Visualizzazione post con etichetta #PescaInsostenibile. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #PescaInsostenibile. Mostra tutti i post

La "migrazione" dei pesci provocata dai cambiamenti climatici

Nel nostro aggiornamento mensile sui cambiamenti climatici, ci occupiamo dell'impatto del riscaldamento globale sugli oceani. Siamo in Danimarca dove l'arrivo di nuove specie mette in luce i cambiamenti provocati dal riscaldamento delle acque. Ma prima, i dati del Servizio sui cambiamenti climatici di Copernicus.



I dati: un maggio di contrasti

​In Europa abbiamo visto l'ondata di freddo di aprile prolungarsi su maggio, con temperature di 0,5 gradi inferiori alla media 1991-2020.

Nel complesso, i dati climatici per il mese scorso sono fatti di contrasti, e potete vederlo nella mappa dell'anomalia della temperatura superficiale dell'aria.

C'è una netta disparità tra il freddo blu sopra l'Europa e l''area rossa sull'Asia centrale, dove le temperature il mese scorso sono state 5 gradi sopra la media. E poi ci sono stati dei veri estremi: All'interno del Circolo polare artico c'è stata una breve ondata di caldo, con il villaggio di Nizhnyaya Pescha che ha raggiunto i 31 gradi il 20 maggio.


Un record nel Circolo polare articoeuronews

​​

La mappa dell'anomalia delle precipitazioni ci mostra alcuni paralleli con quella della temperatura: le zone più calde sono state anche le più secche, in Grecia, Turchia e Russia, e nell'Europa nordoccidentale ha fatto freddo e umido. Il Galles ha vissuto il suo maggio più piovoso mai registrato con 245 millimetri di pioggia.


Impossibile lasciare l'ombrello a casa il mese scorso in Galleseuronews



SPONSORED CONTENT
Copernicus releases its annual European State of the Climate report
Warmest year and record rainfall in Europe, exceptional heat in the Arctic: get a free copy of Copernicus annual report which contains the latest data-driven insights to monitor our changing climate.
By Copernicus


"Pesci migranti" nelle acque danesi

I pesci sono particolarmente sensibili ai cambiamenti di temperatura, e con il riscaldamento degli oceani alcune specie si spostano verso nord, altre arrivano dal sud, alcune prosperano, altre sopravvivono appena. Siamo andati in Danimarca per saperne di più.
​Nuovi tipi di pesce nelle reti

Nel porto di Gilleleje, a nord di Copenaghen, si prepara il pescato giornaliero per la vendita. I pescatori sono sotto pressione a causa delle quote, si lamentano del deflusso agricolo che inquina l'acqua e ora, con i cambiamenti climatici, stanno trovando nuovi tipi di pesce nelle loro reti, dice Lasse Nordahl dell'Asta del pesce di Gilleleje: "Stiamo cominciando a vedere specie che prima non vedevamo così spesso. Per esempio quest'anno abbiamo trovato del polpo. Ci sono state anche molte passere atlantiche negli ultimi anni: non ne trovavamo quando ho iniziato qui. La triglia è un'altra specie che ha cominciato ad apparire, non in grandi quantità, ma è una specie che stiamo vedendo sempre più spesso".
​Animali a sangue freddo

La ragione per cui i pesci si stanno spostando in nuovi habitat è che sono animali a sangue freddo che vivono in acque la cui temperatura è vicina alla loro temperatura corporea. Quindi in Europa alcune specie si stanno allontanando dalle acque più calde. Il ricercatore Mark Payne spiega perché: "A terra se fa troppo caldo ci si può riparare sotto un albero, o magari scavarsi un riparo, mentre l'oceano tende a essere molto più uniforme, non c'è riparo, è molto più difficile avere un attimo di tregua rispetto alla terraferma".

