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Lanciano campagna contro l’uso di pesticidi nella produzione di mele in Alto Adige, trascinati in tribunale per diffamazione due attivisti




’Alto Adige è una distesa infinita di meleti: ettari ed ettari di terreno coltivati a mele. Ma per combattere insetti nocivi, parassiti, erbacce e funghi patogeni, la stragrande maggioranza dei coltivatori agricoli utilizza pesticidi (e non solo per le mele, ma anche per il vino, la cui produzione in tutto il Trentino Alto Adige è altrettanto elevata). Tutto normale? Non proprio. È per questo che due attivisti hanno denunciato il massiccio impiego di fitofarmaci. E – paradosso – sono stati trascinati in una causa per diffamazione.

Tutto è cominciato quando l’Umweltinstitut München, l’Istituto per l’Ambiente di Monaco di Baviera, nel 2017, realizzò una campagna informativa dal titolo “Pestizidtirol” per sensibilizzare l’opinione pubblica sul largo uso di pesticidi in Alto Adige ed espose per qualche giorno un manifesto di denuncia nella fermata della metropolitana di Monaco di Karlsplatz.

Portavoce della campagna era Karl Bär, responsabile delle politiche agricole e commerciali dell’Istituto Bavarese. Sempre in quell’anno, poi, l’autore Alexander Schiebel pubblicò il libro Das Wunder von Mals (Il miracolo di Malles), la cittadina dell’Alto Adige/Südtirol che nel 2014 indisse un referendum per mettere al bando una serie di pesticidi.

Di fatto, in Alto Adige sono oltre 18 mila gli ettari di terreno agricolo utilizzati per la melicoltura. Ogni anno vengono raccolte più di 900mila tonnellate di mele (nel 2017 sono stati raccolti 9.107.670 quintali di mele, secondo dati ASTAT, Istituto provinciale di statistica), quasi la metà della produzione italiana e circa il 10% di quella dell’Unione europea. Secondo recenti dati Istat, inoltre, solo nella Provincia Autonoma di Bolzano la vendita di pesticidi in rapporto alla superficie trattabile supera di oltre sei volte la media nazionale.

La mossa di Karl Bär e di Alexander Schiebel non è evidentemente piaciuta all’assessore all’agricoltura della Provincia Autonoma di Bolzano, Arnold Schuler, che li ha così denunciati per diffamazione (insieme all’assessore ci sono più di mille agricoltori locali). I due attivisti sono insomma “colpevoli” di avere denunciato il largo impiego di pesticidi nei meleti altoatesini e i conseguenti rischi per la salute e l’ambiente.

Il processo si terrà al tribunale provinciale di Bolzano il prossimo 15 settembre. Bär e l’Istituto per cui lavora denunciano che questo è un “attacco alla libertà di espressione” e una “strategia sempre più comune in Europa per mettere il bavaglio a giornalisti e attivisti”.

Forza Karl, lottare contro i rischi ormai ben noti dei pesticidi ti fa onore. D’altronde, perché coltivare e mettere in vendita mele trattate con sostanze potenzialmente tossiche se esistono metodi altrettanto validi basati sull’agricoltura naturale?

fonte: www.greenme.it

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Biodiversità e agricoltura: la riscoperta delle tecniche del passato per fare un salto nel futuro






Tutelare la biodiversità non è solo utile all’ambiente, ma anche vantaggioso per l’agricoltura, aiuta a difendere i campi dagli insetti dannosi, favorisce l’impollinazione e aumenta la produzione. Per questo si stanno riscoprendo, con una nuova consapevolezza, pratiche antiche come la costruzione di siepi intorno ai campi le bordure fiorite attorno ai frutteti, le rose nelle vigne o il mantenimento di strisce di terreno incolto. Lo conferma una ricerca su oltre 1.500 terreni agricoli in tutto il mondo, uno sforzo internazionale coordinato da Eurac Research di Bolzano e dall’Università di Würzburg.

