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Maria De Biase: L' esperienza di una Preside del Cilento a cui piace volare alto e sporcarsi le mani


Qui si costruisce, qui vedo realizzate le cose, i ragazzi e le loro famiglie mi fermano per strada per dirmi che da quando ci siamo noi hanno cambiato stile alimentare oppure li incontro in spiaggia con le borracce di alluminio senza più plastica. Questa è una cosa meravigliosa, ne valeva la pena...




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La Scuola Ecosostenibile | Maria De Biase | TEDxBologna

 













TEDx Talks


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Il Villaggio degli Orti: un esempio di sostenibilità ambientale, economica e sociale


 







Il Villaggio degli Orti di San Zeno è una bellissima realtà, ubicata a pochi minuti dal centro di Brescia. Si tratta di un’area di oltre 120 orti recintati, nati con l’obiettivo di salvaguardare, attraverso la coltivazione, il territorio comunale. Ma anche di tutelare la biodiversità agricola, la riduzione della produzione di rifiuti, invitando i cittadini a lavorare la terra e a far fronte, nel proprio piccolo, ai problemi ambientali legati al nostro pianeta. Oltre alla sostenibilità ambientale, c’è anche il tema legato al sociale. Sì, perché gli orti promuovono la condivisione, la creazione di “comunità”. Ci si incontra, si condividono esperienze, si sta insieme imparando cose nuove, come lavorare la terra ma anche cucinare. Il Villaggio è, infatti, dotato di una cucina interna dove si potranno organizzare lezioni di arte culinaria.
Importantissimo è inoltre il tema economico: un orto come quelli proposti dal Villaggio, di circa 40 mq ciascuno, è in grado di produrre verdura sufficiente al fabbisogno di un piccolo nucleo familiare.
Senza dimenticare poi i vantaggi per la salute: coltivare è un’occasione per fare attività fisica all’aria aperta e inevitabilmente fa aumentare il consumo di quantità di frutta e verdura mangiato. Dunque, ha una rilevanza anche a livello nutrizionale. Gli esperti, infatti, raccomandano il consumo di ortaggi e frutta fresca e, soprattutto, di stagione, per l’apporto di tutte le sostanze benefiche per la salute. Non solo lo stato di freschezza, ma anche i metodi di conservazione ed eventuali contaminazioni incidono sulla qualità e sull’apporto degli antiossidanti da parte di questi alimenti. E l’attività di coltivazione è anche estremamente rilassante ed appagante. Di questi tempi, soprattutto, diremmo quasi essenziale al proprio benessere mentale e fisico.
Con 300 euro all’anno è possibile affittare un orto di circa 40 mq. aggiungendo poi una piccola cifra, è possibile anche averlo con cassetta degli attrezzi, servizio indispensabile a chi si dedica per la prima volta a questa attività.
Per informazioni: www.villaggiodegliorti.it.

fonte: www.greencity.it


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Paysages Nourriciers: 50 orti solidali in tutta la città di Nantes per far fronte alla crisi

IL PROGETTO PROMOSSO DALL’AMMINISTRAZIONE DELLA CITTÀ FRANCESE MIRA A RIFORNIRE GRATUITAMENTE LE FAMIGLIE INDIGENTI DI ORTAGGI FRESCHI, SANI E LOCALI. CINQUANTA SONO GLI ORTI SEMINATI IN TUTTA LA CITTÀ, 25 LE TONNELLATE DI PRODOTTO CHE FORNIRANNO TRA LUGLIO E SETTEMBRE.









I paesaggi nutrienti di Nantes. Spazio agli orti solidali

50 orti in tutta la città e 10mila piante affidate alle cure dei giardinieri municipali, con l’obiettivo di sfamare gli indigenti. Succede a Nantes, dove il progetto ribattezzato Paysages Nourriciers (paesaggi nutrienti) prende forma in queste settimane per rispondere alla crisi sociale aperta dall’emergenza sanitaria, che ha ulteriormente compromesso le sorti delle famiglie più povere. E dunque si rendeva necessario avere un bacino produttivo cui attingere per garantire l’approvvigionamento di cibo gratuito a chiunque ne abbia necessità nel Comune di Nantes, come spiega il sindaco Johanna Rolland sposando l’iniziativa: “Le associazioni che normalmente forniscono aiuti alimentari hanno visto crescere il numero di richieste in modo esponenziale. Sono moltissime le famiglie che non hanno più accesso a cibo sano e di qualità, tanti hanno perso il lavoro, la precarietà del momento ci riguarda tutti”. Durante il lockdown il Banco Alimentare ha continuato a rifornire le associazioni solidali di prodotti freschi e confezionati da distribuire, ma l’aumento contestuale della domanda di frutta e verdura locali ha fatto diminuire il consueto surplus destinato alle donazioni.