Quantità di sgombro pescato nelle acque intorno all'Islanda: l'evoluzione dal 2006 al 2010
Chi va, chi viene

​All'Università tecnica della Danimarca il monitoraggio regolare delle acque danesi mette in evidenza gli effetti dei cambiamenti climatici. Due le tendenze principali: l'arrivo di specie come tonno, nasello e acciuga e il declino del pesce locale, come il merluzzo del Baltico. Non solo, spiega la ricercatrice Louise Lundgaard: "Oggi un merluzzo di quattro anni è più piccolo rispetto, per esempio, a dieci anni fa. È perché si concentrano più sulla riproduzione che sulla crescita. Questo può essere dovuto alla temperatura dell'acqua, alle condizioni o alla quantità di cibo o ad altri fattori".
Adattarsi ai cambiamenti

I cambiamenti cui assistiamo in Danimarca stanno avvenendo in tutto il mondo. E come si adattano le popolazioni ittiche, la stessa cosa dovremo fare noi, dice Payne: "È sicuramente una sfida per tutte le comunità e le imprese che dipendono dall'oceano intorno alle nostre coste. Saranno costrette ad adattare le loro tecniche di pesca, le loro attrezzature, il modo in cui immagazzinano e lavorano il pesce, e anche il modo di vendere il pesce. Quindi ci sarà bisogno di far fronte a questi cambiamenti nell'intera industria di trasformazione del pesce".

E mentre il settore si adatta, noi consumatori possiamo fare la nostra parte acquistando pesce considerato sostenibile.




fonte: it.euronews.com


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Seaspiracy, il documentario sugli oceani che ci cambierà per sempre è arrivato su Netflix

Dopo Cowspiracy arriva su Netflix Seaspiracy, il documentario che svela il lato oscuro dell’industria della pesca e di tutte le condotte suicide che stanno devastando gli oceani.


L’oceano, culla e polmone della vita sulla Terra, è l’habitat più vasto e prezioso del nostro ecosistema. Il luogo in cui tutto è cominciato e da cui dipende l’equilibrio di tutte le specie, uomo incluso. Noi, invece, lo stiamo condannando a morte, inquinandolo e depredandolo senza misura. A tracciare questo drammatico quadro, sbattendoci in faccia la verità è il documentario Seaspiracy, uscito il 24 marzo su Netflix.

Durante tutta la lavorazione del film, gli attivisti Kip Andersen (produttore esecutivo) e Ali Tabrizi (regista), hanno incessantemente divulgato notizie e dati sullo stato di salute dei mari, per cercare di accelerare la presa di coscienza delle persone e delle istituzioni, invocando un cambio di rotta nell’atteggiamento suicida che l’umanità porta avanti ormai da troppo tempo.













Seaspiracy, la trama del documentario

Risultato di anni di ricerche e di indagini (condotte anche a rischio della propria vita dai registi), il film mostrerà quali proporzioni ha raggiunto oggi il nostro impatto sugli oceani. Alleati indispensabili per la nostra sopravvivenza, essi producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, ospitano l’80 per cento della vita, sulla Terra, assorbono circa un terzo delle emissioni di CO2 create dall’uomo e, dagli anni Sessanta ad oggi, hanno assorbito il 90 per cento del calore in eccesso con cui abbiamo alterato il clima della Terra.

In cambio noi, dal 1950 ad oggi, abbiamo portato al collasso il 29 per cento delle specie ittiche commerciali (con un trend che minaccia un declino sempre più rapido e devastante entro il 2048); uccidiamo 650 mila animali marini ogni anno tra balene, delfini e foche, massacrando 73 milioni di squali all’anno per la loro carne, ma anche “per errore”.

Senza fare sconti, gli autori sono andati a scavare all’origine delle condotte umane responsabili della distruzione oceanica, che sta provocando la più grande estinzione di massa delle specie degli ultimi 65 milioni di anni, dopo la scomparsa dei dinosauri.

Questo film trasformerà radicalmente il modo in cui pensiamo e agiamo sulla conservazione degli oceani per sempre. È ora che concentriamo le nostre preoccupazioni ecologiche ed etiche sui nostri mari e sui suoi abitanti. Questa è una nuova era per il modo in cui trattiamo l’habitat più importante della terra.

Ali Tabrizi, attivista oceanico e regista di Seapiracy

Andersen e Tabrizi hanno così portato le telecamere sui pescherecci, nelle aree di acquacoltura, ma anche negli uffici dei responsabili, portando a galla il lato oscuro dell’industria della pesca con il suo sfruttamento intensivo dei mari e dei suoi abitanti.


