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Un «buco dell’ozono» ha attraversato i cieli europei

 














Raffigurazione della distribuzione di ozono stratosferico nell’emisfero nord misurata da satellite (immagine del 15 aprile 2020). L’Europa è visibile nel quadrante in basso a destra. I colori più freddi rappresentano aree a minore concentrazione di ozono (il «buco dell’ozono» artico appare come una bolla blu), i colori più caldi rappresentano regioni a maggiore concentrazione. 
Fonte: NASA https://ozonewatch.gsfc.nasa.gov/NH.htm

Nella primavera 2020 i ricercatori di

38 gradi in Siberia: l’umanità farà la fine della rana bollita?

Chi si occupa di ambiente normalmente conosce la storiella della rana che, messa in una pentola inizialmente fredda e fatta cuocere, non si accorge dei mutamenti lenti di temperatura e quando la situazione si fa drammatica, è così indebolita e incapace di reagire che finisce bollita. Mai esempio è stato più calzante per l’umanità, che si comporta come la rana bollita.



Chi si occupa di ambiente normalmente conosce la storiella della rana che, messa in una pentola inizialmente fredda e fatta cuocere, non si accorge dei mutamenti lenti di temperatura e quando la situazione si fa drammatica, è così indebolita e incapace di reagire che finisce bollita. Mai esempio è stato più calzante per l’umanità, che si comporta come la rana bollita.

Assistiamo a vere emergenze e disastri climatici che dovrebbero farci schizzare immediatamente fuori dalla pentola e invece, rigorosamente minuti di mascherine e ben disinfettati, ce ne rimaniamo immobili.

In Siberia, all’interno del circolo polare artico, si sono toccate in questi giorni temperature di 38 gradi: la sola notizia dovrebbe terrorizzarci, altro che coronavirus... E invece la notizia passa in centesimo piano, a noi mica interessano queste sciocchezzuole per ambientalisti...

Così, dopo le ventimila tonnellate di gasolio sversate nel fiume Ambarnaya della stessa Siberia e gli incendi apocalittici dello scorso anno, si profila una situazione che definire drammatica è un eufemismo. Ricordo tempo fa un giornalista italiano, invitato costantemente alla televisione, affermare che se nella sua città del nord fosse aumentata la temperatura, lui se ne sarebbe strafregato; anzi, per lui era persino meglio, avrebbe fatto un po’ più caldo.

Così l’umanità, che dà spazio e voce a gente simile e che non sta facendo praticamente nulla per fermare la vera catastrofe, si avvia verso la bollitura assicurata.

Infatti assisteremo a reazioni a catena di dimensioni che vanno al di là di ogni immaginazione e che anno dopo anno saranno sempre più devastanti. Aspettarsi che chi detiene il potere economico e politico cambi di sua spontanea iniziativa, e intervenga con decisione, non è più nemmeno una pia illusione, è fantascienza. Questi soggetti, con tanto di media prezzolati e inginocchiati senza il servizio dei quali non potrebbero operare così efficacemente, faranno finta di fare qualcosa, si tingeranno di verde, faranno proclami altisonanti ma sanno perfettamente che invertire la rotta significa perdere potere e soldi e questo non lo accetteranno mai; piuttosto rimarranno incollati alle poltrone e abbracciati alle casseforti mentre colano a picco ma di sicuro non molleranno la presa.

Il sistema di crescita e rapina è infatti ormai alla deriva in lotta costante con natura e persone per cercare di sopravvivere ad ogni costo. Per far rimanere acceso qualche lumicino di speranza, non rimane che costruire delle società Arche che portino almeno in salvo chi si sarà preparato per tempo. Bisogna costruire un sistema completamente nuovo che renda il vecchio non solo obsoleto, per parafrasare il grande Richard Buckminster Fuller, ma anche sgradevole e poco attraente. Chi difatti può desiderare una società realizzata da criminali suicidi in continua lotta fra loro per spartirsi le ultime briciole del pianeta Terra in fiamme? E’ quindi necessario riabitare e fare rinascere territori abbandonati o comunque fuori da grandi centri, ove applicare il più possibile sistemi di autosufficienza energetica e alimentare, costruendo una economia e società alternative, non basata sulla impossibile crescita infinita su di un pianeta dalle risorse finite ma sulla salvaguardia di persone e ambiente. Lavorare poi tutti e lavorare meno, privilegiando lavori etici e ambientalmente compatibili. Ridurre gli sprechi in tutti i campi, aiutarsi e cooperare piuttosto che competere, laddove non c’è nessun vincitore ma solo perdenti. Impossibile? Utopia? E’ la sola realistica e fattibile strada da percorrere se non si vuole rimanere in balia di criminali e vedere il pianeta collassare, rigorosamente proiettato con qualità eccellente sui nostri telefonini di ultimissima generazione. Uniamo forze e capacità per costruire l’alternativa, basta chiacchiere, basta bizantinismi, inutili e sterili dibattiti sul nulla, basta anche delle ormai inutili passeggiate per le strade o interventi a convegni internazionali chiedendo di agire a chi non lo farà mai. E’ ora di mobilitarsi in prima persona, aspettare e delegare la propria vita e le proprie scelte partorisce solo mostri.

