Visualizzazione post con etichetta #Repack. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Repack. Mostra tutti i post

L’e-commerce moltiplica i rifiuti. Ma le alternative agli imballaggi usa e getta ci sono

La pandemia ha causato la crescita esponenziale della quantità di imballaggi in plastica finiti nei nostri fiumi, laghi e mari. Un trend negativo da cambiare (e in fretta). Per ripensare e ridisegnare il futuro, a partire dagli imballaggi, è fondamentale perciò che tutti si impegnino nell’adozione di un'economia circolare



La plastica è una minaccia crescente per l’ambiente. Ogni anno ne finiscono nei nostri mari tra gli 8 e i 13 milioni di tonnellate. Come scaricare in acqua, ogni minuto, un camion della spazzatura pieno di plastica. Le conseguenze sono ovviamente disastrose. Secondo la Ellen MacArthur Foundation, il più grande ente benefico per la promozione e sviluppo dell’economica circolare, se non invertiamo presto questa tendenza, nel 2050 nei mari di tutto il mondo potrebbe esserci più plastica che pesci.

Purtroppo però, negli ultimi anni, ci si è messo un “nemico” in più. Parliamo dei rifiuti plastici generati dall’e-commerce, che stanno diventando un problema molto serio a livello globale. Durante la pandemia, a causa del massivo ricorso all’e-commerce, la quantità di imballaggi – di plastica e non solo – che finiscono nelle discariche o negli oceani è aumentata a dismisura.

L’impatto dell’e-commerce sull’ambiente

Uno studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha calcolato l’impatto dell’e-commerce sull’ambiente. I nostri acquisti online generano un packaging il cui impatto ambientale è dieci volte superiore a quello di un classico sacchetto di plastica: l’equivalente di 182 kg di CO2 contro 11 kg di CO2. Solo nel 2019 l’impronta ambientale generata è stata di 44,4 milioni di tonnellate di CO2, quasi quanto quella dell’intera Svezia.

Cifre impressionanti che sono inevitabilmente peggiorate negli ultimi mesi. La pandemia, infatti, ha cambiato radicalmente il modo in cui le persone fanno acquisti. E con la crescita della vendita online è aumentato in maniera esponenziale anche l’inquinamento da plastica.

Secondo Salesforce, gigante del cloud computing con base negli Usa, le vendite digitali sono aumentate del 71% nel secondo trimestre del 2020 e del 55% nel terzo. Un mare di confezioni e imballaggi destinati alla discarica, all’inceneritore o ad essere dispersi nell’ambiente.

Imballaggi riciclabili ma difficili da riciclare

Il grosso problema della plastica utilizzata negli imballaggi di Amazon e di altri colossi di logistica ed e-commerce infatti è che, nonostante sia riciclabile, farlo non è semplice come sembra. Attualmente, meno del 14% dei quasi 86 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica prodotti a livello globale ogni anno viene riciclato. La stragrande maggioranza viene interrata, incenerita o lasciata a inquinare i corsi d’acqua e avvelenare la fauna selvatica.

La plastica è infatti un materiale complesso e, se a questo si aggiungono cattive abitudini e problemi nella differenziata, la questione a livello di impatto ambientale diventa spinosa.

Cattive abitudini

Molti di coloro che ricevono i pacchi non si curano neppure di separare la plastica dal cartone dell’imballaggio primario, mentre in molti Paesi e città le sottili pellicole che costituiscono questi elementi non rientrano neppure nei programmi di raccolta differenziata e vanno portate di persona a un centro di smaltimento.

In California Greenpeace ha citato in giudizio Walmart, la catena multinazionale di vendita al dettaglio, per aver violato le leggi sulla protezione dei consumatori con etichette “false e fuorvianti” sulla riciclabilità dei prodotti e degli imballaggi in plastica usa e getta del negozio Big Box. La maggior parte dei consumatori in California, affermano gli ambientalisti, non ha accesso a strutture in grado di separare questi prodotti dal flusso di rifiuti generali per essere riciclati e finiscono nelle discariche o nell’ambiente.

Il caso Amazon

Secondo un sondaggio fatto ai clienti Amazon Prime, ad esempio, negli Stati Uniti solo il 2% degli intervistati dichiara di smaltire correttamente la plastica degli imballaggi. E Amazon è chiaramente uno dei grandi protagonisti di questa vicenda. Stando a quanto rileva eMarketer, Amazon detiene la quota maggiore delle vendite online al dettaglio negli Stati Uniti con quasi il 39%, con Walmart al secondo posto con il 5,3%.

