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Matteo Cereda: «Orto bio: chi ben comincia è a metà dell'opera»

Abbiamo intervistato Matteo Cereda, l'ideatore della web community "Orto da coltivare" che conta tantissimi interessati e contatti e che fornisce suggerimenti concreti per chi si accinge a tenere un orto per l'autoproduzione alimentare, fenomeno in nettissima crescita.





Matteo Cereda è ideatore e fondatore della web community "Orto da coltivare", nata nel 2014 e oggi una delle più ampie e attive tra quelle che forniscono consigli alle tantissime persone che anche in città si ritagliano il loro pezzetto di terra, che sia nel giardino di casa o nell'appezzamento assegnato dal Comune o nelle aiuole collettive, per ricavare vegetali da portare in tavola. È anche co-autore, insieme a Sara Petrucci, del libro "Ortaggi insoliti" (Terra Nuova Edizioni).

Lo abbiamo intervistato.

Quanto è aumentato negli anni secondo te il fenomeno dell'orto per l'autoproduzione? È un trend tuttora in crescita? Noti un costante aumento della sensibilità in proposito?

«Posso senz'altro dire che c'è un interesse crescente. Per esempio, la mia community "Orto da coltivare" ha avuto una crescita costante di lettori. E ciò può essere dovuto sia a un aumento di attenzione per questo tipo di scelta, sia alla maggior propensione a cercare informazioni sul web rispetto a questo argomento. Di certo noto un aumento della sensibilità verso metodi di coltivazione sostenibili; per fortuna oggi c’è consapevolezza rispetto ai rischi che comportano i pesticidi e chi coltiva per passione e per autoconsumo è particolarmente attento a non utilizzare veleni. In quest’ultimo periodo con il lockdown è letteralmente esploso l’interesse per la coltivazione, che per molti è stata una boccata d’aria. Penso che chi ha sperimentanto in queste settimane la gioia del lavorare la terra conserverà anche in futuro questa passione».

Come si comincia se si è agli inizi? Come si prepara un'area da coltivare in città e quali requisiti deve avere o quali interventi di base vanno fatti?

«Il discorso è senz'altro lungo e ci possono essere diversi approcci. Consiglio prima di tutto, come insegna la permacultura, di partire dall’osservazione del terreno e in generale dell’area verde, per capire esposizione solare e tipo di suolo e da qui partire a progettare il proprio orto urbano. Il requisito base è avere un appezzamento che riceva luce diretta, se non per tutto il giorno comunque per un buon numero di ore. L’accesso all’acqua invece non è discriminante, si può pensare di raccogliere quella piovana. A livello di interventi, dopo aver pulito il terreno si parte con la preparazione del suolo, che può essere la classica vangatura, anche se ci sono metodi alternativi, come la realizzazione di bancali proposti dall’agricoltura sinergica».

Quali sono i principali consigli per chi vuole ricavare il massimo da piccoli o piccolissimi appezzamenti, senza ricorrere alla chimica tossica, ai fertilizzanti artificiali o una impropria forzatura dello sfruttamento del suolo? Consociazioni, rimedi naturali, pacciamatura, ecc?

«Un orto piccolo si può sfruttare al meglio con una progettazione efficiente, che permetta di coltivarlo tutto l’anno e di avere le piante vicine tra loro senza che si danneggino. Per fare questo occorre scegliere i giusti periodi di semina, avvalersi di un semenzaio e privilegiare il trapianto alla semina diretta in campo. Altri consigli che mi sento di dare sono sfruttare le consociazioni favorevoli e impiegare piccoli tunnel e coperture di tessuto non tessuto per prolungare il periodo utile riparando le piante dal gelo. Ma si potrebbe proseguire all’infinito: l’agricoltura è fatta di moltissimi accorgimenti».

Fino a quanto si può risparmiare per una famiglia, secondo le tue stime, se si coltiva un piccolo orto per l'autoproduzione e l'autoconsumo?