Paolo Ermani

fonte: https://www.ilcambiamento.it



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Addio ai ghiacci: il rapporto dall'Artico di Peter Wadhams














Peter Wadhams ha diretto lo Scott Polar Research Institute di Cambridge dal 1987 al 1992 ed è stato a capo del Polar Oceans Physics Group del dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell'università di Cambridge, dove è stato docente di fisica degli oceani dal 1992 al 2015. Ha condotto più di 50 spedizioni polari di ricerca, 6 in sottomarino al Polo Nord. Nella sua carriera ha ottenuto numerosi finanziamenti e riconoscimenti, tra cui la Medaglia Polare dalla Regina Elisabetta II. Oggi ha ricevuto un incarico di docenza all'università politecnica delle Marche ad Ancona.

È nella regione polare che il cambiamento climatico sta agendo in modo più rapido e drastico. Peter Wadhams fa parte di quella cerchia di ricercatori che per primi si fecero profeti inascoltati dello scioglimento dei ghiacci polari. Per più di 10 anni, a bordo di sottomarini nucleari dal 1976 al 1987 raccolse i dati che divennero una pubblicazione su Nature nel 1990. In quel brevissimo arco di tempo Wadhams notò un assottigliamento dello strato di ghiacci a nord della Groenlandia del 15%. A fine secolo, nel 1999, quella percentuale aveva superato il 40% rispetto agli anni Settanta.

La passione per gli oceani polari la sviluppò a bordo del Hudson, la nave oceanografica canadese che per la prima volta nel 1970 effettuò la circumnavigazione delle Americhe. Allora la rotta a Nord del Canada era impervia, ostile e coperta da uno spesso strato di ghiaccio. La nave aveva una carena rinforzata, ma nonostante questo dovette chiedere l'intervento di un rompighiaccio del governo canadese; solo 9 imbarcazioni prima dell'Hudson avevano compiuto quell'impresa, molte avevano fallito. Oggi il Passaggio a Nord Ovest è una rotta commerciale comune: a fine 2016, 255 navi lo avevano attraversato. Lo scioglimento dei ghiacci è aumentato drammaticamente negli ultimi 30 anni. Nel 2012 il ghiaccio marino ricopriva 3,4 milioni di km2 di Oceano Artico, negli anni Settanta erano 8 i milioni di km2 ricoperti di ghiaccio.





Peter Wadhams, autore di "Addio ai ghiacci - rapporto dall'Artico", alla presentazione del suo libro finalista del Premio Galileo

Il ritiro dei ghiacci pluriennali dell'Artico porta alla loro temporanea sostituzione con il ghiaccio stagionale che si forma ogni anno (ghiaccio del primo anno). Quest'ultimo però raggiunge uno spessore massimo di 1,5 metri e nel corso di una singola estate può arrivare a sciogliersi completamente. Negli ultimi anni lo scioglimento del ghiaccio estivo è stato maggiore della sua crescita invernale e nel giro di qualche decennio saremo testimoni di un settembre libero da ghiacci artici. Poi quel periodo si allungherà fino a quattro o cinque mesi. Il climatologo statunitense Mark Serreze l'ha chiamata la “spirale della morte dell'Artico”.