Uno studio dell’associazione ambientalista Oceana ha calcolato quante tonnellate di imballaggi in plastica di Amazon è finito nei nostri fiumi, laghi e mari. La cifra, relativa al 2019, non tiene conto del boom delle vendite online dovuto alla pandemia, ma è comunque spaventosa. Secondo il report di Oceana, la multinazionale americana lo scorso anno ha prodotto oltre 210 mila tonnellate di rifiuti plastici difficili da smaltire. Se consideriamo che nel 2020 la società è cresciuta a dismisura, arrivando a valere la cifra record di 200 miliardi di dollari di share capital, possiamo immaginare quanto queste cifre debbano essere ritoccate necessariamente verso l’alto.

L’azienda di Jeff Bezos ha registrato un fatturato netto di 96,2 miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2020, con un aumento del 37% rispetto al 2019. Durante le festività natalizie ha consegnato 1,5 miliardi di giocattoli, prodotti per la casa, prodotti di bellezza e per la cura personale ed elettronica in tutto il mondo. Il gigante online ha comunque subito smentito i dati di Oceana, sostenendo che “la cifra è esagerata di almeno il 350%”. Amazon afferma di utilizzare meno di un quarto del quantitativo di plastica indicato degli ambientalisti, più o meno 52 mila tonnellate l’anno. Una quantità pur sempre gigantesca.

Oceana ha ribattuto confermando le cifre del suo rapporto, indicando poca trasparenza sul reale uso della plastica da parte del colosso online e sostenendo che “anche se il numero esiguo rivendicato dalla società per l’impronta degli imballaggi in plastica fosse vero, sarebbe comunque un’enorme quantità di rifiuti di plastica, abbastanza da girare un film di millebolle intorno alla Terra più di cento volte, fatto che potrebbe causare problemi molto grandi per la salute degli oceani”. Insomma, nessuna buona notizia.

Cosa sta facendo la società di Jeff Bezos

Amazon sostiene che attraverso il programma Frustration-Free Packaging (FFP) con il quale stimola i produttori a confezionare i propri prodotti in imballaggi riciclabili al 100%, dal 2015 ad oggi è stato possibile ridurre il peso degli imballaggi in uscita del 33%, eliminando oltre 900 mila tonnellate di materiale da imballaggio, l’equivalente di 1,6 miliardi di scatole per le spedizioni.

Secondo Oceana però, tuttora “la quantità di rifiuti di plastica generata dall’azienda è sbalorditiva e cresce a un ritmo spaventoso”. Del resto, è improbabile che la traiettoria ascendente dello shopping online possa invertire presto la propria rotta. Gli esperti prevedono che questo comportamento rimarrà persistente anche dopo la fine della pandemia. Un sondaggio su 2.000 adulti americani condotto da McKinsey & Company a novembre, ad esempio, ha rilevato un aumento netto del 40% dell’intenzione tra gli intervistati di spendere online dopo il Covid-19.

Come ha affermato Matt Littlejohn, vicepresidente senior di Oceana: “Il nostro studio ha scoperto che gli imballaggi in plastica e i rifiuti generati dagli imballaggi di Amazon sono per lo più destinati, non al riciclaggio, ma alla discarica, all’inceneritore o all’ambiente, inclusi, purtroppo, i nostri corsi d’acqua e il mare, dove la plastica può danneggiare la vita marina. È tempo che Amazon ascolti i suoi clienti che, secondo recenti sondaggi, vogliono alternative prive di plastica e si impegnano concretamente per ridurre la sua impronta plastica”. Più di 660mila persone hanno già firmato una petizione su Change.org, chiedendo ad Amazon di offrire opzioni di imballaggio senza plastica e, secondo un sondaggio condotto da Oceana su migliaia di clienti Amazon, l’87% vorrebbero poter usufruire di un servizio del genere.

Un trend da invertire al più presto

Ricordiamo che, secondo le nuove regole europee sulla gestione dei rifiuti entrate in vigore dal primo gennaio, è previsto il divieto di esportazione dei rifiuti di plastica verso i Paesi più poveri del Pianeta. Fino a oggi, i Paesi dell’Unione Europea hanno esportato oltre 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno, principalmente in Turchia e in Paesi asiatici come Indonesia e Malesia. Ogni Paese dovrà assumersi la responsabilità dei rifiuti prodotti all’interno dei propri confini e adottare in tempi rapidi una riduzione drastica di imballaggi e plastica monouso e a una gestione dei rifiuti più efficiente.

