Green Deal UE, fondi a carbone e fossili anche dopo il 2030?

Il Green Deal UE rischia di sapere ancora troppo di carbone, anche dopo il 2030: le previsioni per l'Europa e per l'Italia.



Il Green Deal UE sembrerebbe procedere in una direzione non del tutto verde. Almeno è quello che sembra delinearsi sul fronte europeo in vista del 2030. I dati provengono da un’analisi effettuata dal “think-tank” Ember, intitolata “Just Transition or Just Talk?“, e sono tutt’altro che confortanti. Sul fronte comunitario, ma in parte anche su quello più strettamente nazionale.

L’Unione Europea ha deciso di stanziare il Just Transition Fund, una sorta di “cassa comune” da cui attingere fondi per la transizione energetica. Lo scopo è quello di rendere più green il mix energetico UE, procedendo quanto più velocemente possibile verso la decarbonizzazione. Finanziamenti che sono destinati a tutti i Paesi del Vecchio Continente, inclusi quelli (a meno di clamorosi colpi di scena dell’ultima ora) che con buona probabilità punteranno su carbone o fonti fossili anche dopo il 2030.

Green Deal UE, carbone e fossili anche dopo il 2030

L’uscita dal carbone entro il 2030 non coinvolgerà tutti i 18 Stati UE che attualmente ne fanno uso. Nello specifico saranno sette i Paesi che non rinunceranno a questo particolare combustibile fossile, e che allo stato attuale delle cose percepiranno i finanziamenti inclusi nel Just Transition Fund. A guidare la fila la Germania, unitamente ad alcune nazioni dell’Est Europa (Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia).

L’Italia figura invece nel mini-gruppo di quattro Paesi UE che diranno addio al carbone, ma in favore di altre fonti fossili. Le risorse non più investite nel carbone verranno in parte impiegate a sostegno del gas. Il risultato sarà quello di possedere un mix energetico ancora sbilanciato verso i combustibili fossili.

Una scelta che per il Bel Paese sembrerebbe giustificata anche dalle forti resistenze locali che alcune Regioni oppongono all’installazione delle fonti rinnovabili. Emblematico il caso della Sardegna, dove l’eolico offshore fatica ad affermarsi malgrado il sostegno degli ambientalisti.

I sette Paesi UE più virtuosi sono Danimarca, Finlandia, Francia, Olanda, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Qui l’addio al carbone non verrà compensato da un ampio ricorso al gas.

Italia: Ambiente e Recovery Fund

Si è parlato di ambiente anche in relazione al Recovery Fund. Diverse associazioni hanno chiesto maggiori informazioni al Governo e al Ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Il responsabile del dicastero di via Cristoforo Colombo ha dichiarato, durante un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera:


Il 37% delle risorse assegnate all’Italia devono andare al green, non al Ministero dell’Ambiente, ma con un concetto trasversale di sostenibilità. Le missioni nell’utilizzo del Recovery fund UE riguardano sei aree principali di azione, che hanno come comune denominatore l’ambiente: Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per la mobilità; Istruzione, formazione, ricerca e cultura; Equità sociale, di genere e territoriale; Salute.

Nei giorni scorsi ha iniziato anche a circolare una bozza, redatta dal Ministero dello Sviluppo Economico e relativa al Recovery Fund. Un capitolo importante del piano sarebbe stato riservato produzione di “acciaio green” e alla riconversione di siti industriali a luoghi di produzione e/o stoccaggio di idrogeno. Nell’orbita di tale discorso sarebbe venuta fuori anche l’Ilva di Taranto. Lo stesso Ministro Patuanelli ha dichiarato in un’audizione alla Camera di puntare a un’Italia “hub europeo dell’idrogeno”.

Decarbonizzare l’Ilva sarà un obiettivo primario per l’Italia, ha sottolineato il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Emersa in questi giorni la possibilità che gli stanziamenti ricevuti nell’ambito del Recovery Fund possano venire utilizzati anche per il rilancio degli Ecobonus al 110%.


fonte: www.greenstyle.it


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