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Un «buco dell’ozono» ha attraversato i cieli europei

 














Raffigurazione della distribuzione di ozono stratosferico nell’emisfero nord misurata da satellite (immagine del 15 aprile 2020). L’Europa è visibile nel quadrante in basso a destra. I colori più freddi rappresentano aree a minore concentrazione di ozono (il «buco dell’ozono» artico appare come una bolla blu), i colori più caldi rappresentano regioni a maggiore concentrazione. 
Fonte: NASA https://ozonewatch.gsfc.nasa.gov/NH.htm

Nella primavera 2020 i ricercatori di

Chiuso buco dell’ozono da record sopra l’Antartide

Si è chiuso con il 2020 il buco dell'ozono da record sopra l'Antartide, a darne notizia l'Organizzazione Meteorologica Mondiale.



Si è finalmente chiuso a fine dicembre il buco dell’ozono da record al di sopra dell’Antartide. A comunicarlo è l’OMM, Organizzazione Meteorologica Mondiale, istituita il 23 marzo 1950 e con attuale sede a Ginevra (Svizzera).

Una stagione eccezionale quella appena conclusa, ha proseguito l’OMM, che ha visto il buco dell’ozono raggiungere il 20 settembre il punto di massima estensione. Circa 24,8 chilometri quadrati la dimensione maggiore, con la “copertura” di buona parte dell’Antartide. Una condizione frutto sia di particolari condizioni naturali, aggiunge l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, ma anche “della continua presenza di sostanze che riducono lo strato di ozono nell’atmosfera”.

Per quanto riguarda le condizioni naturali e climatiche che hanno portato alle dimensioni record toccate a settembre l’OMM ha affermato si sia trattato della combinazione di temperature molto fredde all’interno della stratosfera (fascia compresa tra 10 e 50 chilometri circa di altitudine) con un vortice polare risultato forte, freddo e stabile.

Dati completamente differenti ad esempio sono stati raccolti nel 2019, quando il buco dell’ozono è risultato minimo. Ha sottolineato Oksana Tarasova, alla guida della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale:


Le ultime due stagioni del buco dell’ozono dimostrano la sua variabilità di anno in anno e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità. Abbiamo bisogno di un’azione internazionale continua per applicare il Protocollo di Montreal.

Buco dell’ozono e Protocollo di Montreal

Il Protocollo di Montreal è un accordo internazionale volto a tutelare lo strato di ozono attraverso il divieto di produzione e consumo di quelle sostanze che ne minacciano l’integrità. Come spiegato sul sito del Ministero dell’Ambiente italiano:


Il Protocollo di Montreal è lo strumento operativo dell’UNEP, il Programma Ambientale delle Nazioni Unite, per l’attuazione della Convenzione di Vienna “a favore della protezione dell’ozono stratosferico”. Entrato in vigore nel gennaio 1989, ad oggi, è stato ratificato da 197 Paesi tra i quali l’Italia (dicembre 1988).

Il Protocollo stabilisce i termini di scadenza entro cui le Parti firmatarie si impegnano a contenere i livelli di produzione e di consumo delle sostanze dannose per la fascia d’ozono stratosferico (halon, tetracloruro di carbonio, clorofluorocarburi, idroclofluorocarburi, tricloroetano, metilcloroformio, bromuro di metile, bromoclorometano).

Fonte: OMM

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Sostanze dannose per lo strato di ozono: ancora passi avanti nell'eliminazione

L'Unione europea ha raggiunto i suoi obiettivi sull’eliminazione graduale delle sostanze che riducono lo strato di ozono ai sensi del protocollo di Montreal. I dati in un rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente





