Contrastare l’insicurezza alimentare. Giardinieri al lavoro

Quindi “è compito dell’amministrazione affrontare su vasta scala il problema dell’insicurezza alimentare”, spiega ancora il sindaco. Così l’amministrazione cittadina ha autorizzato la sperimentazione promossa dal Centro comunale d’azione sociale in collaborazione con la società di servizi che si occupa della manutenzione del verde pubblico, ora alle prese con la semina e la coltivazione di veri e propri orti urbani solidali (250 sono i giardinieri coinvolti). Patate, pomodori, zucchine che trovano spazio in parchi e giardini pubblici, nei fossati del castello di Nantes, nelle aree verdi che circondano il Municipio e nelle aiuole delle piazze della città. Iniziando da circa due ettari di terreno ricavati dal “vivaio” municipale, che all’inizio di giugno sono stati seminati con l’aiuto dei volontari dell’associazione EmpowerNantes, coadiuvati da giovani agricoltori.

I numeri dell’operazione

Entro l’autunno forniranno una tonnellata di patate, cinquecento zucche e fagioli; ma il progetto mette a coltura anche verdure per l’estate – dai pomodori alle zucchine, alle bietole – e prodotti per l’inverno, come il mais, che cresceranno in molte aree verdi già individuate (una cinquantina negli undici distretti della città, per 25mila metri quadri di superficie complessiva) e segnalate sulla mappa dei Paysages Nourriciers, coinvolgendo centri commerciali, scuole, musei, il centro congressi di Nantes. Con il merito di sollecitare un consumo stagionale dei prodotti della terra e coinvolgere attivamente la cittadinanza in un progetto aperto alla partecipazione di tutti (la raccolta si protrarrà da luglio a ottobre, mentre la semina termina in questi giorni), modulato sui principi della permacoltura e senza il ricorso a pesticidi. Entro l’autunno, se il clima sarà favorevole, l’obiettivo è quello di raggiungere 25 tonnellate di ortaggi da distribuire gratuitamente alle persone in difficoltà. L’intenzione è quella di garantire a mille famiglie un approvvigionamento di 25 chili di ortaggi ciascuna.

fonte: https://www.gamberorosso.it

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Facciamo dell’Italia un paradiso di foresta, orto, giardino commestibile

Food Forest, Forest farming o Forest garden, cioè foresta commestibile, foresta coltivabile o foresta giardino: indicano la medesima idea, lo stesso approccio. Drastica riduzione del lavoro, raccolto, bellezza, verde. Perché non imboccare questa strada?

















I vari metodi e tecniche di agricoltura naturale che sono spuntati come funghi nel corso degli anni, tutti interessanti ed efficaci, rendono i sistemi di agricoltura chimica e fossile qualcosa di ancora più assurdo e anacronistico.
Uno dei metodi più efficaci di agricoltura naturale in particolare, che riunisce molti aspetti positivi e soprattutto riduce drasticamente il lavoro, è quello chiamato in vari modi: Food Forest, Forest farming o Forest garden, cioè foresta commestibile, foresta coltivabile o foresta giardino. Infatti quando si parla di agricoltura naturale, cioè non dell’agricoltura attaccata alla flebo dei combustibili fossili con largo uso di grandi macchine agricole, concimi chimici, pesticidi, erbicidi, che inquinano qualsiasi cosa oltre a quello che si mangia, subito il pensiero va ai servi della gleba, lavori terrificanti, schiene spezzate dal dolore. Si ritiene che il lavoro, quando si parla di agricoltura naturale, sia immenso, improponibile e inaccettabile per qualsiasi persona normale che non sia l’incredibile Hulk. Ma uno dei vari aspetti interessanti della foresta commestibile è proprio la drastica riduzione del lavoro che serve per ottenere cibo e non solo.
Una volta realizzata e portata in “produzione” ciclica, si tratta di lavorare pochi giorni al mese per il mantenimento e la raccolta. In effetti quando si ha una varietà di alimenti che si rinnovano costantemente, non c’è moltissimo da fare, è un sistema che va avanti da sé. La Foresta commestibile è un sistema realizzabile ovunque, anche ai margini o all’interno delle città ove ci sia terra disponibile e non necessariamente ettari anche perché la coltivazione si estende pure in altezza e non solo in superficie, per quello si chiama anche Foresta giardino e combina alberi grandi e piccoli, da frutto e non, cespugli da frutto e non, ortaggi, funghi, ecc, in una sinergia ottimale. Si ottiene in questo modo cibo per tutto l’anno ma anche piante medicinali, piante aromatiche e legno. Quindi si ha in uno stesso luogo il proprio supermercato, la propria erboristeria e farmacia naturale.
In una Foresta commestibile tutte le piante, gli insetti, gli uccelli e gli animali in genere svolgono varie funzioni di supporto gli uni agli altri, si arricchisce il terreno, si creano microclimi favorevoli grazie proprio alla  biodiversità e si aumenta di moltissimo la resilienza.
Al contrario le monoculture sono rigide, fragilissime e costantemente a rischio, nel momento in cui c’è una malattia o un evento estremo, si perde tutto il raccolto, le pluricolture invece reagiscono molto meglio, a maggior ragione in periodi ai quali andiamo incontro con l’emergenza dei cambiamenti climatici. Avere poi piante commestibili perenni consente di non dover costantemente piantare ogni anno con tutto il lavoro e l’impegno economico che ne consegue.  
Bassissimo lavoro, resilienza, biodiversità, salute, salvaguardia ambientale, grande risparmio di soldi, sono i risultati che danno questi sistemi e che sarebbero perfetti per il nostro paese vista la varietà e le potenzialità che abbiamo. Si potrebbe sfamare l’intera Italia riducendo drasticamente i costi, le importazioni di cibo, l’uso dei combustibili fossili e veleni vari con le gravi conseguenze per la salute e l’ambiente che questo comporta. Adottando sistemi come quelli della Foresta commestibile si ritornerebbe in parte ad essere raccoglitori, cioè al periodo ante agricoltura dove appunto la “fatica” era di raccogliere quello che donava la natura semplicemente. Ciò è possibile qui ed ora e ci sono innumerevoli esempi in tutto il mondo. Si può quindi creare il paradiso in terra perché la natura ha già tutto quello di cui abbiamo bisogno, basta lavorare con lei, imparare da lei e non lottare contro di essa. Anche perché nella lotta contro di essa noi siamo e saremo sempre i perdenti.
Ecco alcuni esempi pratici.
C'è il video del fantastico Panagiotis Manikis che, parlando in italiano spiega come avere guadagno e autosufficienza solamente raccogliendo dalla sua Foresta orto.


