), ogni anno vengono uccisi 30.000 elefanti africani. Una perdita insostenibile per la Convenzione sul commercio di specie minacciate di estinzione, che sollecita sforzi contro il commercio illegale. (Io Donna, pag. 24, 6 febbraio 2016)
  2. Quanto valgono vegetariani e vegani. Gli italiani vegetariani e vegani ? Aumentano al ritmo di 1600 al giorno. Erano il 6% nel 2913. Sono diventati il7,1 nel 2014. E l’8% nel 2015. Lo dice il rapporto annuale Eurispes. “Bistecca? No grazie”. Segue ampia analisi del nuovo mercato e dei produttori in entrata. (R.Querzè, Corriere della Sera, pag.21, 7 febbraio 2016)
  3. Infanzia a rischio. Circa 250 milioni di bambini vivono in paesi dove sono in corsi conflitti. I bambini rappresentano il 52% dei 59,5 milioni di persone costrette a lasciare le loro case a causa della guerra e delle persecuzioni. Sono trenta milioni in tutto il mondo. Provengono soprattutto dalla Siria, dall’Afghanistan e dalla Somalia. I bambini che non frequentano la scuola sono 58 milioni in tutto il mondo. Nel 36% dei casi si tratta di bambini che vivono in zone di conflitto. Degli oltre 3500 migranti morti nella traversata del Mediterraneo nel 2015 il 30% erano bambini. La maggior parte di loro proveniva dalla Siria, dall’Afghanistan, e dall’Iraq e aveva meno di dodici anni. Nello stesso anno è stato calcolato che del milione di profughi arrivati in Europa, 270.000 erano minori, pari al 27% . I paesi di origine sono Siria (25% dei minori), Afghanistan (18%), Kosovo (10%), Albania (8%) e Iraq (6%). In Italia nel 2015(fino a novembre) sono arrivati via mare 15.000 bambini, in Grecia 180.000. Secondo l’Europol diecimila minori non accompagnati entrati in Europa nel 2015 sono scomparsi dopo il loro arrivo. Fonte: Unicef, Unhacr, Oim, Eurostat (Internazionale n. 1140, pag.61, 12 febbraio 2016)
  4. In Africa il deserto avanza e le foreste si riducono dell’1% all’anno. Una barriera di alberi larga 15 e lunga 7400 chilometri, promossa dall’Unione Africana, potrebbe entro il 2025 riconquistare al verde 50 milioni di ettari. In Italia, secondo il Cnr, è a rischio desertificazione quasi il 21’ del territorio italiano, il 41% del quale si trova al Sud. Mauro Centritto, direttore dell’Istituto perla valorizzazione del legno e delle specie arboree del Cnr: “In Sicilia le aree che potrebbero essere interessate da desertificazione sono il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%”. (Sette n.06, pag.30, 12 febbraio 2016).
  5. Siccità. Lo Zimbabwe ha proclamato lo stato di calamità naturale in alcune regioni colpite da una grave siccità, dove vivono circa due milioni e mezzo di persone. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme per 58mila bambini minacciati dalla siccità in Somalia. (Internazionale n.1140, pag.98, 12 febbraio 2016)
  6. Il minisatellite dell’Esa Proba V ha registrato il prosciugamento del Lago Poopò in Bolivia, il secondo più grande del paese. Già nel 1994 era evaporato del tutto. Il lago salato è molto sensibile alle fluttuazioni del clima perché è poco profondo. Tra le cause del prosciugamento ci sono l’uso delle acque che alimentano il lago per l’industria mineraria e l’agricoltura, la siccità dovuta al Nino e il cambiamento climatico. (Internazionale n.1140, pag. 98, 12 febbraio 2016)