I ricercatori hanno analizzato due servizi ecosistemici – processi regolati dalla natura – vantaggiosi per l’uomo: il servizio di impollinazione fornito dagli insetti selvatici, e il servizio di controllo biologico, cioè la capacità di un ambiente di difendersi da insetti nocivi grazie ad altri insetti antagonisti presenti in natura. “In questo modo si migliora la produzione e si riduce la spesa per i pesticidi”, spiega Matteo Dainese, biologo di Eurac e responsabile dello studio, “una ricerca nata all’Università di Padova, dove mi sono formato, e poi sviluppata negli anni in una collaborazione internazionale”, spiega il ricercatore.

In passato alcune di queste tradizioni esistevano anche da noi, come le siepi fiorite a separare i campi o le piante di rose messe a protezione dei filari di viti, perché sono le prime a essere attaccate dai parassiti e ne segnalano la presenza: oggi in Italia il recupero di queste tradizioni è diffuso soprattutto nelle coltivazioni biologiche, mentre c’è più interesse in Germania o in Europa settentrionale, dove si lavora soprattutto nei meleti e sulle coltivazioni di colza, ma anche in altri paesi come l’America Latina dove questi metodi sono applicati alle piantagioni di caffè. “Ma anche da noi le cose stanno cambiando, in Alto Adige per esempio la biodiversità è entrata nel linguaggio dell’amministrazione”, sottolinea Dainese, “si comincia a comprenderne l’importanza”. Arriva dalla centro di sperimentazione di Lainburg in Alto Adige, per esempio, una serie di studi sui vantaggi legati alla presenza di strisce fiorite perenni nei meleti.

“Fino a qualche anno fa si lavorava per salvaguardare la biodiversità in quanto tale, ora stiamo cominciando a comprenderne i vantaggi legati alla produttività “, spiega Paolo Barberi, agronomo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha partecipato a vari progetti europei su questi temi.





Le piante di rose messe a protezione dei filari di viti, perché sono le prime a essere attaccate dai parassiti e ne segnalano la presenza

“Per anni l’agricoltura intensiva ha permesso di incrementare la produttività, ma oggi le cose stanno cambiando”, conferma Dainese. Siamo arrivati a una fase di stallo o addirittura a una diminuzione, senza contare che alcuni organismi stanno sviluppando resistenze a pesticidi ed erbicidi. “Abbiamo avuto un approccio semplicistico, pensando che si potesse risolvere tutto attraverso soluzioni tecniche puntuali, con uno specifico pesticida o diserbante, dimenticando la complessità dei sistemi naturali“, aggiunge Barberi. “Per questo abbiamo dimenticato buone prassi come la rotazione delle colture, che stiamo recuperando.” Oggi si punta a un approccio integrato (Integrated Pest Management) che usa vari sistemi preventivi per ridurre l’utilizzo di pesticidi, e più in generale di prodotti chimici, “con risparmio di costi diretti e indiretti, senza dimenticare l’impatto dell’uso delle sostanze chimiche sulla salute di chi lavora in agricoltura”, ricorda Barberi, “per questo c’è sempre maggior interesse per la biodiversità, anche a livello di Unione Europea”.

Così si recuperano le pratiche tradizionali, rivisitandole alla luce delle conoscenze scientifiche per costruire un paesaggio eterogeneo, un mosaico di campi agricoli, bordure di siepi fiorite e piccole aree naturali preservate per tutelare la biodiversità. Che serve a migliorare l’impollinazione – “di cui ha bisogno il 70% delle colture agricole”, ricorda Dainese – e a favorire la presenza di insetti utili. “ Come le coccinelle, che soprattutto allo stato larvale attaccano gli afidi, ma anche alcuni coleotteri oppure i sirfidi, insetti simili alle api che ricoprono importanti ruoli negli agroecosistemi, agendo come impollinatori nonché come antagonisti naturali di insetti nocivi, ma anche api selvatiche e farfalle”, spiega Dainese. Oggi gli insetti utili si possono anche allevare per poi inserirli nell’ambiente sulla base di rigidi protocolli di screening che garantiscono la sicurezza dell’intervento, “che può essere integrato con altre forme di interventi per la tutela della biodiversità e dell’ambiente”, spiega Barberi, “per esempio recuperando una pratica antica come l’introduzione nei sistemi di coltivazione di leguminose che, fissando l’azoto atmosferico, permettono di ridurre l’uso di fertilizzanti e migliorano la qualità del terreno”.