Sono almeno due le principali conseguenze del ritiro dei ghiacci artici. Una è la diminuzione dell'albedo (quella parte di radiazione solare proveniente dallo spazio che viene riflessa indietro) e dunque un aumento della temperatura globale, in un ordine di grandezza equivalente alle conseguenze degli ultimi 25 anni di emissioni di anidride carbonica. Un'altra è la fine di un importantissimo servizio ecosistemico, ovvero l'effetto di condizionamento dell'aria: le masse di aria calda entrando a contatto coi ghiacci cedono calore e mantengono la temperatura della superficie dell'acqua entro gli 0 gradi. Senza il ghiaccio, la superficie dell'acqua arriva a scaldarsi fino a 7 gradi, trasferisce il calore agli strati sottostanti arrivando a causare in mare aperto anche lo scioglimento del permafrost, ovvero quei sedimenti congelati dei fondali marini, rimasti indisturbati dall'ultima era glaciale. Questo evento rilascerà enormi quantità di metano, un gas serra con un effetto di riscaldamento, per singola molecola, 23 volte maggiore dell'anidride carbonica, che resta ancora il gas climalterante a maggiore impatto.





Spirale della morte dell'Artico: medie mensili di ghiaccio registrate da gennaio 1979 a settembre 2017

Guardando indietro alla storia della Terra, il tasso di crescita di anidride carbonica nell'atmosfera oggi è più elevato di quanto non sia mai stato, superiore persino a quello causato dall'impatto dell'asteroide che contribuì a estinguere i dinosauri. Gli esseri umani stanno portando avanti un esperimento globale inedito che comporta interferenze con il sistema naturale senza precedenti.

Il libro di Peter Wadhams (Addio ai ghiacci – Rapporto dall'artico, Bollati Boringhieri, Torino, 2017, tradotto da Maria Pia Casarini, moglie di Peter Wadhams) raccoglie in poco più di 250 pagine, una mole di dati e spiegazioni scientifiche che offrono al lettore non solo una chiara comprensione di fenomeni fisici altrimenti poco accessibili (è sorprendente scoprire tutti i possibili comportamenti di una molecola così semplice e cruciale come l'acqua), ma anche una visione prospettica della Terra e dell'umanità negli anni a venire, che si preannunciano duri e fitti di sfide.

Il libro ripercorre anche una breve storia del ghiaccio sulla Terra e con essa una breve storia del clima. Negli ultimi 2 miliardi di anni il clima della Terra è cambiato lentamente, conoscendo lunghe fasi calde o lunghe fasi fredde, compresi alcuni periodi (due o tre secondo le attuali ipotesi) noti come “Terra a palla di neve” (snowball Earth) in cui tutta la superficie terrestre è stata ricoperta da uno strato di ghiaccio. Quello che non era mai successo era un rapido alternarsi di fasi calde e fredde in poche decine di migliaia di anni. Negli ultimi 6 milioni di anni la temperatura media della Terra è stata sufficientemente bassa da far sì che piccoli sbalzi di temperatura (dovuti alle oscillazioni del moto terrestre note come cicli di Milankovic) facessero entrare ed uscire il clima globale da quelle ere glaciali che hanno caratterizzato l'ambiente evolutivo umano. L'ultima si è conclusa circa 12.000 anni fa alle soglie del Neolitico, permettendo la rivoluzione dell'agricoltura. A partire da 8000 anni fa, dopo aver raggiunto un picco caldo, il clima è rimasto stabile con una lenta discesa verso un raffreddamento delle temperature (con la breve eccezione del cosiddetto “periodo caldo medievale”, seguito da una “piccola era glaciale”). È stata questa stabilità interglaciale a permettere a Homo sapiens di sviluppare l'agricoltura, le città, l'architettura, il denaro, il commercio, la matematica, la filosofia, gli eserciti e le scienze (l'arte e la musica probabilmente ci accompagnavano già da un po'). La stabilità termica è durata fino alla metà del 1800, quando le temperature hanno iniziato a impennarsi, disegnando quel grafico a “mazza da hockey” in cui il manico raffigura il periodo di lento raffreddamento, e la paletta il rapido riscaldamento.

Secondo alcuni scienziati la quantità di CO2 e altri gas che stiamo rilasciando in atmosfera sarà sufficiente a interrompere la discesa verso la prossima era glaciale, prevista tra 23.000 anni, ritardandola di circa mezzo milione di anni. Se non realizzeremo gli obiettivi internazionali, nel 2100 torneremo a livelli di temperatura superiori di 2-4 °C a quelli attuali e pari a quelli del Pliocene, l'era geologica conclusasi 2,6 milioni di anni fa quando i primi esemplari del genere Homo facevano capolino nella savana africana.