  7. Gas naturale. Nel 2012 sono stati bruciati a cielo aperto 143 miliardi di metri cubi del gas naturale che esce insieme al petrolio nei giacimenti, pari al 3,5 % della produzione mondiale di gas. La pratica del cosiddetto gas flaring  è diffusa nelle aree dove mancano i gasdotti e dove non c’è un mercato redditizio del gas. (Internazionale n.1140, pag.98, 12 febbraio 2016, con paesi in ordine di emissioni).
  8. L’incendio in una discarica, Mumbai, India. A gennaio, nella più grande discarica di Mumbai è scoppiato un enorme incendio. La discarica di Deonar, che si trova in un quartiere nella parte orientale della città, occupa un’area di 132 ettari vicino all’insenatura di Thane Creek. Riceve più di 3700 tonnellate di rifiuti al giorno, circa un terzo di quelli dell’intera città. I cumuli, alti anche trenta metri, come palazzi di nove piani, hanno trasformato la discarica in una vera e propria montagna di immondizia. Il 27 gennaio 2016 i sensori dei satelliti Terra, Aqua e Suomi Npp hanno individuato la presenza di fumo e fiamme. Il fuoco ha imperversato per quattro giorni e il fumo ha raggiunto anche alcuni quartieri densamente popolati. Secondo il quotidiano Hindustan Times, in alcune zone i livelli di inquinamento sono stati i più alti mai registrati dall’inizio del monitoraggio della qualità dell’aria nel giugno del 2015. Per quattro giorni più di settanta scuole sono rimaste chiuse. Non si sa come o perché sia scoppiato l’incendio, anche se alcuni mezzi di informazione ipotizzano l’origine dolosa. Spesso gli incendi nelle discariche sono difficili da domare per la presenza di metano, Plastica e altre sostanze altamente infiammabili. (Internazionale n. 1140, pag. 99, 12 febbraio 2016, con foto da satellite)
  9. Il futuro dell’Ebro. Il governo catalano ha annunciato che presenterà alla corte suprema spagnola e alla Commissione Europea un ricorso contro il piano per la gestione del bacino dell’Ebro, che nel suo tratto finale scorre nel sud della regione. Un nuovo contenzioso tra Barcellona e il governo centrale in una fase di grandi tensioni politiche. Secondo la generalitat, il piano di Madrid rischia di prosciugare il delta del fiume, una delle zone umide più importanti d’Europa. Il progetto prevede infatti la costruzione 52 invasi e nuovi prelievi d’acqua per l’irrigazionedi terreni agricoli, spiega Publico. Il 7 febbraio più di cinquantamila persone hanno manifestato ad Amposta, vicino al delta dell’Ebro, per chiedere il ritiro del piano. (Internazionale n. 1140, pag.23, 12 febbraio 2016, con cartina)
  10. In Italia sono 11400. Nel mondo, quasi 36 milioni (solo in India 14 milioni. Muovono un giro di affari di 150 miliardi di dollari l’anno. Nel 2014 l’Ong australiana Walk Free Foundation (Wff) analizzando 167 paesi ha calcolato che nel mondo sono quasi 36 milioni le persone vittime della schiavitù. Lo schiavo moderno è una persona cui viene tolta la libertà per essere sfruttata. Una definizione generica che raccoglie diversi e a volte distanti tipi di abuso. Dai matrimoni imposti alla tratta di esseri umani, dal lavoro forzato alla servitù per debiti. Ad aggiudicarsi il primato di capitale mondiale della schiavitù è l’India, con 14 milioni di persone senza libertà. In seconda posizione la Cina con 3,24 milioni, seguita da Pakistan (2 milioni), Uzbekistan (1,2), e Russia (1,05).   Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro, oggi il giro d’affari intorno alla schiavitù si avvicino a 150 miliardi di dollari l’anno (più o meno il Pil del Vietnam nel 2014). (Sette, n. 07, pag.72, 19 febbraio 2016)