La relazione annuale dell'Agenzia europea per l'ambiente conferma che l'Unione europea ha continuato ad eliminare le sostanze che danneggiano lo strato di ozono, in linea con gli impegni assunti con il protocollo di Montreal.
Il rapporto mostra che il consumo di tali sostanze, ampiamente utilizzate in refrigeranti, polimeri, prodotti farmaceutici e prodotti chimici agricoli, è rimasto negativo (-1 505 tonnellate) nel 2018; un numero maggiore di queste sono dunque state distrutte o esportate rispetto a quelle prodotte o importate, situazione in linea rispetto agli ultimi anni.
Consumo sostanze dannose per strato ozono 2006-2018 in UE
Fermare l'uso di sostanze che riducono lo strato di ozono è fondamentale per proteggere lo strato di ozono che svolge un'importante funzione nel proteggere la vita sulla Terra in quanto assorbe i raggi ultravioletti del sole, che possono rappresentare un pericolo per l'ambiente e la salute umana.
Il rapporto dell’Agenzia riporta i dati aggregati e aggiornati, comunicati dalle aziende europee che hanno l'obbligo di segnalare annualmente l'uso di tali sostanze, comprese le importazioni, esportazioni, produzione e distruzione.
Ricordiamo che il Protocollo di Montreal è entrato in vigore nel 1989 con l’obiettivo di proteggere lo strato di ozono eliminando gradualmente la produzione di sostanze che lo riducono. Il protocollo copre oltre 200 singole sostanze con un alto potenziale di riduzione dell'ozono, tra cui clorofluorocarburi (CFC), halon, tetracloruro di carbonio (CTC), 1,1,1-tricloroetano (TCA), idroclorofluorocarburi (HCFC), idrobromofluorocarburi (HBFC), bromoclorometano (BCM) e metilbromuro (MB), tutti denominati "sostanze controllate".
Il Protocollo è stato modificato nel 2016 per regolare gli idrofluorocarburi (HFC); utilizzati sin dagli inizi degli anni ’90 in alcune apparecchiature e applicazioni – come gli impianti di refrigerazione, di condizionamento d’aria e le pompe di calore – in sostituzione dei clorofluorocarburi e degli idroclorofluorocarburi, sono potenti gas serra e la loro produzione e consumo sono cresciuti in modo significativo negli ultimi decenni. Sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo hanno assunto impegni obbligatori per ridurre la produzione e il consumo di HFC nei prossimi tre decenni.
All'interno dell'UE, le sostanze che riducono lo strato di ozono sono coperte dal Regolamento (CE) n. 1005/2009 (noto come regolamento ODS) che risulta più rigoroso delle norme del Protocollo di Montreal e comprende anche sostanze aggiuntive.
Per approfondimenti: leggi il report dell’Agenzia europea per l’ambiente Ozone-depleting substances 2019
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Lo smog accelera l'enfisema polmonare quanto il fumo

L'ozono in città equivale a un pacchetto di sigarette al giorno



















L'inquinamento atmosferico, specie quello da ozono che cresce per colpa dei cambiamenti climatici, accelera la progressione dell'enfisema polmonare, proprio quanto fumare. E' quanto emerge da uno studio condotto dall'Università di Washington, dalla Columbia University e dall'Università di Buffalo pubblicato sulla rivista scientifica Jama. Studi precedenti avevano già mostrato una chiara connessione di inquinanti atmosferici con alcune malattie cardiache e polmonari. 

Questo nuovo lavoro dimostra un'associazione tra l'esposizione a lungo termine a tutti i principali inquinanti atmosferici (in particolare l'ozono) con l'aumento dei casi di enfisema, una condizione in cui la distruzione del tessuto dei polmoni porta a respiro sibilante, tosse, al respiro affannoso e aumenta il rischio di morte. I ricercatori hanno scoperto che vivere per 10 anni in zone il cui livello di ozono ambientale è più alto di 3 parti per miliardo equivale a fumare un pacchetto di sigarette al giorno per 29 anni. L'analisi è stata condotta per 18 anni in sei aree metropolitane degli Usa, tra cui quelle di Chicago, Los Angeles e New York. 

"Siamo rimasti sorpresi nel vedere quanto sia stato forte l'impatto dell'inquinamento atmosferico sulla progressione dell'enfisema nelle scintigrafie polmonari, nella stessa associazione degli effetti del fumo di sigaretta, che è di gran lunga la causa più nota dell'enfisema", ha detto Joel Kaufman, docente di scienze ambientali ed epidemiologia della salute pubblica della School of Public Health dell'Università di Washington.

fonte: www.ansa.it

Lo scioglimento del permafrost artico causa enormi emissioni di protossido d’azoto

Un nuovo studio della Harvard University ha scoperto che le emissioni di uno dei più potenti gas serra sono 20 volte superiori alle previsioni.





