«Un orto può essere impostato perché non costi praticamente nulla: si può fare con attrezzi semplicissimi (vanga, zappa, rastrello), si può autoprodurre compost e recuperare acqua piovana, preservare la semente e propagare le piante in proprio, realizzare macerati vegetali per la difesa dai parassiti. In questo modo il risparmio è pari al valore di tutta la verdura prodotta e qui dipende dalle dimensioni e dalla tecnica, ma è comunque una voce rilevante in un bilancio famigliare. C’è da dire però che se l’approccio non è attento alle spese e quindi si comprano attrezzi motorizzati, prodotti per la cura, piantine in vivaio è facile anche che non ci sia un risparmio apprezzabile rispetto all’acquisto di verdura a poco prezzo dal supermercato. Bisogna però considerare anche la diversa qualità dei frutti di un’agricoltura intensiva e di quelli di un’attenta produzione naturale».

fonte: www.ilcambiamento.it


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Biodiversità e agricoltura: la riscoperta delle tecniche del passato per fare un salto nel futuro






Tutelare la biodiversità non è solo utile all’ambiente, ma anche vantaggioso per l’agricoltura, aiuta a difendere i campi dagli insetti dannosi, favorisce l’impollinazione e aumenta la produzione. Per questo si stanno riscoprendo, con una nuova consapevolezza, pratiche antiche come la costruzione di siepi intorno ai campi le bordure fiorite attorno ai frutteti, le rose nelle vigne o il mantenimento di strisce di terreno incolto. Lo conferma una ricerca su oltre 1.500 terreni agricoli in tutto il mondo, uno sforzo internazionale coordinato da Eurac Research di Bolzano e dall’Università di Würzburg.

I ricercatori hanno analizzato due servizi ecosistemici – processi regolati dalla natura – vantaggiosi per l’uomo: il servizio di impollinazione fornito dagli insetti selvatici, e il servizio di controllo biologico, cioè la capacità di un ambiente di difendersi da insetti nocivi grazie ad altri insetti antagonisti presenti in natura. “In questo modo si migliora la produzione e si riduce la spesa per i pesticidi”, spiega Matteo Dainese, biologo di Eurac e responsabile dello studio, “una ricerca nata all’Università di Padova, dove mi sono formato, e poi sviluppata negli anni in una collaborazione internazionale”, spiega il ricercatore.

In passato alcune di queste tradizioni esistevano anche da noi, come le siepi fiorite a separare i campi o le piante di rose messe a protezione dei filari di viti, perché sono le prime a essere attaccate dai parassiti e ne segnalano la presenza: oggi in Italia il recupero di queste tradizioni è diffuso soprattutto nelle coltivazioni biologiche, mentre c’è più interesse in Germania o in Europa settentrionale, dove si lavora soprattutto nei meleti e sulle coltivazioni di colza, ma anche in altri paesi come l’America Latina dove questi metodi sono applicati alle piantagioni di caffè. “Ma anche da noi le cose stanno cambiando, in Alto Adige per esempio la biodiversità è entrata nel linguaggio dell’amministrazione”, sottolinea Dainese, “si comincia a comprenderne l’importanza”. Arriva dalla centro di sperimentazione di Lainburg in Alto Adige, per esempio, una serie di studi sui vantaggi legati alla presenza di strisce fiorite perenni nei meleti.

“Fino a qualche anno fa si lavorava per salvaguardare la biodiversità in quanto tale, ora stiamo cominciando a comprenderne i vantaggi legati alla produttività “, spiega Paolo Barberi, agronomo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha partecipato a vari progetti europei su questi temi.