Alberto Castagnola
Economista e obiettore di crescita, è animatore di reti di economia solidale. Tra i suoi libri, «La fine del liberismo» (Carta) e «Il mercato della salute. Diritto alla vita tra interessi, speculazioni, piraterie» (scritto con Maurizio Rossi per Emi).
fonte: http://comune-info.net 

Roma brucia e non lo sa

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I primi roghi tossici li abbiamo visti da un divano. Sarebbe stato più probabile avvistarli dall’A24, l’autostrada Roma-L’Aquila che s’inoltra nella periferia est della capitale fino a costeggiare Tivoli. Ma ne stavamo parlando seduti a casa del nostro “anello di fumo”, il nome che avremo poi dato all’inchiesta che nel 2014 ha vinto il Premio Roberto Morrone. Questa premessa vuole descrivere una condizione: capisci cosa significa e perché parlare di “Terra dei Fuochi romana” solo quando avverti il suo odore acre di plastica bruciata.
Come succede a Tor Sapienza dalla terrazza di Roberto Torre, del comitato di quartiere, che ha collezionato innumerevoli immagini di enormi fumi neri provenienti dall’adiacente campo rom (prima autorizzato, ora abusivo) di Salviati. “Sono venuto a vivere qui perché era una periferia residenziale, una zona per bene. Ora siamo una discarica!”, dice. Parliamo con lui pochi mesi prima che Tor Sapienza diventi un nome noto, nelle parole di alcuni abitanti già si intuiva il furore che rasentava il razzismo. Una rabbia simile a quella che spinge le manifestazioni a Case Rosse, a ridosso del villaggio attrezzato (autorizzato) di Salone.
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Sono i rom che bruciano i rifiuti, sono loro i colpevoli: è facile fare questa deduzione alzandosi dal divano e affacciandosi alla finestra. L’Italia, Roma in particolare, rappresentano una anomalia europea per la gestione della comunità rom e sinti essendo l’unico paese in cui esistono “villaggi” istituzionali. L’amministrazione capitolina, come dimostrato dalle ricerche dell’Associazione 21 Luglio, spende in media 20 milioni di euro per la cosiddetta ‘emergenza’ rom. Perché spendere tanti soldi segregando una comunità? Castel Romano, uno degli otto campi autorizzati, è stato costruito nel 2012 lungo la Pontina, strada ad intensa percorrenza che collega Roma al mare. La fermata dell’autobus Cotral che avvicinava gli abitanti del campo alla città è stata abolita perché i passeggeri si lamentavano della loro puzza. Rom di etnie rivali sono costretti a vivere a contatto e al contempo privati della possibilità di integrarsi con gli autoctoni: la criminalità si nutre dell’isolamento. Specialmente se la maggior parte degli investimenti pubblici era destinata, fino allo scoppio di Mafia Capitale, alla vigilanza dei campi.
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La cooperativa 29 giugno, anch’essa balzata agli onori delle cronache in poco tempo, sorvegliava Castel Romano mentre Risorse per Roma Spa, meno nota ma anch’essa licenziata, aveva in mano il villaggio attrezzato de La Barbuta a Ciampino dove ci  conduce Eros D’Ignazio, sinto italiano. In questo appezzamento appartenuto alla Banda della Magliana, Eros ci è arrivato con l’ex sindaco Francesco Rutelli durante la prima ‘emergenza’ rom. “Sto qui da quasi venti anni, quando hanno costruito il nuovo campo nel 2012 sono diventato abusivo. Ma io non mi muovo: so che raggiunti i venti anni posso reclamare la proprietà di questo terreno”, diceva. Nonostante la roulotte dove viveva fosse circondata da pile di rifiuti: frigoriferi sezionati, quintali di scarti edilizi e resti di lavori stradali. “Si bruciano i rifiuti per cercare il rame e i materiali ferrosi, ma non siamo solo noi a portare queste cose”, spiega. Eros ha iniziato a fare il raccoglitore di ferro dopo aver smesso come giostraio.


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Con la crisi, è diminuita l’attività industriale e le aziende hanno iniziato a chiedere ad Eros ed i suoi colleghi di portare via, insieme ai metalli, altri rifiuti che costava troppo smaltire regolarmente: rifiuti speciali, plastiche, pneumatici, amianto. Così, Eros si è ammalato di un doppio tumore che l’ha ucciso nel luglio del 2015. Ripeteva che i versamenti illeciti non erano fatti solo dai rom. “Danno 20 euro e lasciano scaricare qualsiasi cosa”, confermava un suo vicino indicando il container della vigilanza. Le responsabilità esterne risultano ancora più evidenti vicino Tivoli, dove solo la forte volontà dei cittadini ha fermato, dopo anni, i fumi tossici che arrivavano fino all’A24. Tuttora sono visibili dall’autostrada i resti di un cimitero di frigoriferi, cubi di amianto impacchettati sparsi tra le rovine dell’ex polverificio Stacchini. Una tale quantità di rifiuti non può essere stata portata dai rom che vivono qui dentro”, affermava il presidente locale di Legambiente Gianni Innocenti. Non appena la lista civica uscita vincitrice dalle elezioni del 2014 ha messo le telecamere all’ingresso, i rifiuti hanno infatti smesso di entrare.
Bisogna uscire di casa per comprendere la dimensione di questi illeciti e gli interessi che li celano. I giri vorticosi di questa inchiesta sono ora racchiusi nel libro “A ferro e fuoco”, edito da Kogoi Edizioni. L’obiettivo resta tagliare la cortina di fumo che circonda il governo e lo sfruttamento dei campi rom (la prossima presentazione è il 9 aprile alla libreria “Infinite Parentesi” di Castelverde).