Il 70% delle colture agricole ha bisogno dell’impollinazione tramite insetti

In realtà esistono molti possibili interventi per ogni tipo di coltivazione. “Anche i sistemi a monocoltura possono giovarsi di un’introduzione di biodiversità”, spiega Barberi, “anzi, tanto più il sistema di partenza è povero di biodiversità, tanto più il vantaggio è evidente”. Colture diverse richiedono però interventi diversi: per le colture perenni, come frutteti oliveti o vigneti, di solito si punta sulla presenza di inerbimenti (creazione di una copertura erbosa, Ndr) tra i filari. Per i cereali o altre colture che possono essere messe in rotazione si può ricorrere a questo metodo lungo il perimetro dei campi “ma anche a colture di copertura“, spiega Barberi, “coltivazioni inserite nel periodo di tempo tra il raccolto della coltura precedente e la semina della successiva”. In questo modo, anziché lasciare incolto o lavorato il terreno, si introduce un elemento di biodiversità, per esempio una leguminosa, per poi sfalciarla o interrarla, “proteggendo il suolo dall’erosione e dalla perdita di fertilità, e migliorandone la qualità, oltre a contrastare le erbe infestanti”, spiega Barberi.

Per quanto riguarda invece i prati e prati pascoli, “che nella nostra zootecnia mancano e che stiamo cercando di recuperare”, quando si tratta di prati artificiali si tutela la biodiversità seminando al posto di una singola coltura (come l’erba medica) un mix di specie, per esempio graminacee e leguminose, che stabilizza la produzione, migliora l’ambiente e fornisce un alimento più completo agli animali. “Senza dimenticare”, ricorda Barberi, “che i sistemi agricoli ad alta biodiversità sono più attrezzati per contrastare e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico”. Si tratta di progetti ambiziosi che hanno bisogno di consenso. Per questo, spiegano i ricercatori, oggi bisogna lavorare insieme agli agricoltori, evitando soluzioni calate dall’alto e coinvolgendoli nelle scelte. Mentre sono in preparazione nuovi studi per quantificare il beneficio economico di queste innovazioni che guardano al passato.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

“Passi per il clima”, percorso un intero giro intorno al mondo

Andare da casa a scuola in modo ecologico ha portato 4.276 bimbi a totalizzare a piedi con genitori e insegnati oltre 49.800 chilometri. Risparmiate all’ambiente 6 tonnellate di anidride carbonica.





















263 classi altoatesine hanno partecipato all'iniziativa " A scuola senz’auto – raccogliamo passi per il clima" (Foto: Appa Bolzano, N. Franzoi)
Nell’ambito dell’iniziativa “A scuola senz’auto – raccogliamo passi per il clima”, promossa da Appa Bolzano, 4.276 bambini hanno totalizzato a piedi oltre 49.800 km. Contributo importante per la tutela del clima. Video su YouTube.
L’impegno è stato premiato: durante le due settimane dell’iniziativa “A scuola senz’auto – raccogliamo passi per il clima”, 4.276 alunne ed alunni hanno percorso il tragitto casa-scuola 99.449 volte in modo ecologico, raccogliendo lo stesso numero di “passi per il clima”.
“Supponendo che un percorso casa-scuola in Alto Adige sia lungo in media 500 metri, si può affermare che è stato percorso in modo ecologico un tragitto di ca. 49.800 km, ovvero una distanza che è maggiore della circonferenza della terra”, spiega Johanna Berger, responsabile per il settore educazione ambientale dell’Appa Bolzano. “Se questa distanza fosse stata percorsa con un’automobile, sarebbero state rilasciate nell’atmosfera circa 6 tonnellate di CO2, che invece sono state “risparmiate” all’ambiente.