Le piante di rose messe a protezione dei filari di viti, perché sono le prime a essere attaccate dai parassiti e ne segnalano la presenza

“Per anni l’agricoltura intensiva ha permesso di incrementare la produttività, ma oggi le cose stanno cambiando”, conferma Dainese. Siamo arrivati a una fase di stallo o addirittura a una diminuzione, senza contare che alcuni organismi stanno sviluppando resistenze a pesticidi ed erbicidi. “Abbiamo avuto un approccio semplicistico, pensando che si potesse risolvere tutto attraverso soluzioni tecniche puntuali, con uno specifico pesticida o diserbante, dimenticando la complessità dei sistemi naturali“, aggiunge Barberi. “Per questo abbiamo dimenticato buone prassi come la rotazione delle colture, che stiamo recuperando.” Oggi si punta a un approccio integrato (Integrated Pest Management) che usa vari sistemi preventivi per ridurre l’utilizzo di pesticidi, e più in generale di prodotti chimici, “con risparmio di costi diretti e indiretti, senza dimenticare l’impatto dell’uso delle sostanze chimiche sulla salute di chi lavora in agricoltura”, ricorda Barberi, “per questo c’è sempre maggior interesse per la biodiversità, anche a livello di Unione Europea”.

Così si recuperano le pratiche tradizionali, rivisitandole alla luce delle conoscenze scientifiche per costruire un paesaggio eterogeneo, un mosaico di campi agricoli, bordure di siepi fiorite e piccole aree naturali preservate per tutelare la biodiversità. Che serve a migliorare l’impollinazione – “di cui ha bisogno il 70% delle colture agricole”, ricorda Dainese – e a favorire la presenza di insetti utili. “ Come le coccinelle, che soprattutto allo stato larvale attaccano gli afidi, ma anche alcuni coleotteri oppure i sirfidi, insetti simili alle api che ricoprono importanti ruoli negli agroecosistemi, agendo come impollinatori nonché come antagonisti naturali di insetti nocivi, ma anche api selvatiche e farfalle”, spiega Dainese. Oggi gli insetti utili si possono anche allevare per poi inserirli nell’ambiente sulla base di rigidi protocolli di screening che garantiscono la sicurezza dell’intervento, “che può essere integrato con altre forme di interventi per la tutela della biodiversità e dell’ambiente”, spiega Barberi, “per esempio recuperando una pratica antica come l’introduzione nei sistemi di coltivazione di leguminose che, fissando l’azoto atmosferico, permettono di ridurre l’uso di fertilizzanti e migliorano la qualità del terreno”.


Il 70% delle colture agricole ha bisogno dell’impollinazione tramite insetti

In realtà esistono molti possibili interventi per ogni tipo di coltivazione. “Anche i sistemi a monocoltura possono giovarsi di un’introduzione di biodiversità”, spiega Barberi, “anzi, tanto più il sistema di partenza è povero di biodiversità, tanto più il vantaggio è evidente”. Colture diverse richiedono però interventi diversi: per le colture perenni, come frutteti oliveti o vigneti, di solito si punta sulla presenza di inerbimenti (creazione di una copertura erbosa, Ndr) tra i filari. Per i cereali o altre colture che possono essere messe in rotazione si può ricorrere a questo metodo lungo il perimetro dei campi “ma anche a colture di copertura“, spiega Barberi, “coltivazioni inserite nel periodo di tempo tra il raccolto della coltura precedente e la semina della successiva”. In questo modo, anziché lasciare incolto o lavorato il terreno, si introduce un elemento di biodiversità, per esempio una leguminosa, per poi sfalciarla o interrarla, “proteggendo il suolo dall’erosione e dalla perdita di fertilità, e migliorandone la qualità, oltre a contrastare le erbe infestanti”, spiega Barberi.