Poi Martin Crowford:

È  fra i massimi esperti mondiali che ha 500 piante commestibili nella sua Food forest e lavora poche ore al mese per la manutenzione.
E infine una famiglia con il suo spettacolare progetto di Food Forest nato praticamente da una discarica (sottotitoli disponibili in italiano).

 fonte: www.ilcambiamento.it


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Food Forest: trasformare il proprio orto o giardino in un'oasi di bellezza e cibo!

La conosciamo come food forest, foresta-giardino o foresta commestibile ed è una modalità di progettazione che si sta sempre più diffondendo in Italia, capace di prendere spunto dall’esempio della foresta applicandolo alla coltivazione di un orto o giardino e creando un habitat autosufficiente che produce cibo, energia e salute. Ce ne parla l'agronomo Marco Pianalto, che, il 27 e 28 luglio ad Alto (CN) terrà il corso “La FOOD Forest in Permacultura”, insegnandoci come trasformare il proprio orto o giardino in un'oasi di bellezza e... cibo!















La natura è piena di meraviglie: ci sa dare tutto ciò di cui abbiamo bisogno senza chiedere nulla in cambio, se non rispetto e amore per le sue creature. Negli ultimi decenni abbiamo dimenticato quelle conoscenze che i nostri antenati avevano faticosamente accumulato nei secoli, che univano l'attenzione al funzionamento spontaneo della foresta, capace di autogestirsi e autoalimentarsi, alla capacità di coltivare piante utili e commestibili.
La food forest, negli ultimi anni sempre più praticata, prende proprio esempio da questa stretta relazione. Ce ne parla Marco Pianalto, agronomo, insegnante, progettista e consulente in permacultura, che da anni ha fatto di questa tecnica la sua passione ed il suo lavoro. Dopo varie esperienze per il mondo ha deciso di tornare in Italia impegnandosi nella diffusione dell’Agricoltura Organica Rigenerativa e nella difesa dell’agricoltura familiare. In un’intervista ci svela tutti i segreti legati alla food forest.