Video realizzato da GNews su incarico di Appa Bolzano
Versione del video in lingua tedesca

Un premio all’impegno ambientale
Al termine dell’iniziativa, l’Appa Bolzano consegna ogni anno ad ogni classe partecipante un diploma in cui viene riportato sia il totale dei passi per il clima raccolti da ogni classe sia la quantità di anidride carbonica “risparmiata” all’ambiente da tutte le classi insieme. Quest’anno hanno aderito all’iniziativa 263 classi. Come premio per l’impegno dimostrato, vengono estratte e premiate ogni anno, in rappresentanza di tutte le classi partecipanti all’iniziativa, cinque classi. Il premio consiste nella partecipazione ad un laboratorio di gioco, avventura e movimento, ospitato nella propria scuola.
Importante contributo alla tutela ambientale
L’Assessore all’ambiente, Giuliano Vettorato, ha consegnato personalmente il diploma a due delle cinque classi vincitrici, ringraziando insegnanti ed alunni per l’impegno dimostrato. “Andare in bici, prendere l’autobus o semplicemente andare a piedi, come hanno fatto i bambini nell’ambito dell’iniziativa “Passi per il clima”, sono piccoli, grandi gesti quotidiani che contribuiscono alla tutela del clima, a migliorare la qualità dell’aria della nostra città e a cambiare in meglio anche la nostra qualità di vita“, afferma l’assessore Vettorato, molto soddisfatto per la grande partecipazione dimostrata.
Per incentivare alunne ad alunni a spostarsi anche in futuro in modo più ecologico, quest’anno, oltre al laboratorio di gioco ed avventura, è previsto un premio in più: una T-Shirt con la scritta “Vado a piedi“, uno degli slogan della campagna di sensibilizzazione “Save the Air – Insieme per un’aria migliore“. L’iniziativa “Passi per il clima” è infatti parte di questa campagna, promossa dall’Appa Bolzano.
La somma dei passi raccolti dalle scuole altoatesine è stata aggiunta al totale dei passi raccolti da tutti gli altri paesi europei e trasmesso il 7 dicembre, nell’ambito del progetto europeo “Green Footprint“, alla Conferenza Mondiale sul Clima a Madrid.
Cresce l’impegno per progetti di formazione ambientale
L’iniziativa „Passi per il clima” fa parte del pacchetto di educazione ambientale “Scuola.Ambiente” dell’Appa Bolzano. Durante l’anno scolastico 2019/2020 complessivamente 17.753 alunne ed alunni si sono iscritti ad uno o più progetti del pacchetto Scuola.Ambiente. La partecipazione è particolarmente elevata nelle scuole elementari e medie, fra le quali oltre il 60% ha aderito ad almeno uno dei progetti offerti. Rispetto all’anno scolastico precedente le richieste di adesione da parte delle scuole altoatesine di ogni ordine e grado sono aumentate di circa il 30%.
Ulteriori informazioni sui progetti di educazione ambientale offerti dall’Appa Bolzano a tutte le scuole altoatesine sono disponibili sul sito web dell’Agenzia.
fonte: https://www.snpambiente.it

Alto Adige: parchi giochi contaminati da pesticidi provenienti da vigneti e meleti


