Lo scioglimento del permafrost artico sta rilasciando nell’atmosfera una quantità di protossido d’azoto, uno dei principali gas serra, 20 volte superiore alle previsioni: a lanciare l’allarme è una ricerca condotta dalla Harvard University. Gli studi sulle emissioni derivate dallo scioglimento del permafrost si sono finora concentrati su due dei principali gas serra, il metano e il diossido di carbonio. L’ultimo report dell’EPA (l’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente), datato 2010, considerava “trascurabili” le emissioni di protossido d’azoto in relazione al disgelo del permafrost.

La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics, ha rilevato però che il permafrost presente in Alaska sta rilasciando attualmente quantità di protossido mai previste prima: “Ulteriori piccoli incrementi di emissioni di protossido d’azoto potrebbero determinare gli stessi effetti sul cambiamento climatico di un enorme rilascio di CO2”, avverte il professor Jordan Wilkerson, dottorando e primo autore dello studio presso il laboratorio di Chimica atmosferica ad Harvard.
Il protossido d’azoto è un gas difficile da intercettare con gli strumenti con cui vengono registrate tradizionalmente le emissioni di gas serra, eppure è capace di trattenere il calore terrestre fino a 300 volte in più del diossido di carbonio.
I ricercatori americani hanno collezionato dati su quattro diversi gas serra (metano, diossido di carbonio, vapore acqua e protossido d’azoto) a partire dal 2013, sfruttando un piccolo velivolo capace di volare a 50 metri da terra con cui hanno sorvolato oltre 310 chilometri quadrati di territori coperti dal permafrost in Alaska. In appena un mese, la quantità di protossido d’azoto raccolta dal laboratorio mobile superava la quota stimata dal report dell’Epa per un intero anno. 

Le ipotesi del team guidato dal dottor Wilkerson sono state ulteriormente confermate da altri studi condotti tramite sensori installati direttamente nella tundra e carotaggi di permafrost poi scaldati artificialmente in laboratorio.
Oltre ad essere un potente gas serra, una volta raggiunta la stratosfera, luce e ossigeno convertono il protossido in ossido d’azoto, uno dei principali gas causa del buco dell’ozono.
“Non abbiamo idea di quanto le emissioni di protossido possano aumentare nel futuro. Né sapevamo che fossero significative fino a quando non abbiamo osservato i risultati dello studio”, ha concluso Wilkerson, invitando la comunità scientifica a prendere in seria considerazione il fenomeno finora trascurato.

fonte: www.rinnovabili.it

Qualcuno sta continuando a emettere il gas che causa il buco dell’ozono

Una ricerca pubblicata su Nature afferma che le emissioni del gas messo al bando nel 2010 per proteggere lo strato d'ozono, hanno ricominciato a crescere. E non se ne conosce il motivo.

















Non dovrebbe essere presente nella stratosfera, o comunque la sua concentrazione non dovrebbe certo salire, dato che la produzione è vietata dal 2010. Si tratta del triclorofluorometano o Cfc-11, gas impiegato negli aerosol o nei solventi e vietato dal protocollo di Montreal e che negli anni ha contribuito ad alimentare quello conosciuto come “buco” dell’ozonoIl gas continua però ad essere presente nell’atmosfera, con concentrazioni via via più elevate, misurate a partire dal 2012.


















Lo rendono noto i ricercatori della Noaa (Amministrazione nazionale oceanica ed atmosferica) che in uno studio pubblicato su Nature, spiegano che la riduzione della concentrazione di Cfc-11 misurata è stata costante dal 2002 al 2012, ma che ha subito un deciso rallentamento (di quasi la metà) a partire dallo stesso anno. Aumento che si è registrato per lo più nell’emisfero meridionale, che in quello settentrionale, cosa che fa supporre ci possa essere stata una ripresa della produzione in Asia, ma non esistono ovviamente conferme.
“Gli attuali modelli scientifici mostrano che lo strato di ozono rimane sulla buona strada per il recupero entro la metà del secolo, ma il continuo aumento delle emissioni globali di Cfc-11 metterà a repentaglio tali progressi”, ha scritto l’Agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite in una nota. “Finché gli scienziati rimarranno vigili, la nuova produzione o l’emissione di sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono non passeranno inosservate”.