Che cosa significa “foresta commestibile”?
“La food forest o forest garden rappresenta l'unione tra due elementi quali il giardinaggio, più curato e coltivato, e la foresta, quale spazio più selvaggio e naturale che si autogestisce. Si tratta di due sistemi, uno voluto e realizzato dall'uomo e l’altro dalla natura, i quali si integrano e diventano un habitat unico, ricco e variegato. 
E’ un ecosistema progettato assimilabile al giardino ma che imita la struttura e le funzioni della foresta e che varia all’interno del contesto geografico e climatico nel quale viene realizzato.
All’interno della foresta-giardino la componente estetica si connette alla capacità produttiva: si possono coltivare piante da frutto, erbe medicinali, ortaggi, fiori e di conseguenza è possibile produrre cibo come verdura, frutta o frutta a guscio oppure spezie, medicine o legna per riscaldarsi. 
Si tratta quindi di un sistema autosufficiente e a bassa manutenzione sviluppato su vari livelli che coinvolgono piante ad alto fusto, arbusti, piante erbacee capace di ottenere il massimo rendimento senza però cadere nella trappola della monocultura”.
Da dove deriva il termine food forest?
“Esiste una lunga tradizione nei paesi asiatici, dove le popolazioni native si sono da sempre dedicate a questa tecnica, non coltivando una sola specie o una tipologia di pianta ma prendendo ad esempio il funzionamento spontaneo della foresta.
In Europa tale pratica ha origini più recenti ed è stata importata su iniziativa di Robert Hart, pioniere della food forest, che ha realizzato la prima foresta commestibile in Inghilterra, sulla base del modello asiatico. Il metodo è stato poi migliorato e sperimentato nel tempo e gli esperti hanno capito che nei climi europei è possibile arrivare allo stesso grado di complessità sulla base del contesto geografico locale”.
Quanto è importante il rapporto con la natura?
“Il contatto con la natura è un concetto centrale e fondamentale. La natura è assolutamente il modello a cui ispirarsi, nonchè un modello dinamico e non statico. E’ importante entrarvi in contatto, saperla ascoltare ed osservare, oltre che valorizzare gli elementi che ne fanno parte. Quelle che molti di noi chiamano “erbacce” ad esempio, rappresentano una vegetazione spontanea molto importante, in quanto ci danno informazioni sullo stato del suolo. E’ inoltre essenziale imparare a rispettare i tempi della natura. Dalla pianta spontanea alla quercia c'è un lavoro di collaborazione reciproca di un ecosistema interconnesso. Sarebbe un errore pensare di poter creare una food forest istantaneamente, poiché una foresta ha i suoi tempi di crescita”.
In quale luogo si può realizzare una foresta commestibile?
“La dimensione preferibile sarebbe quella periurbana, ma è possibile realizzarla anche all’interno del proprio giardino. Dalle esperienze con le quali mi sono interfacciato, la sua superficie può variare da pochi metri fino a raggiungere sistemi più complessi dall’estensione di 1 o 2 ettari che necessitano del coinvolgimento di più persone. Quella della foresta giardino è una sfida in cui chiunque sia appassionato di giardinaggio e orticultura può cimentarsi!”
Qual è il ruolo della permacultura?
“La permacultura è una disciplina di progettazione dell'abitare in modo sistemico e i suoi metodi e principi si sposano bene all’interno della food forest, consentendo una manutenzione meno assidua. Il ciclo della permacultura privilegia ad esempio la presenza di piante perenni che non richiedono di disturbare continuamente il suolo”.
Quali sono i vantaggi della foresta-giardino?
“Se osserviamo una foresta, notiamo che ha tutti gli elementi di cui ha bisogno per vivere: non ha bisogno di essere concimata o coltivata, è un sistema autosufficiente che si autoproduce. Offre inoltre una grande biodiversità, favorendo la presenza di specie animali che si adattano con facilità a vivere in un ambiente di questo tipo. Inoltre, essendo un sistema completamente naturale, supera il concetto di monocultura e del conseguente utilizzo di pesticidi e veleni. Si tratta certamente di una soluzione più complessa ma alla lunga molto più sostenibile e naturale.
La food forest permette quindi di trasformare un orto o giardino ad alta manutenzione in un sistema perenne ed autofertile. La sua efficienza, in particolare, è legata alla situazione di cambiamento climatico e energetico che stiamo vivendo, in quanto si configura come uno spazio produttivo ma allo stesso tempo resiliente, ovvero capace di sfruttare le trasformazioni del clima ed autoregolarsi in periodi caratterizzati da un’alternanza di siccità e abbondanza di acqua”.
E’ possibile realizzare foreste giardino in contesti urbani? Che benefici apporterebbero nelle nostre città?
“In questi contesti la presenza di orti-giardino è possibile: l’ambiente preferibile sarebbe quello suburbano ma il vantaggio che hanno gli ambienti urbani è quello di avere spazi di verde pubblico che possono diventare sia belli che fruibili e nel mio lavoro sto notando sempre più interesse da parte delle amministrazioni nell’intraprendere esperienze di questo tipo. Più aumenta la consapevolezza dell’importanza della policoltura ed il cittadino si spende come coltivatore o giardiniere all’interno dei contesti urbani, più nelle nostre città avverrà il cambiamento”.
Quali esperienze?
“Città come Londra o Berlino stanno mettendo in pratica esperienze di food forest nei contesti cittadini, in particolare in zone che sono state lasciate incolte per lungo tempo e che ora stanno acquisendo una nuova connotazione agricola e produttiva. 
In Italia stanno crescendo le esperienze nelle quali le amministrazioni sono state coinvolte e c’è una diffusione sempre più consistente di questa realtà proprio perchè si tratta di un metodo che lascia aperte le porte alla sperimentazione. C’è poi un aspetto fondamentale: lo spazio verde, più è amato e curato dai cittadini di un quartiere, più dura nel tempo”.
Per scoprire il mondo della food forest, il 27 e 28 luglio avrà luogo il corso teorico e pratico "La FOOD Forest in Permacultura" condotto proprio da Marco Pianalto.
L'obiettivo è la creazione di una foresta commestibile in grado di produrre cibo e habitat su sette livelli. Il corso si svolgerà presso il Comune di Alto (CN) in un terreno che farà da sperimentazione e si focalizzerà approfondendo concetti quali la preparazione del terreno, principi della permacultura, pacciamatura, manutenzioni, studio del suolo e del clima, osservando e riproducendo quanto succede in natura.
Per maggiori informazioni consultare il seguente link.

