Ambiente & Veleni
Intervista
esclusiva a Nunzio Perrella, il boss che fece entrare la camorra nel
business dello smaltimento illecito e ha cominciato a collaborare con la
giustizia nel 1992. "I signori della monnezza facevano affari anche
prima dell'arrivo della criminalità. E oggi sono ancora attivi". Nomi
che poi hanno continuato a operare e incappare in disavventure
giudiziarie. A cominciare dallo storico imprenditore della capitale. Il
suo braccio destro replica: "Si trattava di conferimenti legittimi"
“Abbiamo scaricato anche a
Malagrotta nella discarica di
Manlio Cerroni”.
Nunzio Perrella è stato boss di
camorra,
si è pentito nel 1992 e dei traffici di rifiuti tossici sa tutto perché
ha fatto entrare la camorra nel ciclo. Ora si racconta in esclusiva
a ilfattoquotidiano.it e spiega come
prima dell’ingresso dei clan c’erano già i signori dei rifiuti.
“Questi facevano affari anche senza la presenza del crimine organizzato
e con le stesse logiche. Al centro c’era Manlio Cerroni, uno dei capi
del grande affare, al nord c’era
Orazio Duvia, titolare della Pitelli, a La Spezia, al sud c’era la famiglia
La Marca. Tutti erano collegati tra di loro, erano i signori della ‘monnezza’”.
Perrella
smaltiva rifiuti a Pianura, quartiere napoletano, nella discarica di
proprietà dei Di Francia e dei La Marca, poi punta su Roma. “Zio Mimì
(Domenico La Marca) mi disse vai a scaricare a Malagrotta così
risparmiavo sulla benzina. Ho scaricato
rifiuti urbani, ma anche
fanghi, gli altri trasportatori hanno scaricato anche
ceneri, insomma, rifiuti pesanti”.
Un elemento inedito, datato fine anni Ottanta, inizio Novanta, e mai contestato all’avvocato Cerroni.
Cerroni, oggi, per altre vicende è sotto processo per traffico illecito di rifiuti. Orazio
Duvia, invece, gestore della discarica Pitelli, a La Spezia, ribattezzata la
collina dei veleni, è stato assolto dal reato di disastro ambientale dopo che gli altri reati erano finiti prescritti. Duvia era legato a
Fernando “Nando” Cannavale,
altro signore dei rifiuti, coinvolto nell’inchiesta Adelphi, titolare
della Trasfermar, era deputato a curare i rapporti con la politica e a
mediare nelle rotte nord-sud. Non solo. Duvia era in affari societari
con i La Marca, questi ultimi, destinatari, con le loro sigle, di
un’interdittiva antimafia. I La Marca erano in rapporti societari con
Cerroni e i suoi uomini. Rapporti che emergono anche leggendo
la recente interdittiva che ha colpito la Viterbo ambiente.
Proprio
i La Marca sono stati condannati, per un reato minore, nel processo
Adelphi a inizio anni novanta. Un dibattimento, Adelphi, che si origina
proprio dalle dichiarazioni di Perrella, ma finisce tra
prescrizioni e assoluzioni, lievi condanne.
“Si poteva fermare tutto allora, ma finì con un nulla di fatto”
racconta il pentito. Quell’organigramma, indicato dall’allora
collaboratore, era, davvero, responsabile del saccheggio, come
dimostreranno le inchieste che arriveranno oltre un decennio dopo.
Perrella
da qualche anno è uscito dal programma di protezione. Ha confessato i
suoi crimini, traffico di armi, droga, e poi i rifiuti e ha pagato per
le sue colpe. Al termine del programma di protezione ha rimediato anche
una condanna per evasione dai domiciliari. “Ho pagato anche per questo,
per tutti i miei errori. Ma
22 anni dopo quelli che io ho denunciato sono ancora attivi. Non è giusto, di chi è la colpa?