Quasi la metà dei parchi giochi in Alto Adige sono contaminati da pesticidi. A dirlo è il primo studio di questo tipo, effettuato su 71 parchi giochi pubblici: sono stati trovati 12 fitofarmaci in tutto. Secondo gli autori dello studio, i risultati sono particolarmente preoccupanti in quanto il 92% dei pesticidi rilevati sono considerati “sostanze attive a livello endocrino”. Lo studio ha inoltre ribadito che la contaminazione da pesticidi dipende dalla distanza e dalle dimensioni dei campi agricoli nel paesaggio circostante, nonché dal vento e dalle precipitazioni. I risultati sono stati pubblicati nella rivista Environmental Sciences Europe. Mentre i prodotti agricoli sono regolarmente monitorati per eventuali residui di pesticidi, non è previsto alcun monitoraggio per i luoghi pubblici o giardini privati. Koen Hertoge, responsabile dello studio della Pesticide Action Network Europe: “In provincia dell’Alto Adige, una delle regioni a più intensa produzione di mele in Europa, la deriva dei pesticidi è un argomento di discussione molto controverso. Con questo studio abbiamo voluto fornire dati scientifici a questo dibattito”.

71 parchi selezionati casualmente

Nello specifico, sono stati selezionati a caso 71 parchi giochi pubblici nelle quattro regioni dell’Alto Adige (Val Venosta, Val d’Adige, Basso Adige, Valle Isarco), e ne sono stati analizzati campioni di erba per la potenziale contaminazione da 315 pesticidi. “L’aspetto unico del nostro studio non è stata solo la determinazione dei residui di pesticidi, ma anche l’analisi dei fattori sottostanti. Volevamo quindi sapere se la distanza dal prossimo meleto o vigneto, nonchè la direzione e la velocità del vento o l’irraggiamento solare avessero un’influenza su una potenziale contaminazione da pesticidi”, precisa la prima autrice dello studio, Caroline Linhart.

Sostanze attive a livello endocrino

In totale, abbiamo rinvenuto 12 pesticidi diversi nei parchi giochi. I parchi giochi della Val Venosta sono risultati essere i più spesso contaminati, mentre quelli del Basso Adige avevano la più alta concentrazione di pesticidi. “Posso immaginare che chi legge il nostro studio risponderà che non è rilevante se i campioni di erba sono contaminati da pesticidi o meno, perché i bambini non mangiano erba”, commenta Peter Clausing, coautore e tossicologo del Pesticide Action Network Germany di Berlino. “Tuttavia, la scoperta che il 92% dei pesticidi trovati sono sostanze considerate attive a livello endocrino dovrebbe preoccuparci. Queste sostanze possono alterare lo sviluppo, che per i bambini è una fase particolarmente sensibile a livello ormonale. “L’esposizione a tali perturbatori endocrini potrebbe avere effetti dannosi nel lungo termine, tra cui cancro, alterazioni delle funzioni cerebrali, obesità e diabete”, spiega Clausing.

“Le valutazioni devono diventare più realistiche”

“Le nostre analisi hanno anche dimostrato che le concentrazioni di pesticidi rilevate erano più elevate più i parchi giochi si trovavano in prossimità dei meleti e vigneti, e durante condizioni meteorologiche di pioggia e vento”, spiega Linhart. Gli autori dello studio hanno utilizzato un modello di rischio che include indicatori come le condizioni meteorologiche e altri fattori ambientali per prevedere le possibili concentrazioni di pesticidi. “Naturalmente un modello di previsione contiene sempre un certo livello di incertezza, ciononostante esso potrebbe contribuire notevolmente ad una migliore applicazione dei pesticidi e a ridurre la deriva. I risultati dello studio mostrano anche che la distanza tra il parco giochi e le aree agricole dovrebbe essere di almeno 100m, al fine di evitare la contaminazione da pesticidi nel miglior modo possibile. Tuttavia, condizioni di vento più elevate potrebbero causare derive addirittura oltre i 300 metri, e, a seconda delle condizioni di radiazione, sono probabili anche concentrazioni più elevate. “Questi aspetti climatici sono solitamente ignorati nella valutazione dell’impatto ambientale dei pesticidi”, dice Hertoge, che conclude inoltre da questo studio che le misure attualmente in auge per mitigare la deriva dei pesticidi sono chiaramente insufficienti, e chiede che sia istituito un sistema di monitoraggio completo dei pesticidi nei luoghi pubblici vicini ad aree agricole ad uso intensivo di pesticidi: “La direttiva UE sull’uso sostenibile dei pesticidi (1107/2009) sarà presto sottoposta a revisione (entro il 2019, ma potrebbe essere rinviata a seconda dell’attuazione dei piani d’azione nazionali da parte degli Stati membri). Chiediamo pertanto che si colga l’occasione di questa revisione per vietare finalmente del tutto i pesticidi (piuttosto che “limitarne seriamente l’uso”) nelle aree pubbliche”, conclude Hertoge.
fonte: https://ilsalvagente.it


