La valle del biologico e i suoi borghi

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Nell’Appennino tra La Spezia, Genova e Parma ci sono Varese Ligure e altri sei comuni che hanno avuto l’intuizione e lo spirito giusti per invertire il declino delle “zone marginali interne” puntando sull’agricoltura di qualità, la valorizzazione dei borghi e delle risorse naturali, consorziando le imprese. A tal fine hanno ideato il biodistretto della Val di Vara, un patto pubblico/privato tra Comuni e operatori biologici (www.biodistrettovaldivara.it).
La “Valle del biologico” è diventato in pochi anni un marchio di promozione per la commercializzazione dei prodotti locali e un modello economico territoriale. Raggruppa un centinaio di aziende tra cui due cooperative zootecniche e casearie, una dozzina di agriturismi e alcuni ristoranti, due fattorie didattiche, due aziende agricole sociali per l’inserimento lavorativo di persone con disagi ed anche una comunità religiosa del tutto particolare, i Ricostruttori, che recupera terreni e immobili abbandonati e forma associazioni di famiglie e monaci che lavorano la terra, accolgono, meditano e vivono di ciò che producono.
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L’inventore del biodistretto è stato un sindaco illuminato, Maurizio Caranza, scomparso nel 2007, che ottenne dalla Regione Liguria un Piano di sviluppo rurale attento alle aree montane. La mission è stata poi raccolta da Aiab Liguria (l’associazione degli agricoltori biologici) che è riuscita a convincere novantasette aziende agricole (sulle duecento circa esistenti) a convertire più della metà delle terre coltivabili della Val di Vara: tre mila ettari di superficie certificata bio, una delle estensioni più grandi esistenti in Italia, tanto da conferire alla valle il titolo di capitale del biologico. Si tratta soprattutto di pascoli e boschi (castagne), ma si sono insediate anche nuove aziende di ortofrutta, erbe aromatiche, apicoltori. Nonostante l’asperità dei luoghi sono stati messi a coltivazione farro, grani antichi e specie pregiate di legumi come la fagiolana.
Sono giovani famiglie “neorurali” che scelgono le dure fatiche e i grandi rischi della terra pur di sfuggire alla morsa dei lavori disabilitanti che offrono le città post-industriali. Quando la vendita diretta non basta (e non basta) il circuito dei Gruppi di acquisto solidali e dei mercati contadini consente di integrare i redditi. Da parte loro i comuni si impegnano a salvaguardare le aree a vocazione agricola, introdurre alimenti biologici nelle mense scolastiche, recuperare i terreni incolti, gestire correttamente i beni frazionali (usi civici), non usare diserbanti nella manutenzione delle strade ed altro ancora.
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Alessandro Triantafyllidis è titolare di un’azienda zootecnica e il presidente dell’Associazione del Biodistretto, ci dice: “La chiave della possibile rinascita di queste terre meravigliose è riuscire a mettere assieme enti pubblici e produttori, cittadini e agricoltori, ambiente e turismo. Le potenzialità economiche si trovano solo nella ricerca della massima qualità”. Il biodistretto ci fa capire cosa potrebbero essere le bioregioni.

Paolo Cacciari

fonte: http://comune-info.net