Valentina Vivona

fonte: http://comune-info.net/
Per maggiori informazioni: controluce.collective@gmail.com
 
 

PLASTIC - NATURE - COCA COLA

Campagna di sensibilizzazione ai rischi dei rifiuti plastici per la flora e la fauna marina, tante volte censurata da coca cola!


Gpp: arriva dalla modifica delle strategie produttive la sfida alla desistenza della società contemporanea

L'editoriale di Paola Ficco - Reteambiente.it



 















"Green economy” o "Collegato ambientale". Sono i nomi gergali dati alla legge 221/2015.
La nuova legge è vigente dallo scorso 2 febbraio e non ha mancato di stupire il fatto che sia stata veicolata dai "media" generalisti come la legge contro l’abbandono di piccolissimi rifiuti (scontrini, fazzoletti, chewing gum, ecc.) che, se buttati per strada, espongono alla sanzione amministrativa pecuniaria da 30 a 150 euro. La sanzione si raddoppia per i mozziconi di prodotti da fumo. Spacciata come una vittoria del decoro urbano contro il degrado delle nostre città, la nuova norma si sostanzia, invece, in un affievolimento sanzionatorio dell’abbandono. Infatti, l’articolo 255 del "Codice ambientale", non distingue tra rifiuti piccoli e grandi e fin dal 2006 punisce con una sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro "chiunque" abbandoni o depositi rifiuti o li immetta in acque superficiali o sotterranee. Il problema sono i controlli che non ci sono e non le sanzioni che, invece, sono fin troppe.
Pagine di giornali e trasmissioni radiofoniche dell’Italia del fare e delle buone notizie dedicate al nuovo sedicente strumento contro il degrado e silenzio assordante sull'unica vera buona e grande notizia presente nella nuova legge 221/2015: il Gpp (Green public procurement) e l’obbligo per la P.a. di acquistare i beni e i servizi di cui necessita esclusivamente (o quasi) sul mercato dei fornitori "ambientalmente compatibili".
Si tratta di una buona notizia perché reca con sé il cambio di un paradigma. Una logica nuova destinata a coniare una nuova era per l’affermarsi di una riflessione meditata e condivisa sui nuovi significati che attraversano il vivere contemporaneo, così articolato e complesso e che, in quanto tale, ha bisogno di un approccio ormai non più analitico ma olistico.
Infatti, gli acquisti pubblici presentano una notevole incidenza sull’intero sistema economico dei Paesi Ue: secondo le stime della Commissione europea, ammonta a circa 2 trilioni di euro/anno, il 19% del Pil annuale. In Italia, la spesa pubblica per beni e servizi ammonta a 50 miliardi di euro, al netto di spese per la difesa e altre spese non aggredibili.
Questa enorme cifra fa sì che il Gpp trasformi la P.a. facendola diventare uno sprone verso un consumo più
consapevole; infatti, se la P.a. riduce l’impatto ambientale dei beni e servizi di cui necessita, trascina il mercato a orientarsi su prodotti e servizi a basso impatto ambientale. Questo induce la modifica delle strategie produttive delle imprese.
In una parola: la P.a. dà il buon esempio. Del resto, è il consumatore che fa il mercato.
Il Gpp porta alla sostituzione dei beni e dei servizi utilizzati ed erogati ad una P.a., con beni e servizi che abbiano la stessa funzione ma un minore impatto ambientale.
Il Gpp non può essere considerato solo come una pratica di acquisto verde. È molto di più: è uno strumento attuativo dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare.