fonte: http://piemonte.checambia.org

APPA Trento partecipa ad Ortinparco 2019 – “Orti e Giardini per affrontare il cambiamento climatico”

Torna dal 25 al 28 aprile nello storico Parco delle Terme di Levico, a Levico Terme, in Valsugana - Trentino, Ortinparco, il festival degli orti e dei giardini giunto ormai alla sedicesima edizione. APPA Trento propone un itinerario didattico con la possibilità di ammirare i principali alberi ed osservare le gravi perdite subite a seguito dell'uragano dello scorso ottobre.
























Torna dal 25 al 28 aprile nello storico Parco delle Terme di Levico, a Levico Terme, in Valsugana – Trentino, Ortinparco, il festival degli orti e dei giardini giunto ormai alla sedicesima edizione. Ortinparco avrà luogo nel più importante parco della Provincia di Trento, un parco asburgico che copre un’area di 12 ettari e ospita maestosi alberi di specie autoctone ed esotiche. A fine ottobre 2018 le Alpi sono state investite da un’ondata di maltempo eccezionale che ha causato gravi danni al patrimonio boschivo. Anche il parco delle Terme di Levico è stato colpito, con un bilancio di 180 alberi monumentali caduti. La rinascita del parco avverrà con un progetto di reimpianto degli alberi e confermando le iniziative di animazione culturale, prima fra tutte Ortinparco con orti e giardini di che saranno allestiti in forma modulare: orticoltura e giardinaggio per tutti in spazi ridotti, idee e azioni concrete per l’autoproduzione sostenibile e responsabile.
Ortinparco è anche esposizione e vendita di piante da giardino, piante orticole e prodotti derivati e trasformati a cura di vivaisti, aziende agricole e artigianali.
Maggiori informazioni e programma dettagliato su: 
http://www.naturambiente.provincia.tn.it/evidenza/pagina92.html
fonte: http://www.snpambiente.it

L’uomo che pianta alberi

















Oggi vogliamo raccontarvi una storia, simile a quella descritta da Jean Giono nel suo racconto del 1953. Solo l’ambientazione è diversa: non ci troviamo nella Provenza del dopoguerra, ma in Campania, in un lembo di terra ai margini della Terra dei Fuochi e del “triangolo della morte”, che da una “guerra” fatta di emigrazioni, mancanza di lavoro e abbandono lunga almeno vent’anni, sembra non volerne proprio uscire.
Anche qui il protagonista è un contadino solitario e tranquillo, di poche parole, che prova piacere a vivere lentamente, a contatto con la natura, i bambini e la sua famiglia. Nonostante la sua semplicità e la mancanza di “ambizioni” e “successo”, quest’uomo da oltre un lustro sta compiendo una grande azione nelle scuole di questa terra a cavallo tra le province di Napoli e Avellino, un’impresa che potrebbe cambiare la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future, se solo fosse accompagnato e supportato da suoi simili e da chi queste comunità le guida.
Quest’uomo da oltre cinque anni dedica almeno un giorno a settimana a sistemare, tenere in vita e valorizzare, gli spazi verdi di alcune scuole dell’area e, in particolare, dell’Istituto comprensivo Giovanni XXIII di Baiano (Avellino) piantando alberi, regalando semi e coltivando frutta e verdura insieme agli alunni delle scuole coinvolte nelle attività. Come un moderno Elzéard Bouffier, decide di lasciare un segno di sé nel modo meno invasivo e più sostenibile possibile, decidendo di regalare il suo tempo alle due entità che ritiene più importanti per il futuro dell’umanità: la natura e i bambini.
E proprio alla primaria di Baiano che ai primi di giugno si è chiuso un ciclo di “didattica dell’orto” durato cinque anni, totalmente gratuito, che ha visto la partecipazione di centinaia di bambini e la piantumazione di migliaia di alberi.
Come detto, questa festa del raccolto è un esperimento che parte da lontano, dal progetto di diffusione degli orti didattici inizialmente promosso dalla Cooperativa SEEDS e poi autonomamente realizzato dal maestro Cesare e da Luca Candela (questo il nome del moderno “uomo che piantava gli alberi”), attraverso cui – uomini e donne a vario titolo – hanno messo a disposizione le loro conoscenze ed esperienze per avvicinare i bambini e le bambine alla terra (educandoli alla ciclicità e al rispetto della Natura) e per rivalutare i saperi antichi, sensibilizzando i partecipanti al rispetto dell’ambiente, a pratiche concrete per salvaguardare il territorio (strategia Rifiuti Zero, stagionalità, filiera corta), a consumare prodotti realmente a chilometro zero.
È stato un momento in grado di far conoscere l’importanza della biodiversità e della valorizzazione di varietà eterogenee a differenza di quanto vorrebbero imporci le multinazionali del cibo coma la Monsanto e la Dupont. È stato un contesto in cui riflettere che l’autonomia alimentare è possibile se noi per primi ci crediamo e ravvivando i nostri territori che sono a vocazione agricola agendo contro l’abbandono dei terreni, sia privati sia pubblici, ripopolandoli di allevamenti al brado e riseminando cereali, legumi, ortaggi con uno spirito di cooperazione e non di competizione. Ma soprattutto, è stato un momento di responsabilizzazione dei più piccoli, che hanno partecipato a tutte le attività previste nel corso dell’anno in maniera assolutamente autonoma e alla pari rispetto agli altri adulti coinvolti.
fonte: https://comune-info.net/