A finire sotto accusa è dunque la condotta scellerata e ottusa dell’umanità, che da anni aggredisce le acque oceaniche e i loro abitanti con spietata avidità e prepotenza. Un tema scottante e messo sotto silenzio anche da chi avrebbe dovuto denunciare e, di conseguenza, intervenire. Da qui la scelta del titolo, Seaspiracy (gioco di parole tra sea, mare, e conspiracy, cospirazione), con cui il film punta il dito contro l’omertà di chi finora ha taciuto su quello che è definito uno dei più grandi problemi che affliggono la nostra epoca e da cui dipenderà la salvezza dell’intero pianeta. 


Alcune popolazioni di squali sono diminuite fino al 98 per cento negli ultimi 15 anni e quasi un terzo delle specie di squali pelagici è considerato minacciato dall’Iucn © Netflix 2021
Il sequel di Cowspiracy

Lo stesso approccio usato in Seaspiracy era stato adottato anche nel documentario del 2015 Cowspiracy, prodotto da Leonardo DiCaprio e diretto dallo stesso Kip Andersen. Al centro delle sue indagini, allora, era stato l’impatto ambientale della produzione di carne sul pianeta e l’omertà delle associazioni ambientaliste.

Dopo aver appreso, tramite un rapporto della Fao, che l’allevamento del bestiame genera più gas serra dell’intero settore dei trasporti e rappresenta la causa motrice principale della devastazione ambientale, Andersen, attivista convinto, era rimasto sconvolto dal silenzio assordante sul tema da parte delle grandi associazioni ambientaliste. Le stesse che lui stesso aveva sostenuto per anni.

Da lì il suo desiderio di andare a fondo della questione e la scoperta del motivo di tale silenzio: la paura delle associazioni di essere identificate come realtà anti-carne, perdendo così l’indispensabile sostegno popolare ed economico.


Il legame letale tra allevamenti intensivi e oceani

Un altro aspetto che affronterà Seaspiracy è la connessione tra l’industria zootecnica e l’inquinamento delle acque, con la conseguente distruzione degli habitat, contaminati dai deflussi agricoli. Un legame letale che secondo l’Epa (Environmental protection agency) è la causa principale dell’estinzione delle specie marine e delle zone morte oceaniche.

Quello che è chiaro da tempo, insomma, è che da questa guerra che l’uomo ha dichiarato agli oceani, nessuno potrà uscire vincitore e che per ristabilire un equilibrio duraturo serve una decisa e rapida presa di posizione da parte di tutti. Il documentario Seaspiracy, con la sua denuncia chiara e coraggiosa, potrà certamente contribuire a questo scopo.


fonte: www.lifegate.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Oceani possono tornare in salute in 30 anni, ma serve agire subito

Ripristinare l'equilibrio degli habitat marini è possibile secondo uno studio, occorre però agire subito per evitare il tracollo.



Possono essere sufficienti 30 anni per riportare gli oceani al loro antico splendore. A sostenerlo uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori, guidato dal Prof. Carlos Duarte della King Abdullah University of Science and Technology in Arabia Saudita. Stando alle conclusioni presentate sarebbe ancora possibile porre rimedio ai danni provocati dall’uomo in termini di inquinamento, cambiamenti climatici e pesca insostenibile.

Laddove sono state adottate misure a tutela dell’habitat marino o comunque ridotto l’impatto antropico, spiegano i ricercatori, gli oceani hanno saputo recuperare terreno nei confronti dei danni provocati dall’uomo. Alcuni esempi sono rappresentati dalle megattere in Australia, dagli elefanti marini negli USA o dalle tartarughe verdi in Giappone.

Contrastando la pesca insostenibile, la distruzione delle coste e l’inquinamento marino gli oceani potrebbero mostrare una rinascita entro il 2050, spiegano i ricercatori, con ripercussioni positive per l’uomo in termini di stabilità climatica, sicurezza dei tratti costieri e cibo.

Questo anche grazie al volume di conoscenze accumulate negli anni in merito ai meccanismi che regolano l’habitat oceanico. Come ha sottolineato il Prof. Carlos Duarte della King Abdullah University of Science and Technology:

Abbiamo una limitata finestra di opportunità per lasciare un oceano in salute ai nostri nipoti, e abbiamo le conoscenze e i mezzi per farcela. Fallire l’accettazione di questa sfida e insieme condannare i nostri nipoti a un oceano rotto incapace di rappresentare una fonte di sostentamento non è un’opzione.

Fonte: The Guardian