Luca Mercalli: Il tempo che farà

Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico, racconta perché l'unica soluzione possibile per salvare il pianeta è agire subito.


























E' sotto gli occhi di tutti, il clima è cambiato. La comunità scientifica avverte che questi mutamenti sono effetto dell'attuale sistema economico, divenuto ormai insostenibile. Lo si può visualizzare come una linea retta, dove ogni processo è fine a se stesso: si prelevano risorse e le si trasformano in un prodotto, che viene venduto e poi buttato. Luca Mercalli, climatologo e studioso di sostenibilità, ci spiega perché questo è un meccanismo ormai perdente, giunto al termine.

«Anche i cambiamenti climatici sono effetto di un sistema economico - spiega Mercalli - che produce una quantità enorme di scarti, tra cui le emissioni di CO2 fossile. Quello che noi consumiamo ha richiesto energia in qualche modo, in qualche punto del processo. Per esempio dalla miniera dove si estrae un minerale, alla fabbrica dove lo si lavora, al negozio dove lo si commercia e finalmente a casa nostra. Questo è il primo collegamento tra ogni atto economico e il clima: l'energia che noi usiamo. In quasi tutto il mondo è principalmente di origine fossile, quindi proviene da petrolio, carbone o gas. Una piccolissima parte è energia rinnovabile o energia nucleare, che ha però altri difetti. Se un prodotto è usa e getta, soggetto alle mode del momento, la gente è indotta a disfarsene anche se è ancora utile. Tutto questo contribuisce al cambiamento climatico, perché io solleciterò da qualche parte nel mondo un nuovo ciclo produttivo, quindi nuove materie prime, nuova lavorazione, nuovi trasporti, nuova vendita e nuovi rifiuti».


Come si arresta questo processo?

«Sempre più esperti spingono per quella che viene definita l'economia circolare. Significa che dobbiamo minimizzare gli sprechi di materie prime e di energia al fine di generare meno rifiuti, da un lato, ma anche produrre oggetti più durevoli. Non è sempre possibile trasformare gli scarti in materia utilizzabile, però, perché molti materiali non sono rigenerabili all'infinito. È il caso della plastica: si può rigenerare bene una volta, già alla seconda perde le sue caratteristiche e alla fine diventa buona per l'inceneritore. La soluzione è consumare di meno. Meno consumiamo, meglio facciamo alla nostra salute e ovviamente a quella del nostro pianeta. L'economia circolare è una soluzione più vasta del problema climatico perché include sia il clima sia la salute dell'uomo».

Non c'è troppo ottimismo attorno all'economia circolare? E non è tardi?

«Per quanto riguarda il clima è già troppo tardi, siamo già oltre i limiti di sicurezza per la nostra vita sul pianeta. Per quanto riusciamo a decarbonizzare l'economia, ad applicare l'accordo di Parigi il prima possibile, a realizzare tutte le pratiche di economia verde (inclusa quella circolare) ci saranno conseguenze. Comunque rimanere sotto i 2 gradi di innalzamento della temperatura al 2100 non è possibile. L'obiettivo è difficile perché l'applicazione dell'accordo di Parigi è lentissima, sono state dette tante belle parole rimaste sulla carta. Le conseguenze per l'umanità saranno gravi. Bisogna fare in fretta, i benefici dell'economia circolare li conoscevamo benissimo già 20-30 anni fa».

Cosa potremmo fare oltre a continuare a parlare dei problemi del pianeta?

«Quello che dobbiamo fare lo sappiamo, ora la domanda passa dai climatologi alla politica, internazionale e nazionale. A questo punto, però, la questione va posta anche agli economisti, perché sono anche loro a condizionare le decisioni dei governi. L'economia continua a chiedere crescita, cosa in totale contrasto con la riduzione delle emissioni e degli sprechi. Crescita vuol dire consumo. Secondo me nelle mani degli economisti l'economia circolare è pericolosa, perché non fa altro che trovare un buon alibi per lasciare tutto così. E il monito resta "comprate e consumate". Questo è il nocciolo duro dell'economia di oggi e se noi vogliamo uscire dal problema bisogna cambiare paradigma economico. Non può più essere fondato sulla crescita dei consumi materiali, che siano fatti con energia solare è solo un palliativo che sposta di qualche anno il problema senza risolvere. La svolta è un'economia che non vede più come obiettivo supremo la crescita dei consumi. Il mondo gira ancora intorno al numero di automobili prodotte, di yacht, di vestiti Tutto diventa oggetto che consuma materia ed energia. Non si deve tornare al medioevo, a vivere a lume di candela. Bisogna sfruttare il progresso, ma dobbiamo avere il coraggio di fare un grosso investimento sulle nuove pratiche che usano una buona parte di componente d'avanguardia. E consumare meno».