Terre Colte: adotta un terreno per combattere l’abbandono!

Recuperare le terre abbandonate e incolte dai privati, avvicinando le persone alla terra e incentivando l'autoproduzione. Nasce in Sardegna con questo obiettivo Terre Colte, associazione che ha ideato un sistema replicabile ovunque per combattere l'abbandono dei terreni.

Adottare un terreno o una parte di esso, al fine di coltivare un orto o il grano da cui ricavare farina, da condividere insieme ad altre famiglie. Così come un campo dove poter seminare il grano Cappelli, in maniera tale da ricavarne la farina. Questi e altri i progetti dell’Associazione Terre Colte, che in Sardegna hanno ideato un sistema replicabile ovunque per combattere l’abbandono dei terreni e far tornare le famiglie alla terra.




















“Noi dobbiamo essere una famiglia, dobbiamo essere vicini a chi vive in situazioni di stress quotidiano, vogliamo essere un diversivo e una terapia”. Questo e molto altro è l’associazione Terre Colte, un’associazione di promozione sociale e culturale nata nel luglio 2014 allo scopo di di recuperare terreni incolti e abbandonati da privati e contadini dai quali non riescono a trarne un giusto profitto, incentivando le persone all’autoproduzione del cibo senza l’uso di pesticidi e sostanze chimiche, grazie all’agricoltura sinergica.
L’Associazione opera nell’area di Senorbì, nella provincia di Cagliari, anticamente nota come il “granaio di Roma”. Prima della nascita dell’Associazione, coloro che ne diventeranno poi i soci fondatori avevano tentato un primo progetto di recupero di un terreno abbandonato di 3000 metri quadrati: il terreno fu trasformato in un orto periurbano condiviso, e in poco tempo più della metà dei quaranta lotti a disposizione erano stati occupati. “A partire da questi primi successi, abbiamo capito che era arrivato il momento di fondare una vera e propria associazione” ci racconta Silvio Melis, tra i soci fondatori dell’esperienza “Oggi gli associati sono novecentocinquantasei che usufruiscono di tutti i progetti e i laboratori dell’Associazione, abbiamo sei sedi operative e almeno una quarantina di famiglie occupano i nostri spazi nei progetto Orti Condivisi”.


Il Mulino ed i responsabili di Terre Colte
Il Mulino ed i responsabili di Terre Colte
Il Progetto Orti Condivisi

Come già accennato, il primo progetto per raggiungere lo scopo del recupero delle terre abbandonate è stato quello di “Orti Condivisi”: Terre Colte mette a disposizione per un anno cinquanta metri quadrati di terra a chi vive in città o in appartamento ed ha voglia di farsi un orto, passando qualche ora in campagna per riprendersi dallo stress. La famiglia che decide di avventurarsi a coltivare il suo pezzo di terra ha a disposizione da Terre Colte l’acqua, gli attrezzi e l’assistenza (sia con un primo laboratorio introduttivo di agricoltura naturale che  durante i lavori) la sorveglianza e l’assicurazione.

La singola famiglia o persona che prende direttamente in gestione l’area pagherà meno di un euro al giorno la sua parte di terra, dedicandosi direttamente alla lavorazione del suo spazio, decidendo personalmente come impostare l’appezzamento e cosa coltivarci in base alle proprie esigenze. Se una persona per vari motivi deve assentarsi per lungo tempo, saranno direttamente i membri di Terre Colte ad assisterla nell’irrigazione.