Perché il cloro è pericoloso per l’ozono

Tutta la classe dei clorofluorocarburi una volta rilasciati in atmosfera vanno ad interagire con le molecole di ozono (O3): il cloro reagisce con l’ozono sottraendogli una molecola d’ossigeno e formando così monossido di cloro (ClO) con liberazione di ossigeno (O2). La molecola di monossido di cloro, a sua volta, si scinde una volta in contatto con l’ossigeno, liberando nuovamente il cloro. E il ciclo ricomincia, causando appunto il decadimento graduale dello strato di ozono.

L’ozono stava tornando ai livelli normali

È stato per anni l’esempio di come le politiche a favore dell’ambiente potessero effettivamente risolvere un problema fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie sul pianeta. Con una scelta condivisa si mise al bando la causa, scientifcamente provata, per il bene comune.
Lo scorso gennaio era stata la stessa Nasa ad annunciare che le misurazioni dimostravano come la riduzione del cloro in atmosfera, avesse ridotto di circa il 20 per cento il decadimento dell’ozono durante l’inverno antartico, rispetto ai livelli misurati nel 2005, anno in cui si iniziarano le misurazioni satellitari. Insomma, il bando funzionava.
Ma oggi pare che le leggi del profitto, o forse della scarsa conoscenza scientifica, continuino ad avere la meglio. “Se queste emissioni continuano senza sosta, avranno il potenziale per rallentare il recupero dello strato di ozono”, scrive l’Agenzia. Sarà quindi necessario identificarne le cause, e adottare le misure necessarie quanto prima.
fonte: www.lifegate.it