Due studi individuano nuove alternative naturali al glifosato



















Dall’Università di Pisa e dalla collaborazione tra Austria, Svizzera e Alto Adige due nuove sperimentazioni potrebbero aprire la strada a un’agricoltura sostenibile e libera dall’uso di glifosato, dannoso per l’uomo e per l’ambiente.
In California, un giudice ha condannato la Monsanto a un maxi risarcimento di 289 milioni di dollari nei confronti di un giardiniere al quale l'uso del glifosato ha provocato il cancro. Intanto, anche in Europa il dibattito sulla possibilità di vietare questo diserbante si fa sempre più acceso.
Con l’accendersi della discussione, crescono anche le iniziative per trovare alternative all’uso di diserbanti nocivi per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Tra queste, il recente accordo tra il governo bavarese, austriaco ed altoatesino per una comune ricerca e sperimentazione in ambito agricolo e forestale con lo scopo di trovare una soluzione ecosostenibile per la sostituzione degli erbicidi.
Il progetto si fonda sulla possibilità di realizzare un telo biodegradabile per la pacciamatura, ovvero la pratica di ricoprire il terreno con uno strato di materiale adatto a prevenire la crescita di erbacce, a mantenere la giusta umidità del suolo e prevenire l’erosione. Un primo incontro tenutosi nella primavera di quest’anno ha permesso di identificare un obiettivo comune dal quale partire: la gestione delle piante infestanti senza il ricorso a prodotti erbicidi, coinvolgendo diversi istituti di ricerca.
 

Il telo pacciamante biodegradabile è stato sviluppato presso il Kompetenzzentrum für Nachwachsende Rohstoffe (“Centro di Competenza per le materie prime rinnovabili”) di Straubing (Baviera) ed è stato realizzato utilizzando esclusivamente materiali rinnovabili. Il telo viene sparso sul terreno in forma liquida e, una volta rappreso, si tramuta in un’efficiente copertura che impedisce la crescita delle infestanti.
Il telo costituisce il primo step pratico di una collaborazione destinata a farsi più stringente tra gli enti e che coinvolge anche il Centro di Sperimentazione Laimburg, al quale è stato affidato il compito di testare, in campi sperimentali, diverse possibilità di utilizzo in frutticoltura e viticoltura della soluzione sviluppata, per verificarne l’efficacia ed eventualmente effettuare interventi migliorativi.
Nel frattempo, un altro progetto per l’individuazione di alternative all’uso di glifosato è in corso nei laboratori dell’Università di Pisa e la soluzione potrebbe risiedere proprio in elementi da sempre sotto i nostri occhi. Quelle che vengono comunemente considerate “erbacce”, come l’achillea, l’assenzio annuale, l’assenzio dei fratelli Verlot, la santolina delle spiagge e la nappola, contengono oli essenziali capaci di bloccare la germinazione e inibire la crescita delle piantine infestanti.
Ai test condotti in laboratorio dovrà far seguito una sperimentazione più su ampia scala, ma le potenzialità di questa scoperta hanno già destato l’interesse internazionale, non solo nell’ambito dell’agricoltura sostenibile: la nebulizzazione di questi oli essenziali, infatti, potrebbe essere particolarmente utile (se sufficientemente efficace) ad esempio nelle aree urbane, dove le zone da diserbare sono spesso vicino a quelle abitate e frequentate da un elevato numero di persone.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it

Val di Funes: la valle in Alto Adige autogestita dai cittadini e 100% rinnovabile


















Poco più di duemila abitanti su 25 km quadrati all’ombra delle imponenti Odle: la val di Funes, con le sue sei frazioni, lascia a chi la visita la sensazione certa che qui tra le Dolomiti la vita ha tutt’altro sapore. Lenta come i suoi ritmi, autonoma come l’energia che produce, sorridente come gli allevatori che vi lavorano, frizzante come la sua aria.