Per David Pinsky, senior plastics campaigner per Greenpeace, il mito secondo cui la plastica può essere riciclata o addirittura gestita in modo efficace è esattamente questo: un mito. “Dobbiamo cercare altre opzioni”, sostiene Pinsky. È dunque necessario abbandonare l’attuale modello lineare di raccolta differenziata e ripensare il modo in cui progettiamo, utilizziamo e riutilizziamo la plastica, puntando su materiali alternativi ed ecosostenibili. Le prime soluzioni di imballaggi plastic-free, sostenibili e riciclabili rimangono però ancora realtà di nicchia. Poco più che soluzioni sperimentali, estremamente limitate nella loro diffusione.

Le alternative in campo

Pensiamo ad Happy Returns, che per ridurre i materiali monouso impiega contenitori riutilizzabili per consentire ai clienti di spedire i resi senza scatola presso i suoi hub di restituzione in California e Pennsylvania. Startup come RePack e LimeLoop offrono buste di spedizione riutilizzabili per la consegna dei loro ordini di abbigliamento online. Asos, una delle 400 aziende e governi che si sono impegnati a ridurre i rifiuti di plastica come parte dell’impegno globale per la New Plastic Economy della Fondazione Ellen MacArthur, sperimenterà i sacchetti riutilizzabili nei primi mesi del 2021.

Per ripensare e ridisegnare il futuro della plastica, a partire dagli imballaggi, è fondamentale perciò che tutti, a partire dai responsabili politici, passando per le aziende – che devono ridisegnare i propri modelli di business – fino ad arrivare alle università, le ONG e i cittadini, si impegnino nell’adozione di un’economia circolare per la plastica.

Facendo leva sulle esperienze di successo e incentivando i comportamenti virtuosi. È la stessa Oceana a sottolineare come Amazon stia agendo bene in India, dietro la spinta di un governo che ha deciso di vietare l’utilizzo delle plastiche monouso entro il 2022. Già a giugno di quest’anno infatti il gruppo ha annunciato di aver eliminato la plastica monouso in tutti i suoi centri di smistamento nel Paese e che il 40% degli ordini viene consegnato nelle sue confezioni originali e senza gli imballaggi Amazon.

Il laboratorio di imballaggi e materiali di Amazon ha anche sviluppato una busta di carta leggera che potrebbe ridurre significativamente l’impronta di plastica dell’azienda se utilizzata al posto delle buste di plastica. Tutte misure che può e dovrebbe cominciare ad adottare anche a livello globale.

fonte: economiacircolare.com

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Acquisti online post pandemia: cresce il quantitativo di packaging e crescono i rifiuti

Confezionare i beni che consumiamo per il trasporto via corriere comporta un utilizzo di materiali decisamente maggiore rispetto agli acquisti fatti direttamente in negozio e, senza regole e buon senso, aumentano i rifiuti. Al netto dell'impero di Amazon, dagli Stati Uniti arrivano tanti esempi virtuosi




L’anno della pandemia ha segnato un’accelerazione degli acquisti online a sfavore delle compere in negozio. Un trend che, con la stagione dei regali, ha visto un’ulteriore crescita. Tra i tanti problemi che questa tendenza porta con sé da un punto di vista ambientale, non ultimo è l’aumento della produzione di rifiuti: confezionare i beni che consumiamo per il trasporto via corriere, infatti, comporta un utilizzo di materiali decisamente maggiore rispetto agli acquisti fatti direttamente in negozio.

Così, nel Natale appena passato, sotto l’albero ci siamo trovati milioni di scatole e scatoloni entrati nel ciclo dei rifiuti. Negli Stati Uniti, dove gli acquisti online erano molto diffusi già prima della pandemia, il fenomeno assume dimensioni preoccupanti e c’è chi sta provando a trovare soluzioni.