Primi segni di guarigione del buco nello strato di ozono antartico

Il Protocollo di Montreal funziona, nonostante gli “scherzi” dei vulcani

Ozono antartico
Nello studio “Emergence of Healing in the Antarctic Ozone Layer” pubblicato su Science un team di scienziati guidati dal Massachusetts Institute of Technology  (MIT) hanno individuato i primi segni di guarigione dello strato di ozono antartico. Il buco nell’ozono nel settembre 2015 si è ridotto di oltre 4 milioni di Km2  chilometri quadrati a partire dal 2000, quando l’estenzione del uco nell’ozono aveva raggiunto il massimo. Il team  ha anche di mostrato per la prima volta che questo recupero  in qualche anno  è rallentato leggermente a causa degli effetti delle eruzioni vulcaniche. «Tuttavia, in generale, il buco nell’ozono sembra essere sulla strada della guarigione », dicono al MIT.
Gli autori dello studio  hanno utilizzato “impronte digitali” dei cambiamenti nell’ozono secondo la stagione e l’altitudine per attribuire il recupero del ozono per il continuo declino del cloro atmosferico proveniente da clorofluorocarburi (CFC), i composti chimici che prima venivano emessi nei procedimenti di pulizia a secco, dai vecchi frigoriferi e dalle bombolette spray  come la lacca per capelli. Nel 1987, quasi tutti i Paesi del mondo hanno firmato il Protocollo di Montreal che ha vietato l’uso dei CFC  per ripristinare lo strato di ozono.
Susan Solomon, che insegna chimica atmosferica e scienza climatica alla Ellen Swallow Richards del MIT, sottolinea: «Ora possiamo essere sicuri che le cose che abbiamo fatto hanno messo il pianeta sulla strada della  guarigione. Il che è abbastanza buono per noi, non è vero? Non siamo sorprendenti noi  esseri umani, che abbiamo fatto qualcosa che ha creato una situazione che abbiamo deciso insieme, come mondo, “Liberiamoci di queste molecole”? Ce ne siamo sbarazzati e ora stiamo vedendola risposta del pianeta».
Il buco nell’ozono è iniziato a formarsi negli anni ’50, ma solo intorno alla metà degli anni ‘80, gli scienziati del British Antarctic survey  notarono che il dato sull’ozono totale a ottobre era crollato. Da allora in poi, gli scienziati di tutto il mondo hanno monitorato la riduzione dell’ozono utilizzando le misurazioni di ottobre dell’ozono antartico.
Al MIT sottolineano che «L’ozono è sensibile non solo al cloro, ma anche alla temperatura e luce solare. Il cloro corrode l’ozono, ma solo se è presente la luce e se l’atmosfera è abbastanza fredda da creare nuvole stratosferiche polari nelle quali  può verificarsi la chimica del cloro» un rapporto che è stata propr la Salomon a caratterizzare nel 1986. Le misurazioni hanno dimostrato che la deplezione dell’ozono inizia ogni anno alla fine di agosto, quando l’Antartide emerge dal suo buio inverno australe, e il buco si è completamente formato entro l’inizio di ottobre.
La Solomon ei suoi colleghi credevano di poter avere un quadro più chiaro degli effetti del cloro indagando nella prima parte dell’anno fino ad arrivare ai livelli di ozono di settembre, quando prevalgono ancora le fredde temperature invernali e il buco dell’ozono si sta ria aprendo. Il team ha dimostrato che mentre il  cloro è diminuito,  è rallentato il tasso al quale il buco si apre a  settembre.
«Penso che la gente, me compresa, si fosse  troppo concentrata su ottobre, perché in quel momento il buco dell’ozono è enorme, nella sua piena gloria. Ma Ottobre è anche soggetto alle fionde e frecce di altre cose che variano, come lievi modifiche nella meteorologia. Settembre è un momento migliore per osservare, perché la chimica del cloro ha saldamente il controllo della velocità con cui si formano i buchi in quel periodo dell’anno. Questo punto in passato non era stato realmente preso fortemente in considerazione»
Dal 2000 al 2015 i ricercatori hanno monitorato l’apertura annuale del buco dell’ozono sopra l’Antartide  e hanno analizzato i dati dell’ozono raccolti da palloni meteorologici e satelliti, così come le misurazioni satellitari del biossido di zolfo emesso dai vulcani, che incrementare l’esaurimento dell’ozono. Poi hanno preso in considerazione i cambiamenti meteorologici, quali la temperatura e il vento, che possono far ingrandire o restringere il buco dell’ozono.
In seguito gli scienziati hanno confrontato le loro misurazioni annuali dell’ozono a settembre con simulazioni che prevedono livelli di ozono in base alla quantità di cloro che gli scienziati hanno stimato essere presente nell’atmosfera di anno in anno e hanno scoperto che il buco dell’ozono è forte  in calo rispetto alle sue dimensioni del picco del 2000 e che più della metà di questo fenomeno  era dovuto unicamente al la riduzione del cloro atmosferico.
Diane Ivy, del Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences del MIT,  dice:«E’ stato interessante pensare a questo in un mese diverso e osservarlo a settembre è stato un modo nuovo. E’ dimostrato che possiamo effettivamente vedere un’impronta chimica, che è sensibile ai livelli di cloro, che sta finalmente emergendo come segno di recupero».
Il team di ricerca fa notare una cosa importante nel trend: nel 2015, il buco dell’ozono avva ripreso ad aumentare, nonostante il fatto che il cloro atmosferico abbia continuato a calare, quindi gli scienziati avevano messo in dubbio che l’ozono antartico stesse davvero “guarendo”, ma analizzando bene tutti i dati la Salomon e i suoi colleghi si sono resi conto che il picco  di riduzione dell’ozono del 2015 era stato causato soprattutto dall’eruzione del vulcano cileno Calbuco che ha emesso molto particolato in atmosfera, aumentando la quantità di nuvole stratosferiche polari con le quali reagisce il cloro di origine antropica.
Il mondo scientifico e i firmatari del Protocollo di Montreal sono più tranquilli e la Solomon non vede alcuna ragione per cui, «A meno di future eruzioni vulcaniche, il buco dell’ozono non debba ridursi e, infine, chiudersi definitivamente entro la metà del secolo». Una grossa soddisfazione per una scienziata che ha dedicato 30 anni ad una ricerca sul cloro e l’ozono che ha avuto un notevole ruolo nell’approvazione del Protocollo di Montreal.
«La scienza è stato utile per mostrare la strada, i diplomatici, i Paesi e l’industria sono stati incredibilmente abili nel  tracciare il percorso di queste molecole, e ora vediamo effettivamente visto il pianeta sulla via per diventare migliore. E’ una cosa meravigliosa».