Villnösstal, val di Funes in tedesco, lontana dal turismo di massa delle vicine val Gardena o Alta Badia, ma poco distante da un’altra perla – Valgiovo – ha preservato il gusto antico delle sue tradizioni, riscoprendone altre che erano andate nel dimenticatoio e piazzandosi allo stesso tempo all’avanguardia nell’uso delle fonti rinnovabili e di una mobilità sostenibile.

Acqua e legno, sole, pecore e un cuore grosso così che fa degli Altoatesini della val di Funes e delle valli vicine, come quelle in cui sorge il comune di Racines, un popolo davvero unico. La vita in e per la comunità è la loro formula segreta, quella coscienza di appartenenza netta, di condivisione e di aiuto reciproco che fa dei valori ecosostenibili i capisaldi principali.

Qui tutto basta a se stesso, in una strategia di autogestione che continua a fare dell’Alto Adige la regione più green d’Italia.
Funes e le centrali idroelettriche



Funes e tutta la sua splendida valle con poche centinaia di abitanti per ognuna delle frazioni in cui è suddivisa si è messa in testa sin dagli anni ’60 di reinventarsi e non rimanere più una località isolata.

Ad oggi, tutta l’energia elettrica qui necessaria viene prodotta in loco da tre centrali idroelettriche e un impianto fotovoltaico. Nel contempo, due impianti di teleriscaldamento a biomassa riscaldano gli edifici, mentre si è proceduto anche all’elettrificazione delle malghe e al cablaggio in fibra ottica.

Una vera e propria rivoluzione, che ha fatto di questa valle un fiore all’occhiello nella ricerca di territori completamente sostenibili, dove il ruolo dei cittadini e le loro esigenze rimangono di vitale importanza.

È così, infatti, che con gli anni è cresciuta e ha preso forma una cooperativa energetica, i cui soci – attualmente circa 600 – sono gli stessi cittadini, che in questo modo vedono sulle loro bollette uno sconto sulle tariffe elettriche pari al 50-60% (in media il prezzo dell’energia per i soci oscilla tra gli 8 e gli 11 centesimi di euro per kWh).

La prima centrale idroelettrica moderna fu quella della frazione di Santa Maddalena nel 1966, rinnovata nel 2010 con una potenza di 225 kWp. Ad essa si sono pian piano aggiunte quella di San Pietro, con potenza di 482 kWp, e poi quella di Meles, inaugurata nel 2004 con un potenza di 2,7 MW, che ha firmato il ritorno in attivo del bilancio della cooperativa e reso la valle capace di produrre più energia elettrica 100% rinnovabile di quanta non ne consumi.

Il resto è praticamente messo in vendita alla rete nazionale e i ricavi sono reinvestiti sullo stesso territorio, traducendoli in sconti in bolletta o realizzando nuovi impianti. Ne sono un esempio le due centrali di teleriscaldamento a biomasse legnose, San Pietro e Santa Maddalena, che producono calore.

La comunità locale, dunque, ha scelto di puntare tutto sull’approvvigionamento energetico autonomo nel rispetto dell’ambiente, così come sulla mobilità dolce. E siamo certi che l’ambiente della valle rimarrà intatto anche per le generazioni future.
Mobilità dolce, le vacanze ecosostenibili tra le Alpine Pearls



Sia Val di Funes che Valgiovo, la valle che collega Vipiteno alla Val Passiria appartenente al comune di Racines, rientrano tra le Alpine Pearls, la cooperazione che propone vacanze eco in tutti i posti più belli delle Alpi.