Secondo Peter Wadhams le stime contenute nell'ultimo rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) sono ancora troppo ottimistiche: i feedback climatici porteranno ad un'accelerazione delle conseguenze del cambiamento climatico. L'innalzamento del livello dei mari colpirà tutte quelle città e quei Paesi costieri, come il Bangledesh: quasi 20 milioni di persone che oggi vivono sulla costa dell'Oceano Indiano presto dovranno migrare e venire assorbite dagli stati limitrofi.

Le previsioni demografiche ci dicono che la popolazione umana salirà a 10 miliardi nella seconda metà del secolo, aumenterà il fabbisogno alimentare mentre il riscaldamento globale porterà a una riduzione delle aree coltivabili e delle risorse idriche disponibili; aumenterà il fabbisogno energetico, ma si ridurranno le materie prime. Ognuno potrà fare qualcosa nel suo piccolo, come riciclare i rifiuti, isolare le case, usare la bicicletta, mangiare meno carne, certo. Ma come ha detto l'ex consulente scientifico del governo britannico Sir David McKay “se ognuno fa un poco, realizzeremo solo un poco”. Occorrono invece decisioni “dall'alto” da parte delle classi politiche che rivedano la produzione energetica ed economica in direzione di un modello di sviluppo sostenibile. Peter Wadhams conclude il suo libro con una vera e propria chiamata alle armi: “abbiamo bisogno di un Progetto Manhattan per ripulire l'atmosfera”. L'autore esorta non solo a ridurre le emissioni ma anche a sviluppare nuove tecnologie che consentano di togliere l'eccesso di anidride carbonica già presente nell'aria. Una molecola di CO2 ha una durata di vita nel sistema climatico superiore ai 100 anni e oggi la quantità di CO2 già presente nell'aria deve ancora rilasciare il suo pieno potenziale di riscaldamento, forse solo la metà è stato liberato finora. Il livello attuale è di una media di 409 parti per milione (ppm), quando il livello “naturale” si assesta intorno alle 280 ppm. Gli scienziati ritengono che un valore soglia sicuro sia 350 ppm, ma per raggiungerlo, togliendo ogni anno l'1% di anidride carbonica dall'atmosfera, occorrerebbero 45 anni. E nonostante i buoni propositi e una rinnovata coscienza collettiva, navighiamo ancora in mare aperto, per di più ricoperto di plastica.

fonte: https://ilbolive.unipd.it

La plastica è arrivata ad inquinare perfino il polo nord

Una spedizione internazionale di scienziati ha trovato rifiuti di plastica in una zona remota dell’Oceano Artico. Un nuovo deprimente record per gli esseri umani















L’umanità può vantare un nuovo record nella sua progressiva opera di distruzione dell’ambiente. Un gruppo di scienziati, durante una spedizione nell’Oceano Artico, ha raccontato di aver trovato grossi frammenti di polistirene tra i ghiacci. Si tratta della prima, macabra scoperta di plastica in quest’area, avvenuta a soli 1500 km dal polo nord, in acque prima inaccessibili a causa degli spessi strati di ghiaccio marino.
Il team di esperti, provenienti da Regno Unito, Stati Uniti, Norvegia e Hong Kong, ha sottolineato quanto sia grave l’aver inquinato con la plastica zone così remote del pianeta. Questi rifiuti migrano per l’Artico con la fusione dei ghiacci dovuta al cambiamento climatico.

La spedizione pionieristica utilizza due yacht per navigare nelle acque internazionali dell’Oceano Artico centrale, spingendosi più in là di qualsiasi tentativo fatto in precedenza senza l’uso di navi rompighiaccio. Questo perché i tassi di fusione delle lastre sono aumentati drasticamente a causa del riscaldamento globale. Il fenomeno oggi rende il 40% dell’Oceano Artico centrale navigabile durante l’estate. Le stime individuano un inquinamento che potrebbe essere irrimediabile: si parla di 5 trilioni di pezzi di plastica che galleggiano sulla superficie degli oceani del mondo. Poterebbe essere abbastanza per formare uno strato permanente nei resti fossili che qualcuno analizzerà nel futuro.
Una delle principali preoccupazioni è che i rifiuti di plastica possano con il tempo frammentarsi in microplastiche, piccole particelle che finiscono nello stomaco degli animali marini e nel plancton, finendo per trasmettersi a tutta la catena alimentare. Le microplastiche rappresentano una minaccia per la fauna selvatica a tutti i livelli, dagli zooplancton a predatori come gli orsi polari. Con la fusione dei ghiacci, gli appetiti di numerosi governi si concentrano sulle nuove rotte commerciali che permetterebbero di bypassare il canale di Suez. Ma i rischi ambientali sono molto elevati, e non esiste una regolamentazione abbastanza stringente per evitarli.