I soci di Terre Colte















I soci di Terre Colte
Dagli orti ci spostiamo ai campi di grano e al secondo progetto dell’Associazione Terre Colte che sta riscuotendo un successo importante: quello della “Farina del tuo Sacco”. Su quattro ettari di terreno abbandonato, viene seminato il grano Cappelli, una varietà di grano antico in passato comunemente coltivato nel sud Italia. Questo terreno viene poi suddiviso in quote tra i partecipanti; la quota massima è di mille metri quadrati, fino ad un metro quadrato per ciascuno. Una divisione pensata in base alle esigenze personali delle famiglie e dei partecipanti: chi adotta il campo di grano ha poi diritto al quantitativo di quei metri che il terreno ha prodotto. Facendo una stima di mille metri quadrati di terreno, si potranno ottenere centoventi chili di grano oppure il prodotto finale, una farina bio e a chilometri zero.
“Chi adotta un campo di grano nel progetto “Farina del tuo sacco” segue tutto il monitoraggio della crescita di quel chicco di grano” ci spiega Silvio Melis  “sono previste visite guidate dalla semina alla crescita della spiga per poi arrivare alla mietitura e alla lavorazione finale della farina. Per questo il nome “Farina del tuo Sacco”: i nostri associati, con il proprio sacchetto, sono invitati anche a prendersi direttamente la farina una volta che viene macinata”. Il progetto, dopo una prima fase di raccolta fondi andata a buon fine, ambisce oggi a realizzare uno scopo più strategico: chiudere la filiera, acquistando dei semplici ma fondamentali macchinari che permettano ai prodotti locali di arrivare già raffinati al consumatore, come ad esempio un micro mulino a pietra per trasformare il grano in farina.
Gli obiettivi futuri
Ad oggi Terre Colte è arrivata ad avere 956 associati che usufruiscono di tutti i progetti e i laboratori dell’Associazione. Il sogno e l’obiettivo futuro ce lo illustra Silvio: “vorremmo arrivare al punto di recuperare i vigneti, gli oliveti e i frutteti incolti, facendo in modo che queste colture vengano date in adozione alle famiglie che possano così condividere dei momenti insieme, durante e dopo la lavorazione. Io proprietario di un terreno, piuttosto che abbandonarlo, potrei organizzare all’interno un laboratorio su come si coltiva e gestisce l’appezzamento, vivendo la mia azienda da un altro punto di vista che sia anche divulgativo.

Oltre a questo, vorremmo creare una sorta di rete di orti condivisi che rispettino le caratteristiche originarie dell’esperienza: la disponibilità del proprietario a mettere a disposizione i suoi spazi con chi non ne ha e ad accettare la presenza periodica di alcuni noi membri di Terre Colte per le attività di manutenzione e controllo. Perché noi dobbiamo essere una famiglia, dobbiamo essere vicini a chi vive in situazioni di stress quotidiano, vogliamo essere un diversivo e una terapia. La terra è nel nostro DNA, ben prima della città come la viviamo oggi, c’erano terre che venivano coltivate. Noi ce l’abbiamo dentro e il ritorno alla terra sarà fondamentale per il nostro benessere psicofisico”.