Trasporti, seggiovie e impianti di risalita, sentieri, noleggio bici e e-bike, musei ed escursioni: è la Mobilcard Alto Adige che consente, con un unico biglietto, di spostarsi in maniera comoda ed ecocompatibile in tutto l’Alto Adige, dimenticandosi completamente dell’auto.

Insomma, muoversi qui, tra le valli e sulle cime, mette in pace col mondo, nel silenzio di questo verde meraviglioso, lontano anni luce dal caos cittadino e dove si conoscono persone come Oskar e Hannes e il loro impegno per il bene di tutti e per offrire un turismo sostenibile.
Oskar Messner e Hannes Rainer, quando la tradizione incontra il futuro

Utilizzo di prodotti locali, biologici e stagionali. Fanno brillare gli occhi il vigore, l’energia, la passione che ci mettono due giovani di queste parti, che hanno deciso di prendere in mano le redini di una tradizione mista alla visione di un futuro sostenibile.
Le pecore con gli occhiali

Passeggi e li vedi, quei pascoli ad alta quota che sgambettano beati. In val di Funes sono ormai nate a nuova vita le Villnösser Brillenschaf, ossia quelle simpatiche pecorelle con le macchie nere attorno agli occhi che sembrano occhiali. Adesso, nella stagione estiva, si trovano in alpeggio, poi scendono a valle e brucano l’erba dei prati fino all’arrivo della stagione invernale.

Nei primi anni 2000, Oskar Messner, chef in val di Funes dalla forte passione per i prodotti locali e tradizionali, ha deciso di recuperare le Brillenschaf a un passo dall’estinzione e, fondando un’associazione, ha contribuito fortemente al recupero di questa razza autoctona (oggi presidio Slow Food) lavorando a stretto contatto con i contadini della zona, quintuplicati in pochi anni. 



La lana della pecora con gli occhiali è una delle più rinomate delle razze ovine alpine, lavorata dalle donne della valle, specializzate nella produzione di pantofole e berretti. Si è stati così in grado di recuperare anche le tradizionali tecniche di lavorazione dell’uncinetto e dell’infeltrimento della lana cardata e, perché no, unendole anche alle proprietà di altri prodotti. È il caso, per esempio, dei trucioli di cirmolo che, combinati con la lana, hanno la proprietà di abbassare il battito cardiaco e regalare sonni sereni.

Qui tutta la storia di Oskar Messner.
Hannes Rainer a Racines


Più avanti poco più in là, in Valgiovo, sorge Racines, anch’essa rientrante nella cooperativa alpina Alpine Pearls. Il Passo del Giovo divide le Alpi Breonie con Cima dell’Accia, Monte Altacroce e Cima Libera dalle Alpi Sarentine a sud.

Una vallata dai colori incredibili, campanili, saliscendi tra allevamenti, coltivazioni e fattorie didattiche, il sogno per chi vuole trascorrere una vacanza in famiglia. Qui si lavora nel rispetto assoluto dell’ambiente, tanto che Hannes Rainer è stato in grado di realizzare da sé nel suo albergo dei moderni impianti di produzione di energia termo-elettrica e di recupero dell’energia di raffreddamento.

Un impianto a biomassa, una centrale termoelettrica a blocco e un sistema di recupero energia di raffreddamento: Hannes, figlio delle Alpi, è l’esempio classico di come i giovani possano far crescere e far brillare di luce propria il territorio nel quale sono nati e proteggerlo nell’ottica del recupero dei legami comunitari.



Nel garage del suo albergo è a disposizione una stazione di ricarica per auto elettriche o ibride plug-in, le stanze odorano dell’inconfondibile profumo di pino cembro e la piscina non ha cloro ma si pulisce tramite “elettrolisi salina”, che garantisce la disinfezione dell’acqua tramite il sale e impedisce la formazione di alghe.

L’Alto Adige non si smentisce, la sua gente sa come mantenerla viva e verde, rispettosa di ogni essere che calpesti la sua terra!

fonte: https://www.greenme.it