Più Internet vuol dire più imballaggio

Secondo dati del Department of Commerce, nel secondo quadrimestre del 2020 i consumatori americani hanno speso 211 miliardi di dollari online, il 16 per cento del totale degli acquisti, segnando un aumento del 44,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Nonostante una lieve flessione nel terzo quadrimestre dovuta alla riapertura dei negozi, l’e-commerce sembra il grande vincitore dell’anno che sta per finire. A conferma, basta citare un dato: nel secondo quadrimestre dell’anno, Amazon ha registrato un aumento del 40 per cento delle vendite per una cifra record pari a 88.9 miliardi di dollari.

Tutti questi acquisti arrivano nelle case dei consumatori imballati in confezioni spesso sovradimensionate. Secondo il rapporto mensile sui contenitori in cartone pubblicato lo scorso luglio dall’American Forest & Paper Association, nel primo semestre del 2020, la produzione di questi contenitori negli Usa è stata del 5 per cento maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019.

La spinta è arrivata dal settore residenziale, proprio per via dell’aumento delle consegne a domicilio e del ricorso all’e-commerce. E non c’è solo cartone nei pacchi consegnati nelle nostre case: spesso le confezioni contengono plastica e polistirolo per proteggere i prodotti in esse contenuti. Secondo il rapporto E-Commerce Plastic Packaging – Global Market Outlook, il mercato globale degli imballaggi in plastica per l’e-commerce raggiungerà i 28,60 miliardi di dollari nel 2027, quando nel 2019 ammontava a 9,62 miliardi. Il rapporto cita la crescente penetrazione di Internet e degli acquisti online tra i fattori principali di questa crescita.

Se a restituire all’azienda ci pensa lo stesso corriere

Il problema è reale e tante sono le aziende che stanno esplorando soluzioni. Da una parte, c’è la necessità di confezionare meglio ed evitando lo spreco di materiali: diverse sono le associazioni di categoria che stanno portando l’attenzione verso la spesso frustrante esperienza del consumatore che si ritrova ad aprire grossi pacchi multistrato per scartare prodotti dalle dimensioni ridotte. Dall’altra c’è una spinta a riciclare di più e meglio gli imballaggi. L’Environmental Protection Agency la scorsa primavera ha pubblicato una serie di video informativi per diffondere buone pratiche legate al riciclo, con una particolare enfasi sui cartoni per gli imballaggi, e alcune aziende stanno iniziando a prediligere materiali facilmente differenziabili e riciclabili.

Ma soprattutto si sta diffondendo sempre di più l’idea che le confezioni possano essere utilizzate più volte. In questo filone si inseriscono diverse esperienze che cercando di eliminare gli imballaggi usa e getta dalla catena dell’e-commerce. Tra queste c’è The Lime Loop che offre alle aziende la possibilità di utilizzare i propri servizi e imballaggi per garantire ai propri consumatori un’esperienza di acquisto online a rifiuti zero. Lime Loop fornisce ai propri clienti delle confezioni riutilizzabili all’interno delle quali il consumatore finale riceve i prodotti ordinati online, per poi restituire il contenitore semplicemente dandolo in consegna al corriere. Le confezioni prodotte da Lime Loop sono realizzate in vinile riciclato da vecchi cartelloni pubblicitari. Le aziende le affittano e sono riutilizzabili fino a 2000 volte. Quando il pacco arriva a destinazione, il cliente tira fuori i suoi prodotti, appone sulla confezione un’etichetta di spedizione inclusa nel pacco e lascia o spedisce il contenitore vuoto al corriere che lo restituisce al mittente.

Imballaggi su misura

La startup ha creato anche una app attraverso la quale le aziende possono tracciare le consegne, valutare la soddisfazione dei propri clienti e l’impatto ambientale della scelta di confezioni riutilizzabili. Molto simile è il modello di RePack, nata in Europa nel 2011 e arrivata anche negli Stati Uniti nel 2019. Repack offre ai commercianti che aderiscono le proprie buste riutilizzabili, le loro confezioni sono meno durevoli, ma i vantaggi sono comunque assicurati, non solo per l’ambiente ma anche per i budget delle aziende che, sul lungo periodo, spendono meno in imballaggi. Tante altre sono le aziende che progettano e vendono ai negozi online confezioni riutilizzabili.

Un esempio è quello di Returnity che offre imballaggi su misura e personalizzati sulla base degli specifici bisogni dei diversi venditori che possono ordinarne le quantità di volta in volta desiderate. Concetto simile ma design decisamente meno accattivante per Reusepac e Livingpackets. Il tema interessante, e che approfondiremo molto presto su EconomiaCircolare.com, è per chi invece chi si spinge ancora più in là proponendo alle aziende, non solo gli imballaggi per la consegna, ma contenitori riciclabili per i loro stessi prodotti, come fa Terracycle con il suo sistema Loop.