Il boss colletto bianco
Dai
capannoni Fiat al grande traffico illecito di rifiuti, dalla cocaina
alle armi, dall’edilizia al sacco ambientale. I settori di business di
Perrella erano diversi. Davanti all’attuale capo della direzione
nazionale antimafia
Franco Roberti, all’epoca pubblico
ministero, coniò la frase che racconta, meglio di ogni altra, il
business della spazzatura domestica e soprattutto industriale: “
Dotto’ la monnezza è oro”.
Aggiunse pure: “E la politica è una monnezza”. Perrella racconta le
origini: “Io ero un colletto bianco del crimine organizzato. Io ero
amico di
Antonio Bardellino,
Mario Iovine,
Umberto Ammaturo
ed ero agli ordini di Giuseppe Pedana, detto Peppe ‘a braciola. Io ho
iniziato gestendo bische clandestine”. I primi affari li muove con
l’edilizia. “Facevamo coperture impermeabili, asfalti stradali. Ero
subappaltatore di una società di Vicenza. Abbiamo fatto tutti i
capannoni della Fiat così come abbiamo realizzato il
Cis di Nola”. I rifiuti arrivano più tardi.
Il grande affare
Era la fine degli anni ottanta. Bisognava scaricare la monnezza del
centro-nord Italia e le discariche campane avevano chiuso i cancelli, c’era bisogno dell’aiuto della
camorra. Il cognato chiede a Perrella un aiuto per conto di Mariano Fornaciari, titolare della
Italrifiuti.
“Con la Italrifiuti – aggiunge Perrella – guadagnavo 150 milioni di
lire al mese”. Italrifiuti vinceva gli appalti mentre le discariche
erano autorizzate attraverso il pagamento degli enti di controllo. Il
boss, oggi pentito, inizia a scaricare a Pianura presso la discarica
gestita dalla
Di.fra.bi, di proprietà dei La Marca e Di
Francia. “Abbiamo smaltito gli urbani, i rifiuti assimilati, quelli
speciali, altri smaltivano anche
tossici. Le carte si inventavano, c’erano le autorizzazioni di
Raffaele Perrone Capano,
assessore provinciale che era a disposizione, a libro paga. Senza
soldi, non si faceva niente. Lui mi disse ‘non facciamo rompere il
giocattolo’”. Perrone Capano, arrestato nel 1993, finisce sotto
processo, ma ne esce pulito per intervenuta prescrizione dei reati, a
fine anni novanta torna a fare il professore alla
Federico II
di Napoli. “La Di.fra.bi era la madre, lì è iniziato tutto”. E i
rifiuti tossici: “Li gestiva Giambattista Toninelli, imprenditore del
nord, venivano 30, 40 camion al giorno. C’erano tutti i rifiuti che
producono gli industriali del Nord”. Perrella, però, precisa: “Il resto
d’Italia non sta meglio, la mia organizzazione ha smaltito ovunque”.
Sugli smaltimenti
Francesco Rando,
storico braccio destro di Cerroni, spiega che un comparto della
discarica era autorizzata, dal 1984, a ricevere anche rifiuti
tossico-nocivi. Quanto al racconto di Perrella, Rando spiega che
“Italrifiuti (una delle società di Perrella, ndr) non figura
nell’anagrafico clienti a partire dal 1984″, ma non esclude comunque che
“possano essere stati conferiti legittimamente a Malagrotta rifiuti
provenienti da altre regioni d’Italia trasportati da Italrifiuti per
conto di altre imprese”.
Perrella sul punto non teme
smentite: “Ho scaricato a Malagrotta prima con Italrifiuti e poi
3F-Ecologia come dimostrano i documenti in mio possesso”. Infine, i
rapporti con la Di.fra.bi. Rando li limita all’acquisto del 50% della
Ines sud da parte di Secor (gruppo Cerroni) precedentemente detenuto da
La Marca Enterprise srl.
Nello Trocchia
fonte: www.ilfattoquotidiano.it