Vista la sua straordinaria valenza, quasi un grimaldello capace di scardinare pratiche di acquisto non sempre
commendevoli e raramente condivisibili, preoccupa -e molto— come questo nuovo sistema sia stato ignorato a tutto vantaggio dei mozziconi di sigarette.
Forse perché la società è ormai liquida e il concetto di comunità è solo sbandierato a parole, dove le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono l’apparire e il consumare. Un consumare dove non c’è alcun desiderio di appagare un bisogno, ma solo necessità finalizzate all’apparire tra piccoli e grandi egoismi e strategie di seduzione, tesi fra oltranze stilistiche ed estremismi comportamentali.
Invece, il Gpp ha una sua speciale incandescenza e caratteristiche proprie, capace come è di selezionare, distinguendo tra chi accetta di crescere (qualificandosi sotto il profilo delle prestazioni ambientali) e chi, invece, respinge questo processo.
È questo che darà agli eventi che saranno un senso diverso: si plasmeranno le convinzioni e le azioni di ciascuno. Una rideterminazione delle sorti dove il centro di gravità, dal profitto per pochi, si sposterà al benessere per molti. Una sfida per tutti.
Però, la nostra è una società desistente che, come tale, vuole vivere senza troppi problemi. Per questo, il cambio di paradigma non sarà semplice: occorrerà che muti il sentire privato di ciascuno senza attendersi (anche qui) granché dal dibattito pubblico, annacquato dai qualunquismi di sempre.

fonte: www.reteambiente.it

Progetto "Skin Fish"



Il Progetto Skin Fish è stato finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nell'ambito delle “Iniziative a sostegno dell'attività ittica” (DM del 02/10/14). Obiettivo del progetto è stato quello di sperimentare e valutare l'utilizzo dello scarto di molte produzioni ittiche, la pelle del pesce.
In particolare il progetto ha individuato le pelli di pesce presenti sul mercato italiano che potevano avere un’applicazione in settori alternativi quali l'abbigliamento, il calzaturiero, l'oggettistica, l'accessoristica ed il design in genere. E’ dimostrato, da esperienze di utilizzo note in alcuni paesi del Nord Europa, che il pesce non è solo una preziosa fonte di cibo, ma può anche fornire la materia prima per la creazione di prodotti durevoli, come la pelle.
Il progetto ha individuato le principali specie ittiche più idonee a questo impiego, definendone gli accorgimenti tecnici ed organizzativi, al fine di ottenere una pelle di pesce in grado di essere opportunamente conciata. Parte integrante del progetto SKIN FISH è consistito nell’identificare e stimolare varie aziende artigiane nella realizzazione di prototipi originali e di una loro valutazione mercantile.

I RISULTATI OTTENUTI
I principali risultati del progetto sono:
  • individuazione delle specie ittiche più adatte;
  • definizione delle modalità organizzative e tecniche per la raccolta dello scarto/materia prima (pelle di pesce) e loro stoccaggio;
  • campionature di pelle di pesce conciata;
  • realizzazione di prototipi di vario tipo e foggia;
  • ricerca di aziende potenzialmente interessate ad una lavorazione su scala commerciale;
  • individuazione delle tipologie di prodotti più idonei per cui è possibile utilizzare la pelle di pesce;
  • informazione/divulgazione ai portatori di interesse del settore dei risultati ottenuti e delle eventuali opportunità trovate.

Il Progetto vuole fornire nuove opportunità al comparto ittico ma non solo, trasformando un prodotto di scarto in un nuovo materiale dalle molteplici possibilità di impiego.
I risultati ottenuti sono in sintonia con gli obiettivi della nuova Politica Comune della Pesca (PCP).