Intanto, nel nostro Paese sono ancora pochi i negozi online che si servono di imballaggi riutilizzabili. E allora buoni propositi per il nuovo anno: gli acquisti della Befana, meglio farli in negozio.

fonte: economiacircolare.com/


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

REPACK L’IMBALLAGGIO RIUTILIZZABILE PER L’E-COMMERCE

























Per affrontare anche in questo segmento l’aumento del packaging una start up finlandese ha lanciato nel 2011 Repack un sistema che rende possibile ricevere merce ordinata online confezionata con un imballaggio riutilizzabile. Le aziende che aderiscono al sistema sviluppano con RePack la tipologia e i formati più adatti alle merci che vendono. Al cliente che richiede un imballaggio riutilizzabile viene addebitato un piccolo importo/cauzione. Una volta che il cliente riceve l’ordine per ottenere l’accredito della cauzione deve rispedire l’imballaggio imbucandolo in una buca delle lettere senza nulla pagare (vedi video). Al momento la percentuale di restituzione delle confezioni arriva al 95%.
Gli acquisti effettuati con RePack vengono incentivati con un buono sconto che può essere speso presso le 31 aziende di E-commerce che hanno aderito alla piattaforma.
Gli imballaggi di RePack sono realizzati con materiale riciclato, e possono essere riusati almeno 20 volte. Uno studio LCA scaricabile dal sito ha stimato che l’impronta ecologica degli imballaggi riutilizzabili di RePack è del 50% inferiore rispetto ad equivalenti versioni monouso. Anche in Italia dove lo shopping sulla rete è cresciuto e, a sentire l’Istat, ha conquistato un italiano su due, un sistema simile dovrebbe entrare di diritto in un piano di prevenzione rifiuti nazionale insieme all’adozione di imballaggi riutilizzabili in gran parte del comparto B2B. Tali misure devono essere premiate fiscalmente a livello nazionale se davvero si vuole promuovere nuovi modelli di gestione dei rifiuti circolari e incidere sulle emergenze rifiuti di tante città, e a cominciare dalla capitale.