Per quanto riguarda invece i prati e prati pascoli, “che nella nostra zootecnia mancano e che stiamo cercando di recuperare”, quando si tratta di prati artificiali si tutela la biodiversità seminando al posto di una singola coltura (come l’erba medica) un mix di specie, per esempio graminacee e leguminose, che stabilizza la produzione, migliora l’ambiente e fornisce un alimento più completo agli animali. “Senza dimenticare”, ricorda Barberi, “che i sistemi agricoli ad alta biodiversità sono più attrezzati per contrastare e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico”. Si tratta di progetti ambiziosi che hanno bisogno di consenso. Per questo, spiegano i ricercatori, oggi bisogna lavorare insieme agli agricoltori, evitando soluzioni calate dall’alto e coinvolgendoli nelle scelte. Mentre sono in preparazione nuovi studi per quantificare il beneficio economico di queste innovazioni che guardano al passato.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

L’emporio, il negozio senza mercanti

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Giornata di laboratori per grandi e piccoli a Verderame, Casa dell’economia solidale di Pesaro

Nata più di dieci anni fa, la Rete dell’economia etica e solidale delle Marche, associa un centinaio di aziende, 50 gruppi di acquisto, 14 associazioni culturali, alcune amministrazioni comunali e 7 punti vendita che chiamano “empori”: Galleria AltraEconomia ad Urbino, AltraEco a Recanati, Emporio di Gaia a Civitanova, Emporio AE a Fano, Circolo Eco e Bio ad Ancona, EcoAma a Fermo, Verderame a Pesaro. Sono gestiti da consorzi di produttori o da cooperative sociali o anche da semplici volontari. Sono punti di incontro, snodi logistici e di idee tra produttori (non solo contadini, ma artigiani, operatori sociali, prestatori di servizi vari) e cittadinanza che desidera essere sempre più informata e responsabile delle proprie scelte di vita.
L’aria che si respira negli empori è straordinariamente diversa da quella di un qualsiasi negozio. Non ci sono merci, ma beni. Sai cosa compri e chi te la vende. Non ci sono pubblicità e confezioni ingannevoli. Il prezzo serve a ripagare un lavoro utile e ben fatto. Null’altro. Il ragazzo tiene in ordine gli scaffali, molto probabilmente, fa parte di un progetto di inserimento lavorativo di persone con fragilità di vario tipo. Ma puoi entrare anche se non hai bisogno di nulla perché gli empori sono anche luoghi di informazione e cultura.
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I principi guida della Rees sono la cooperazione sociale, il biologico, la filiera corta. Nella rete vi possono entrare imprese di qualsiasi forma giuridica e ramo d’attività, ma sono chiamate a stipulare un “accordo di rete” che è un vero e proprio patto etico, impegnativo tanto nella conduzione dell’azienda, quanto nel rapporto con l’esterno. Alla base di tutto c’è il vasto mondo contadino che nelle Marche è stato pioniere del biologico (pensiamo alla cooperativa La terra e il cielo) e dell’agriturismo. Poi ci sono i laboratori di trasformazione (pasta, olio, formaggi, cosmetica ecc.) e le imprese che si occupano di bioedilizia. Infine i servizi: da quelli finanziari con la Banca Popolare Etica, a quelli che si occupano di trasporti, informatica, grafica e cultura. L’obiettivo strategico è creare reti di comunità che sappiano soddisfare i propri bisogni con modalità sostenibili ed eque.
Roberto Mancini insegna filosofia all’università di Macerata e fa parte del direttivo della Rees: invita a pensare all’economia come all’attività di cura del bene comune: “L’economia è un segmento della democrazia e la democrazia a sua volta deve essere espressione di una civiltà etica che abbia un senso per l’umanità”. Katya è una delle fondatrici, ci ricorda il lungo lavoro umano, collettivo e plurale, declinato al femminile, svolto per mescolare provenienze e identità diverse e aprirle al territorio. I Gruppi di acquisto, spiega, sono l’anello che chiude la catena delle filiere dell’altra economia e c’è bisogno di una convergenza con la società locale e con gli enti pubblici.