In questo senso la direttiva europea sull'economia circolare può aiutare?

«L'Europa è il luogo più avanti nel mondo sugli scenari ambientali, però non basta per raggiungere i risultati necessari. Di fatto l'economia circolare è sempre esistita, le industrie hanno sempre cercato di utilizzare i loro prodotti di scarto intermedi e di valorizzarli. Dove era facile farlo è stato già fatto, adesso bisogna agire nei processi produttivi più difficili. C'è bisogno di una grossa spinta tecnologica per migliorare il prodotto finale, oppure intervenire a livello economico cioè su quei processi produttivi dove finora non c'è stato interesse a investire nel recupero dei materiali perché costava di più che utilizzare nuove materie prime. Quindi questa direttiva renderà più facile l'applicazione di nuove pratiche nelle zone finora marginali dei processi industriali».

Quindi riciclare meglio basterà?

«Purtroppo no, ci sono limiti fisici. Alcuni materiali non si possono riciclare o si possono riciclare una sola volta. Possiamo progettare materiali migliori all'origine, però io continuo a pensare che il problema è il consumo eccessivo. Sul pianeta siamo 7 miliardi e mezzo di individui, non possiamo vivere e consumare a questo ritmo. Bisogna diminuire i consumi, serve maggiore tecnologia per mantenere i livelli di comfort a cui nessuno di noi vuole rinunciare, giustamente, e semmai dovremmo preoccuparci di trasferirli anche ai paesi in via di sviluppo. Tutti vogliamo avere l'acqua in casa, il riscaldamento, l'elettricità, è tutto sacrosanto, continuiamo a farlo ma con mezzi rinnovabili e col massimo della qualità. Però attenzione ai desideri: i desideri sono infiniti. La torta è una e non ce n'è per tutti. Per sopravvivere bisognerà convincersi che abbiamo bisogno di mettere dei limiti ai consumi. Soprattutto alle auto- mobili. Il trasporto è una delle principali fonti di emissioni climatiche».

È possibile misurare i benefici dell'economia circolare?

«Stanno nascendo i criteri di valutazione, uno dei più consolidati è l'analisi del ciclo di vita dei prodotti (la cosiddetta Life Cycle Assessment). Ovviamente questi criteri devono diventare obbligatori, se la fa solo qualche produttore in modo volontario non ha senso. L'economia circolare va valutata con grandezze fisiche, non con descrizioni a parole. Va espressa in kg di CO2 emessi per kg di prodotto, oppure kg di rifiuti e di materie prime per kg di prodotto, o in kilowattora di energia usata e di che tipo (rinnovabile o no). Solo così ho i numeri per decidere se un prodotto è sostenibile o no».

Che ruolo hanno i cittadini?

«Ognuno con il proprio gesto può già fare la differenza. Il cittadino, però, ha bisogno di informazioni, se io non so cosa c'è dentro il mio prodotto come faccio a sceglierlo consapevolmente? Se non trovo scritto che è stato necessario bruciare un tot di carbone o abbattere degli alberi per produrlo? Solo che serve una grande attenzione da parte del consumatore, è una strada difficile da praticare se non c'è una legge garante. Però si può dare il proprio contributo anche senza essere francescani, si può vivere bene senza essere schiavi della pubblicità, che crea illusioni costose per il portafoglio e per l'ambiente. Le faccio un esempio che porto ai miei studenti nelle scuole. I giovani pagano a caro prezzo jeans lisi e strappati in nome di una moda e di una firma. Questo è esattamente il contrario dell'economia circolare; quel jeans ha richiesto energia e acqua per coltivare il cotone, per tingerlo, per trasportarlo in negozio. Alla fine io compro un oggetto che durerà poco mentre con quei soldi avrei potuto acquistare un paio di pantaloni durevoli, fatti di materiale che possa resistere anni». 


Luca Mercalli

Presiede la Società Meteorologica Italiana, associazione fondata nel 1865, dirige la rivista Nimbus e si occupa di ricerca sulla storia del clima e dei ghiacciai delle Alpi.

Comunicare il clima

Svolge intensa attività didattica per scuole e università, e di informazione come editorialista per varie testate. Vive in una casa alimentata da energia solare. E ci vive bene.


fonte: www.altroconsumo.it