Silvia Ricci


Associazione Comuni Virtuosi


EUREPACK A RIMINI PRESENTA LA RETE EUROPEA PER IL RIUTILIZZO DELL’IMBALLAGGIO















EURepack, il consorzio italiano di aziende che promuovono l’imballaggio riutilizzabile, partecipa a Macfrut 2018 per presentare “R1-Reuse”, la rete europea per il riutilizzo formatasi con l’obiettivo specifico di accreditare maggiormente il tema del riuso a livello di istituzioni comunitarie e di opinione pubblica.
“EURepack lavora alacremente per convogliare attorno al concetto di riutilizzo quanti in Europa sono come noi convinti che esso sia centrale in ogni discorso sull’economia circolare” afferma Carlo Milanoli, presidente di EURepack. “Il nostro Consorzio nasce proprio con l’obiettivo di contribuire a colmare il ritardo del sistema Italia nella prevenzione della formazione di rifiuti da imballaggio, promuovendo la cultura del riutilizzo come soluzione veramente efficace, in tutti gli ambiti ove ciò sia al contempo fattibile tecnicamente e vantaggioso economicamente” aggiunge.
Con l’intento di posizionarsi come riferimento nazionale della rete europea del riutilizzo, EURepack organizza il convegno “R1-Reuse, la rete europea per il riutilizzo” durante il quale verrà analizzata la funzione strategica del riutilizzo quale garanzia di vantaggi molto significativi sotto il profilo ambientale ed economico.
Il riutilizzo nei sistemi di imballaggio (pallets, contenitori, cassette, ecc.) consente infatti l’eliminazione dei costi legati allo smaltimento del rifiuto, al tempo stesso favorendo maggior efficienza nella logistica industriale e nella filiera distributiva. Inoltre, la continua ricerca sui materiali impiegati permette un numero sempre più elevato di cicli di riutilizzo sui quali distribuire il costo iniziale di manifattura, riducendone l’incidenza sul costo unitario del riutilizzo. Infine, laddove nel processo manifatturiero siano impiegate le materie plastiche, queste permettono, a fine vita, il completo riciclo della materia prima in manufatti analoghi, senza perdita significativa di valore.
I relatori coinvolti presenteranno ricerche o esperienze specifiche nell’ambito del riutilizzo dei materiali e si confronteranno sulla collaborazione a livello europeo che li vede protagonisti. Gli interventi saranno tenuti da:
– Manuel López Montero del consorzio spagnolo Areco (Asociación de Operadores Logísticos de Elementos Reutilizables Ecosostenibles) che ha promosso uno studio sui vantaggi economici ed ambientali della cassetta riutilizzabile in plastica realizzato con l’UNESCO e l’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona;
– Lucia Rigamonti del Politecnico di Milano, che illustrerà lo stato del riutilizzo oggi in Italia, alla luce di una recente ricerca commissionata da CONAI sull’impatto dell’economia circolare in Italia;
– Clarissa Morawski, co-fondatrice e managing Director di Reloop, la prima piattaforma paneuropea con sede in Germania, Spagna e Belgio attiva sulle questioni relative ai rifiuti e al business ad essi correlato nell’ambito dell’Unione Europea;
– Silvia Ricci, rappresentante dell’Associazione dei Comuni Virtuosi che da anni si batte per la progressiva eliminazione degli shopper usa e getta.
Non mancheranno rappresentanti di aziende attive nello sviluppo di sistemi riutilizzabili, selezionati per le innovazioni che hanno proposto sul mercato. Vi saranno:
– Michelangelo Metal Box, l’azienda di Ospitaletto diventata nota per aver inventato il contenitore in alluminio riutilizzabile per pizza da asporto, che mantiene anche inalterato il sapore e la temperatura;
– RePack, pluripremiata società finlandese che ha creato buste di imballaggio riutilizzabili con materiali riciclati che rimborsa gli acquirenti online del deposito di spedizione RePack quando la borsa rientra in azienda;
– Fellybag è invece una borsa elastica, robusta, lavabile e riciclabile che risolve la problematica degli shopper usa e getta.
La conclusione dei lavori sarà a cura dell’on. Elisabetta Gardini, membro della Commissione Ambiente dell’Europarlamento, che illustrerà l’operato del Parlamento e delle altre Istituzioni europee in merito al tema dell’economia circolare, oltre alle iniziative legislative e regolamentari relative alla prevenzione dei rifiuti.

Il convegno di EURepack si terrà mercoledì 9 maggio alle 14, presso la Sala Ravezzi 1 del Rimini Expo Centre.

fonte: http://www.corriereortofrutticolo.it


























un RePack può essere utilizzato almeno 20 volte, riduce molte emissioni di CO2 e rifiuti di imballaggio