fonte: www.rinnovabili.it

L’Artico non ghiaccia più, arriva il nuovo record negativo

È il peggior febbraio di sempre, da quando 38 anni fa sono iniziate le rilevazioni satellitari, con un’estensione dei ghiacci di appena 14,28 milioni di kmq: un milione in meno rispetto alla media















«L’obiettivo dei 2°C può essere insufficiente per prevenire che l’Artico resti senza ghiaccio». È la conclusione a cui sono arrivati i ricercatori dell’università di Exeter dopo una revisione delle proiezioni statistiche sull’andamento dell’estensione della calotta polare. Secondo James Screen e Daniel Williamson, autori dello studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, il limite dei 2°C stabilito dall’Accordo di Parigi lascia ancora il 39% di possibilità che la coltre ghiacciata del Polo Nord scompaia del tutto durante l’estate artica. Al contrario, la calotta ha un’altissima probabilità di restare intatta se si prende a riferimento l’altro limite di riscaldamento globale concordato a Parigi, 1,5°C.
 



Il  quadro tracciato dalle previsioni statistiche è a tutti gli effetti allarmante. E lo è ancora di più se si aggiunge all’equazione un altro dato che è impossibile ignorare: con i tagli attuali alle emissioni di gas serra decisi dai governi di tutto il mondo, gli obiettivi dell’accordo sul clima non sono affatto raggiungibili. Anzi. Se non cambiamo rotta, considerano gli scienziati, il trend attuale porterà ad un aumento della temperatura globale di ben 3°C. Di conseguenza la calotta artica si scioglierà del tutto ogni estate con una probabilità del 79%.

Passando dalla probabilità ai dati di fatto, la situazione appare più che compromessa. Proprio oggi il National Snow and Ice Data Center statunitense ha rilasciato i dati relativi al mese di febbraio, il culmine dell’inverno artico durante il quale la calotta polare si ricostituisce. I dati confermano ciò che gli scienziati temevano: l’Artico ha fatto segnare un nuovo record negativo. È il peggior febbraio di sempre, da quando 38 anni fa sono iniziate le rilevazioni satellitari, con un’estensione dei ghiacci di appena 14,28 milioni di kmq (40mila in meno di un anno fa), e ben 1,18 milioni di kmq in meno della media di riferimento 1981-2010. Le temperature infatti sono rimaste stabilmente dai 2 ai 5°C al di sopra della media stagionale. A spingere la colonnina di mercurio verso l’alto sono stati i venti caldi che hanno soffiato per gran parte dell’inverno sui mari di Barents e di Kara.

fonte: www.rinnovabili.it

Ciò che succede nell’Artico non resta nell’Artico

I ghiacci artici si sciolgono con effetti devastanti sempre più evidenti in tutto il mondo, mentre il Polo Nord si riscalda 2 volte più velocemente del resto del pianeta



Il Polo Nord si riscalda due volte più velocemente del resto del pianeta. I dati che Greenpeace ha raccolto confermano purtroppo quanto già si temeva due anni fa. Il riscaldamento globale scatena i suoi effetti con maggiore virulenza proprio nella regione artica, dove si innescano meccanismi di feedback che amplificano la portata del problema. E da lì, a cascata, si riverberano in tutto il pianeta.
Uno di questi, sottolinea Greenpeace nel lavoro dal titolo “Ciò che accade nell’Artico non resta confinato nell’Artico”, è il noto effetto albedo: più ghiaccio si scioglie, più la capacità della superficie di riflettere le radiazioni solari diminuisce. Così sempre più energia viene assorbita dal sistema ambiente e ciò contribuisce a scatenare ulteriormente i cambiamenti climatici.
«La superficie totale della banchisa artica in estate è andata via via diminuendo negli ultimi 30 anni – scrive Greenpeace – Ciò significa che è aumentato il calore che si trasferisce appunto dall’atmosfera ai ghiacci. L’ecosistema artico è cruciale per il sistema climatico globale, e il riscaldamento al Polo Nord non causa profondi mutamenti soltanto in questa zona, ma ha un impatto enorme anche su tutte le zone climatiche del mondo».