I RISULTATI DEL PROGETTO
Sicuramente per il settore ittico i risultati del progetto definiscono una nuova opportunità di diversificazione che può generare entrate aggiuntive per il settore, impiegando quello che è attualmente un sottoprodotto di scarto inutilizzato, trasformandolo in una materia prima dalle caratteristiche uniche. I risultati ottenuti hanno permesso di identificare una nuova area di business sia nel settore dell'artigianato che nel settore manifatturiero, offrendo l'opportunità per la creazione di nuove imprese e occupazione. La maggiore consapevolezza di cosa può essere realizzato con la pelle di pesce opportunamente trattata e le molteplici applicazioni trovate, delineano una interessante opportunità di diversificazione. Mentre è ancora troppo presto per stabilire quali potrebbero essere i reali sviluppi a livello economico o ipotizzare l'entità delle nuove attività, è incoraggiante verificare che diverse aziende manifatturiere hanno espresso un effettivo interesse a sviluppare idee di business attorno al nuovo materiale, diversificando l'offerta dei prodotti sul mercato.I risultati del progetto.

fonte: http://www.blumarineservice.it

A Olbia nove denunciati per abbandono immondizia

Rifiuti: scatta a Olbia operazione
La città di Olbia dichiara guerra agli incivili e al degrado urbano. Sono nove i trasgressori identificati dalle telecamere e denunciati, che ora dovranno pagare una sanzione di 500 euro per aver gettato dei sacchetti dell'immondizia, senza aver fatto la raccolta differenziata, abbandonandoli in zone centralissime della città, come viale Aldo Moro. L'operazione "Un sacco di inciviltà", condotta dal comando della Polizia municipale di Olbia, è stata illustrata questa mattina nel corso di una conferenza stampa dal comandante Gianni Serra che ha lanciato un monito agli amministratori di condominio. "In caso non venissero identificati i trasgressori, per "culpa in vigilando" sarà chiamato l'amministratore di condominio a rispondere della denuncia e della sanzione amministrativa". L'operazione ha portato ad identificare, attraverso le telecamere e documenti (come ricevute bancarie) abbandonati all'interno dei sacchetti, nove individui, dai 27 ai 55 anni, che in un condominio di viale Aldo Moro e in via Latina abbandonavano ripetutamente, in totale violazione delle norme di conferimento dei rifiuti e incuranti del degrado causato allo stesso condominio in cui abitavano, sacchi di indifferenziata. L'operazione è stata avviata sul territorio comunale anche in seguito alle numerose segnalazioni della popolazione e degli stessi operatori della De Vizia, la ditta che in città assicura la raccolta differenziata.

fonte: http://www.ansa.it

Assemblea Nazionale Movimento Legge Rifiuti Zero - Bari, 9 aprile 2016 - PROGRAMMA





Mattina ore 10 – 13,00

·   Saluti
Michele Emiliano - Presidente della Giunta regionale della Puglia
Agostino Di Ciaula – Coordinatore Comitato Scientifico ISDE Italia

·         SI al referendum del 17 aprile per difendere il “Mare Nostrum” -
Prof. Enzo Di Salvatore (Costituzionalista – Movimento No Triv)

·         Sotto i 100 kg. - Analisi del Rifiuto Urbano Residuo - Riprogettazione del non riciclabile e vuoto a rendere - Rossano Ercolini (Zero Waste Italy)

·         Incenerire il residuo è necessario? Minimizzazione del residuo e sua gestione flessibile come alternativa ai nuovi inceneritori e per spegnere quelli esistenti - Enzo Favoino (Coordinatore Scientifico Zero Waste Europe)


·         Libro bianco dell'antitrust: Separazione della gestione tra raccolta RSU e impiantistica per il trattamento - Natale Belosi (Eco-Istituto di Faenza)

·   Dibattito su:
Favorire la discussione e approvazione in Parlamento della Legge di Iniziativa Popolare "Verso Rifiuti Zero"
Iniziative per contrastare l'art. 35 del D.lgs. 133/2014 “Sblocca Italia”


Ore 13,00 - Pausa pranzo

Pomeriggio ore 14,30 – 18.00

·         Carta d’intenti, governance e Carta della rappresentanza.
          Discussione, proposte, votazioni.


Rifiuti Zero e regioni

·         Francesco Caravella: Rifiuti Zero in Puglia
·   Natale Belosi: La nuova legge sui RSU dell’Emilia Romagna
·   Pasquale Allegro: La proposta del PGRSU della Calabria
·   Andrea Somma: Il riordino del ciclo dei RSU in Campania


Con l'adesione di: Legambiente, Slow-Food, Fare Verde.



Movimento Legge Rifiuti Zero