Paolo Cacciari

fonte: http://comune-info.net

La sete degli orti urbani romani

L’iniziativa “Orti in Comune” è stata un primo passo  verso una serie di riflessioni collettive sulla buona pratica dell’agricoltura urbana a Roma
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Il 27 e il 28 novembre si è svolta presso la Casa del Giardinaggio il convegno Orti in Comune” una due giorni di studio e dibattiti, ma anche di festa e convivialità, per divulgare i contenuti della Delibera n. 38 del 17 luglio 2015. Una iniziativa voluta dalla rete degli orti e giardini condivisi di Roma insieme al progetto internazionale Gardeniser del Cemea del Mezzogiorno e dal progetto Sidigmed, entrambi coinvolti nell’analisi e nello sviluppo del fenomeno degli orti urbani. L’iniziativa si è svolta sotto il patrocinio di Roma Capitale.
Si sono affrontati i temi centrali che riguardano la pratica degli orti in città, partendo dalle esperienze riportate dalle varie realtà, attive ormai da alcuni anni. Per farlo sono stati invitati anche alcuni rappresentanti delle realtà ortiste più rappresentative di altre città come Milano, Bologna, Genova, Lampedusa. Le loro testimonianze hanno arricchito il dibattito fornendo interessanti spunti di riflessione. Ci sono stati momenti di approfondimento anche su temi specifici come quello del recupero dei frutti antichi a cura di Pietro Massimiliano Bianco dell’Ispra.
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Nei tre tavoli tematici si è parlato di accesso alle risorse, di sostenibilità e di fattibilità dei progetti, di gestione interna degli orti e auto-regolamentazione, verificando la congruità delle esigenze riportate con quanto previsto nella ordinanza. Dai tavoli è emerso che la delibera 38 offre importanti opportunità di sviluppo della pratica degli orti in città, ma presenta, allo stesso tempo, alcune criticità che potrebbero ridurre la portata di questo strumento, una su tutte l’accesso all’acqua. Non è previsto, infatti, alcun coinvolgimento delle amministrazioni territoriali nel garantire l’accesso ad una fonte idrica, neanche come parte terza per un eventuale ruolo di intermediazione fra associazioni e Acea. In questo senso, si è considerata la delibera come un primo passo per un work in progress che ha richiesto e richiederà il coinvolgimento di tutte le parti in causa: associazioni e istituzioni.
Per questo motivo è stato rivolto un invito a quei rappresentati istituzionali che hanno avuto un ruolo decisivo nel processo deliberatorio. Hanno partecipato: Estella Marino, già assessora all’ambiente sotto la precedente giunta comunale; Gianluca Peciola, già consigliere di Roma Capitale e capogruppo di Sel e Cristiana Avenali, consigliera del Partito democratico e della commissione ambiente della Regione Lazio. Con loro si è partecipato e condiviso il successo ottenuto, ma si è anche cercato il modo per superare insieme i limiti e le criticità della normativa.
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La consapevolezza della ridotta operatività dell’attuale quadro istituzionale e l’incertezza politico amministrativa che pesa sul futuro della città di Roma non hanno ridotto la ricchezza delle idee e il livello di coinvolgimento di tutti nel trovare soluzioni praticabili, anche attraverso la riapertura dei tavoli di confronto istituzionale. Seppur con alcune difficoltà, inoltre, è stata anche ipotizzata una possibile adozione della delibera su scala regionale.
Per tutti, la delibera rimane comunque una importante conquista che riconosce l’esistenza di quel mondo dell’associazionismo autorganizzato che da anni, senza clamore, ma con determinazione, si batte per recuperare pezzi importanti del territorio ad un uso ecologico e sociale.
fonte: http://comune-info.net


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Orto in affitto a Roma: la proposta a distanza di leverduredelmioorto.it



Orto in affitto: a Roma il primo orto biologico a distanza in affitto

Vi abbiamo spesso parlato del concetto di orto biologico anche urbano ma ora c’è una novità per tutti coloro che lo vorrebbero ma non si sentono in grado di gestirlo da soli, la possibilità quindi di avere un orto biologico a distanza coltivato per voi secondo le vostre preferenze ed in modo biologico.