Gli effetti dello scioglimento dei ghiacci nel resto del pianeta

La letteratura scientifica più recente, cui fa riferimento Greenpeace, suggerisce l’esistenza di un collegamento causale diretto tra il declino del ghiaccio marino e le fluttuazioni sempre più estreme delle temperature nell’emisfero nord. Ecco gli effetti del surriscaldamento del Polo nel mondo.


Estati più calde in Usa e Canada – Dallo scioglimento dei ghiacci del Polo Nord dipende il surriscaldamento della parte orientale degli Usa e del Canada. Entro la fine del secolo le estati vedranno temperature del 20% più variabili rispetto ad ora, e diventeranno più comuni le ondate di calore. Un quadro corroborato dai risultati di 29 modelli predittivi sui cambiamenti climatici che interesseranno la fascia delle Great Plains americane.

Mediterraneo bollente – Le evidenze raccolte dimostrano che durante le estati con meno ghiaccio al Polo Nord, le temperature di superficie delle acque del Mediterraneo (ma anche dei mari del sud-est asiatico) tendono a salire e vengono modificati anche i modelli di andamento atmosferico.

Inverni sempre più rigidi e nevosi alle medie latitudini – Nord America, Europa e Asia orientale: ormai gli scienziati sono concordi nell’affermare che le ondate improvvise di freddo e copiose precipitazioni nevose sono strettamente legate allo scioglimento dei ghiacci artici durante le estati.

Piogge in nord Europa, siccità in America e Asia – Nel nostro continente le 6 estati tra il 2007 e il 2012 sono state più umide e piovose della norma. Anche questo è un effetto dei cambiamenti climatici in corso al Polo Nord. Viceversa, America del nord e Asia orientale potrebbero vedere siccità sempre più frequenti in futuro.

Innalzamento del livello delle acque – Lo scioglimento dei ghiacci artici è ormai considerato a livello internazionale un fattore con alta probabilità di causare l’aumento dei livello dei mari.

Sparirà la tundra artica – Gli incendi in questi ecosistemi sono un fatto ciclico e naturale. Ma estati più calde e secche li intensificheranno, liberando in atmosfera CO2 e minacciando gli equilibri della regione.
fonte: www.rinnovabili.it

Caldo record al Polo Nord: temperature oltre le medie anche di +40 gradi

Caldo record al Polo Nord temperature oltre le medie anche di +40 gradi
Siamo ormai entrati nell’ultima settimana di quest’anno particolare sotto il profilo climatico, segnato in particolare per l’Italia, da un luglio con caldo record e un inizio d’inverno mite e anomalamente secco. Non è solo la nostra Penisola che sta facendo i conti con una situazione meteo inusuale: questi ultimi giorni dell’anno infatti saranno segnati anche per il Polo Nord da condizioni atipiche, segnatamente da caldo record per il periodo. Le temperature potranno non scendere mai sotto lo zero tra mercoledì 30 e giovedì 31 dicembre, segnado valori quindi anche +40°C oltre le medie del periodo.
Ma a cosa è dovuto questo caldo record che sta per investire il Polo Nord? Guardando la situazione sinottica sulla zona europea si vede come sull’Atlantico siano persenti diversi minimi depressionari molto profondi, fino anche a 960 hPa, i quali spingono una saccatura che raggiunge le coste del Portogallo. Sull’Europa centro settentrionale si sta rafforzando sempre più invece un anticiclone termico con valori fino a 1045 hPa sulla Scandinavia, con il promontorio anticiclonico che raggiunge appunto il Polo Nord. In questa situazione, l’aria calda e umida presente alle nostre latitudini, viene portata dalla Penisola Iberica fino oltre il Circolo Polare Artico.
In particolare, questa tempesta che interesserà le Isole Britanniche e l’Islanda con venti da uragano, i quali potranno superare anche i 130 km/h, sarà una delle più intense mai registrate sul Mare del Nord: la sua peculiarità sarà però proprio questo afflusso caldo da Sud, il quale porterà aria proveniente dalle medie latitudini fin al Polo Nord. A 850 hPa per gli ultimi giorni dell’anno, le temperature al Polo Nord saranno comparabili con quelle previste in Italia, con valori anche superiori allo zero. Caldo record dunque, con il Polo Nord che in pieno inverno potrà arrivare a segnare temperature di ben +40°C oltre le medie, con valori positivi anche per tutta la giornata.
 
 
fonte: http://www.centrometeoitaliano.it/