RePack

L’imballaggio del futuro non può che essere riutilizzabile


















Mentre i rifiuti da imballaggio continuano ad aumentare, complice un aumento dei cibi confezionati tra piatti pronti, prodotti di quarta gamma e confezioni sempre più piccole,  non appare all’orizzonte alcun piano di prevenzione che fissi obiettivi stringenti di riduzione, riuso e riciclabilità per il packaging.
Come forse non tutti sanno non esiste in Italia un sistema di leve fiscali che incentivi le aziende utilizzatrici di packaging a scegliere imballaggi facilmente riciclabili, o realizzati con materia prima seconda o, ancor meglio, riutilizzabili. Pertanto spesso accade, e non solamente in Italia,  che  siano esclusivamente le ragioni del marketing ad avere la meglio quando si tratta di progettare un nuovo imballaggio.
Tuttavia l’aggravarsi di problemi ambientali come l’inquinamento diffuso, il riscaldamento climatico e la scarsità di risorse naturali, solamente per citarne qualcuno, rende più urgente che mai l’abbandono dell’attuale sistema economico lineare a favore di un sistema economico circolare e rigenerativo. Il riuso dei materiali, oltre ad essere una componente essenziale delle politiche ambientali europee sull’efficienza delle risorse e del pacchetto per l’economia circolare,  è oggetto di iniziative pubbliche e di nuovi (o rivisitati) modelli di business perché offre nuove efficienze operative e scenari di crescita economica. Sono diversi gli studi usciti negli ultimi anni che hanno stimato il potenziale economico che può derivare da un’applicazione di modelli economici circolari e un impulso importante è stato dato, in particolare dagli studi pubblicati dalla Ellen McArthur Foundation in collaborazione con il McKinsey Center for Business and Environment.
Quale opzione di imballaggio può maggiormente rispondere ai criteri di circolarità garantendo un allungamento del ciclo di vita, un uso efficiente delle risorse attraverso una drastica diminuzione del consumo di materie prime, se non l’imballaggio riutilizzabile?.
Perchè non mettere quindi  a regime su larga scala, e incentivare attraverso leve fiscali, alcune delle esperienze di riutilizzo già messe in pratica da alcune aziende con ottimi risultati, e nonostante le barriere esistenti?.
L’industria del packaging riutilizzabile contribuisce alla costruzione di modelli di economia circolare che spingono ad una collaborazione proficua tutti gli attori della supply chain. Attraverso il riuso vengono mantenute più a lungo nel tempo  le prestazioni e il valore economico del packaging, si riducono i costi di approvvigionamento di nuovo materiale e si evita che gli imballaggi diventino rifiuti dopo un solo utilizzo.
Reloop ha pubblicato lo studio The Business Case for Reusable Packaging che analizza alcuni casi di successo internazionali del settore B2B che può essere scaricato qui.
La diffusione dell’imballaggio riutilizzabile, in Italia, è oggi particolarmente concentrata nel settore B2B (Business to Business) tra secondari e terziari: dalla cassetta in plastica per l’ortofrutta, all’interfalda per il trasporto delle bottiglie, ai pallet.
Per quanto riguarda il settore ortofrutta il 50% delle movimentazioni di merci nel settore della Grande Distribuzione avviene in cassette di plastica riutilizzabili quando, secondo il nostro partner tecnico EURepack si potrebbe facilmente arrivare ad una copertura del 75% interessando anche altri settori merceologici del fresco oltre all’ortofrutta. Un progetto importante per portare il sistema delle cassette ortofrutta riutilizzabili anche nei mercati rionali è in avanzata fase di sperimentazione a Torino.
Qualora ci fosse la volontà politica e aziendale, l’imballaggio riutilizzabile potrebbe conquistare nuove e importanti quote di mercato anche nel settore business to consumer (B2C). Abbiamo recentemente raccontato del progetto berlinese Tiffin Project, che prevede l’acquisto di cibo da asporto in un contenitore a rendere e delle condizioni che renderebbero possibile un ritorno del vuoto a rendere per latte e bevande. Persino per un settore come quello del commercio online, che poteva sembrare un contesto di difficile adozione per un sistema riutilizzabile, è attivo dal 2011 in Finlandia un progetto che ha dimostrato di poter essere implementato ovunque.
REPACK L’IMBALLAGGIO RIUTILIZZABILE PER L’E-COMMERCE
Per affrontare anche in questo segmento l’aumento del packaging una start up finlandese ha lanciato nel 2011 Repack un sistema che rende possibile ricevere merce ordinata online confezionata con un imballaggio riutilizzabile. Le aziende che aderiscono al sistema sviluppano con RePack la tipologia e i formati più adatti alle merci che vengono vendute. Al cliente che richiede un imballaggio riutilizzabile viene addebitato un piccolo importo/cauzione. Una volta che il cliente riceve l’ordine per ottenere l’accredito della cauzione deve rispedire l’imballaggio imbucandolo in una buca delle lettere senza nulla pagare (vedi video). Al momento la percentuale di restituzione delle confezioni arriva al 95%.
Gli acquisti effettuati con RePack vengono incentivati con un buono sconto che può essere speso presso le 21 aziende di E-commerce che hanno aderito alla piattaforma.
Gli imballaggi di RePack sono realizzati con materiale riciclato, e possono essere riusati almeno 20 volte. Uno studio LCA scaricabile dal sito ha stimato che l’impronta ecologica degli imballaggi riutilizzabili di RePack è del 50% inferiore rispetto ad equivalenti versioni monouso.  Anche in Italia dove lo shopping sulla rete è cresciuto e, a sentire l’Istat, ha conquistato un italiano su due, un sistema simile dovrebbe entrare di diritto in un piano di prevenzione rifiuti nazionale insieme all’adozione di imballaggi riutilizzabili in gran parte del comparto B2B. Tali provvedimenti devono avvenire a livello nazionale se davvero si vuole promuovere nuovi modelli di gestione dei rifiuti circolari e incidere sulle emergenze rifiuti di tante città, e a cominciare dalla capitale.











fonte: http://comunivirtuosi.org