“Siamo arrivati anche nella provincia di Roma. Affrettatevi a prenotare il vostro orto!” Questo è il messaggio che appare sul sito leverduredelmioorto.it, un servizio di cui vi abbiamo anche parlato nella nostra recensione di offerte di ecommerce di verdura e frutta bio.
Orto in affitto a Roma
Orto in affitto a Roma: un vero orto biologico a distanza grazie alla proposta di Le Verdure del mio Orto
Le verdure del mio orto” è un progetto nato a Vercelli nel 2009 che propone un rapporto diretto tra produttore e consumatore e che, da qualche giorno, grazie alla partnership con l’Azienda Biologica Le Spinose, in Sabina, offre un nuovo canale per usufruire di prodotti biologici: nasce così il primo orto biologico italiano a distanza a Marchio Garanzia AIAB, che coprirà tutta la zona di Roma e dell’Agro romano.

Orto in affitto a Roma: la proposta a distanza di leverduredelmioorto.it

Ma come funziona un orto biologico a distanza? I romani avranno la possibilità, attraverso il portale, di affittare un appezzamento di terreno e farlo coltivare da un contadino secondo le proprie preferenze e i propri gusti sulle verdure di stagione, fiori, erbe e piccoli frutti da piantare.
Per venire incontro alle esigenze di tutti (coppie, single, famiglie, gruppi e ristoranti) si possono affittare appezzamenti di terreno di dimensioni diverse: si parte da 16 euro per un orto di 30 mq e una fornitura settimanale di 3-4 Kg di orto-frutta fino a 34 euro per una fornitura di 11-12 Kg.
L’invito, dunque, è quello di provare a diventare “contadini virtuali“. E’ certamente un modo nuovo e diverso di vivere l’agricoltura: non sarà necessario seminare e irrigare il terreno; basterà iscriversi on-line e gestire l’orto dal proprio pc, scegliendo in prima persona le verdure di stagione che verranno coltivate e controllate da agricoltori ed esperti secondo metodi di coltivazione tradizionali, impianti di irrigazione a goccia per un maggior risparmio d’acqua e senza utilizzare prodotti chimici.
Quello disponibile sul sito ‘Le verdure del mio orto, si propone, dunque, come un servizio di alimentazione biologica davvero innovativo e altamente personalizzabile che offre all’utente finale anche la possibilità di adottare una piccola risaia scegliendo tra le varietà Carnaroli, Sant’Andrea e Arborio, il metodo di essicazione, il tempo di invecchiamento e il tipo di lavorazione.
Il progetto degli orti biologici  a distanza fa parte di una serie di azioni che contribuiscono ad ampliare una tendenza sempre più diffusa: il ritorno della campagna in città.
Verdure bio a casa vostra
Verdure bio a casa vostra
La stretta correlazione tra alimentazione e salute spinge il cittadino ad una maggiore attenzione alla qualità, alla genuinità e alla provenienza dei prodotti, la quale costituisce un elemento di garanzia di freschezza.
L’orto biologico a distanza viene incontro a queste esigenze riproponendo in un certo senso il concetto dell‘autoproduzione, già ripreso dal 25% degli italiani che hanno deciso di coltivare un orto nel giardino di casa, sul terrazzo o in appositi spazi verdi comunali.
Andrea Ferrante, presidente nazionale dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, e Antonella
Deledda, titolare dell’Azienda Agricola Le Spinose, dichiarano di essere molto soddisfatti di poter inaugurare questa iniziativa di filiera corta, la quale sviluppa un’ulteriore consapevolezza nei consumatori, perchè direttamente coinvolti nella scelta dei prodotti.
Dunque, un modo di agire che non solo fornisce cibo sano e genuino ma nutre anche la fantasia dei consumatori.
Per maggiori informazioni: http://www.leverduredelmioorto.it/

fonte: www.tuttogreen.it

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