fonte: http://www.italiachecambia.org/

Si vive con meno di quanto si pensi

Rifiutare il dominio del consumismo nella vita di ogni giorno, scegliere di non essere schiavi del lavoro, riscoprire l’agricoltura contadina coltivando un orto, creare relazioni solidali per lasciare spazio ad autoproduzioni e scambi. Sono numerose le esperienze con cui, tra informalità e scarsa visibilità, sempre più persone ripensano i modi non solo di lavorare, mettendo al centro un forte desiderio di autonomia, ma soprattutto di vivere. Raccontare e indagare il lavoro vernacolare è l’obiettivo di “Lavoro ecoautonomo” di Lucia Bertell, edito da elèuthera: qui il paragrafo dal titolo “L’orticoltore: «Sicuramente si vive con meno di quanto si pensi»”
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Nella campagna di Nuoro incontro Mauro Cassini, produttore del Gruppo di acquisto solidale Pira Camusina e della rete Biosardinia. Fa il contadino da alcuni anni, dopo lavori di tipo dipendente. Ha attraversato il mare per questioni di cuore, come si dice, passando dalla Confederazione Agricoltori ligure a quella sarda. L’investimento sugli affetti è andato bene, ma alla cia hanno licenziato, così lui, ultimo arrivato, si è trovato ad affrontare, non giovanissimo, nuove scelte lavorative. «Non sapevo come barcamenarmi, ero in Sardegna da sei mesi e non conoscevo quasi nessuno. Poi a forza di girare ho contattato il presidente di Biosardinia e lui mi ha invitato a una riunione. Così ho conosciuto Andrea, ho conosciuto Luciano e Rosalba, e gli altri. Con Andrea e con i gasisti con cui lui era in contatto ho cominciato a collaborare e, poco alla volta, sono entrato in questo meccanismo. Fondamentalmente è stato naturale, quando Andrea ha lasciato sono subentrato io, senza problemi, dopo un anno e mezzo».
Mauro mi mostra il suo grande orto dietro la casa, file ordinate e rigogliose di verdure. Il suo racconto lo raccolgo seguendolo. Vuole mostrarmi il suo lavoro. «Quando mi sono reso conto che dovevo re-iniziare mi sono messo alla ricerca di un orto che soddisfacesse le mie esigenze. Avevo già un’idea di come farlo perché Andrea era molto in gamba e avevo capito quello che ci voleva. Ci ho messo dei mesi, ne ho visto parecchi, poi l’avevo praticamente sotto casa: la persona che me l’ha proposto era un mezzo parente e quando l’ho visto mi è piaciuto, mi sono reso conto che era il posto ideale, soprattutto perché c’era acqua a volontà. Certo era incolto, da rimettere in piedi, però c’era già stato l’orto, l’avevano abbandonato da tre-quattro anni, e quindi l’ho ripreso in mano io e ho iniziato da lì. Poi mi sono a mia volta allargato. È un lavoro che mi soddisfa perché è una cosa che ho sempre avuto idea di fare, vengo da una famiglia di contadini, conosco da sempre gli ortaggi, ho studiato biologia, ho sempre lavorato in agricoltura e non ci ho messo tanto per calarmi nella dimensione contadina. Quando mi sono trasferito qui l’avevo già mezzo pensato: se per caso mi va male, posso buttarmi sull’orto biologico, ed è andata proprio così».
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Gli chiedo, con delicatezza, come l’aveva presa sua moglie, che aveva sposato un uomo con un lavoro dipendente e nel giro di poco se lo ritrova contadino. «Vivo con una persona che non è che mi stressi più di tanto, e poi lei ha un lavoro fisso, è insegnante, per cui non c’era un’impellenza. Viviamo in una casa di sua proprietà, abbiamo anche un figlio piccolo, però ci aggiustiamo, non è che siamo con l’acqua alla gola. Basta essere, come dicono adesso con una parola che va di moda, abbastanza sobri; anzi, basta non essere consumisti. Io riesco a produrre quasi il 70 per cento del cibo che serve per me e la ma famiglia, che non è poco. Mangiamo parecchia verdura e alla fine nel bilancio familiare non entra un reddito però ci sono dei risparmi. Quando ho preso questo orto il mio obiettivo era almeno di non andare in perdita, e infatti ci sono riuscito. Adesso non guadagno più di settemila euro all’anno, ma il discorso che mi preme di più è che alla fine riesco a vivere lo stesso. In famiglia scambiamo molte cose, dolci, pane, e i vicini con mia suocera fanno altri scambi, per cui arrivano anche cose da fuori. Non è che siamo mantenuti, è un altro aiuto».
Mauro procede nel suo ragionamento e fa una comparazione tra sé e un agricoltore che spinge sulla produzione. «Mi rendo conto che c’è gente, anche qui in Sardegna, che sviluppa una mole di lavoro e produce svariate volte più di quello che faccio io, però alla fine deve barcamenarsi per non perderci. A quel punto che senso ha fare cinque ettari di pomodori quando alla fine dell’anno arrivi a pareggiare i costi coi ricavi, con tutto quello che comporta fare la monocoltura? Lo stress per il territorio, per le piante, per chi lavora… Con l’agricoltura biologica io faccio la rotazione spinta, come vedi ci sono sempre dieci tipi di verdure diverse, il terreno lo uso quasi tutto l’anno, nei cambi di stagione lavoro di più, però dopo, in estate e in inverno, me la cavo anche con mezza giornata».
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Passare, alla soglia dei cinquant’anni, da un lavoro d’ufficio a uno che ti mette completamente in gioco non è così facile e Mauro spiega meglio la sua scelta. «Deve piacerti il lavoro, non è che lo devi fare per forza, perché se no diventa una schiavitù. Non mi sono mai tirato indietro quando c’era da lavorare, anche alla cia lavoravo dieci ore al giorno e poi facevo incontri serali. Ma so anche che non voglio essere schiavizzato dal lavoro, se no fai una vita grama. Poi è bello quando vedo crescere quello che coltivo. Lavorare in banca a me non dice niente perché è un ufficio burocratizzato; se però produci, fai un libro o fai artigianato, o anche insegni (e produci cultura), è qualcosa di tangibile».
Si ferma un attimo, guarda verso il campo e poi riprende a parlare. «Il lavoro, se non viene gestito in prima persona, se uno non ha un po’ di potere sul lavoro che fa, è quasi sempre una schiavitù. Io lo so, anche un semplice lavoro dipendente, se è una cosa meccanica, se ti interessa solo perché alla fine del mese c’è lo stipendio, se non è una schiavitù è un’alienazione. Mi importa assai se puoi comprarti il telefono nuovo, la macchina nuova: sono tutti palliativi».
Per finire gli chiedo se qualcosa lo preoccupa. «Certo, penso al fisico e spero che mi regga perché questo lavoro comporta essere sani e robusti, ci vuole un po’ di forza fisica perché altrimenti diventa difficile. Poi, farlo come lo faccio io… il terreno è poco ma il lavoro è molto manuale. Il trattore l’ho usato quando ho iniziato, ora ho la motozappa, ho la vanga, ho il decespugliatore. Fra dieci anni spero di avere ancora un po’ di forza. Ecco, queste sono preoccupazioni».

Lucia Bertell

fonte: comune-info.net