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FREE NOW punta al Net-Zero Emissions entro il 2030

Da subito FREE NOW diventa carbon-neutral, raggiungerà almeno il 50% di corse effettuate da veicoli completamente elettrici entro il 2025 e punta ad avere una flotta 100% a zero emissioni entro il 2030 nei principali mercati europei in cui opera














FREE NOW ha annunciato il suo programma Move To Net-Zero per ridurre le emissioni di carbonio: la strategia di sostenibilità olistica prevede la compensazione immediata delle emissioni e si pone, come obiettivi a lungo termine, di raggiungere il 50% di corse effettuate con veicoli completamente elettrici entro il 2025 e il 100% della flotta a zero emissioni entro il 2030.
FREE NOW, dunque, si impegna a compensare tutte le emissioni di CO2 rimanenti che verranno generate d'ora in avanti sia dall'azienda che dai suoi servizi. FREE NOW è quindi la prima piattaforma di mobilità in Europa a realizzare un piano Net-Zero coinvolgendo tutti i principali mercati europei in cui opera. "In quanto operatore di multi-mobilità leader in Europa, abbiamo ben chiaro il nostro ruolo prioritario nella lotta al climate change. Per questo abbiamo definito il nostro piano Net-Zero, grazie al quale diventeremo neutrali dal punto di vista climatico entro il 2030, ben 20 anni prima rispetto a quanto definito dall'accordo di Parigi", afferma Marc Berg, CEO di FREE NOW.

Il percorso di FREE NOW verso la mobilità a zero emissioni include le seguenti fasi:

- FREE NOW stanzierà oltre 100 milioni di euro di risorse nei prossimi cinque anni per accelerare l'elettrificazione della flotta, attuando azioni concrete che includono la promozione delle modalità di trasporto più green presenti in app. Inoltre, FREE NOW prevede di offrire incentivi speciali per i driver, sia già iscritti sia nuovi, che sceglieranno di guidare veicoli elettrici a batteria, oltre che offrire condizioni preferenziali di noleggio e di acquisto del veicolo e vantaggi monetari per la ricarica del mezzo.

- FREE NOW collaborerà con la consociata CHARGE NOW, gestita da Digital Charging Solutions GmbH, che, con più di 175.000 punti di ricarica, offre la più grande rete di colonnine elettriche in Europa, fornendo un accesso facile e senza soluzione di continuità all'infrastruttura di ricarica.

- FREE NOW collaborerà con operatori di mobilità esterni in particolare per offrire ai passeggeri soluzioni green per i tragitti più brevi e gli spostamenti del cosiddetto primo ed ultimo miglio.

- FREE NOW è già oggi carbon neutral grazie alle compensazioni delle emissioni. Il mix di progetti di FREE NOW per la compensazione di CO2 si concentra, tra l'altro, sulla conservazione e ripopolamento delle foreste, inclusa la piantumazione ogni anno di oltre 20.000 alberi in tutte le città europee.

Marc Berg, CEO di FREE NOW, continua: "Sempre più persone ed aziende in Europa chiedono opzioni di mobilità rispettose dell'ambiente e la pandemia ha accelerato questa tendenza. Il nostro obiettivo è chiaro: oltre a compensare tutte le emissioni rimanenti per essere completamente carbon-neutral, vogliamo diffondere la mobilità elettrica sia che i nostri passeggeri siano a bordo di un taxi per i viaggi più lunghi, sia che facciano uso di opzioni di micromobilità per i tragitti brevi. Con il nostro piano Move To Net-Zero, prendiamo pienamente parte alla rinomata iniziativa globale Science Based Targets (SBTi) grazie a cui garantiamo che i nostri obiettivi soddisfino i più elevati standard del settore. In collaborazione con i produttori di veicoli, i fornitori di infrastrutture di ricarica e le amministrazioni cittadine, ci assicureremo di combattere il cambiamento climatico aiutando i nostri driver ad adottare veicoli elettrici per soddisfare la domanda dei consumatori per viaggi sempre più sostenibili."

fonte: www.greencity.it


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Debutta nelle acque della Svizzera il primo aliscafo elettrico

Si chiama Candela Seven ed è la speciale imbarcazione creata da un’azienda svedese per ampliare l’offerta di navigazione a zero emissioni. È in grado di ridurre il consumo di energia dell’80% rispetto alle normali barche a motore diesel




“Vola” silenziosamente sopra la superficie dell’acqua, lasciando dietro di sé nient’altro che aria pulita. Parliamo di Candela Seven, l’aliscafo elettrico che ha debuttato questa settimana in Svizzera. Primo nel suo genere, il battello è stato realizzato da un’azienda svedese, la Candela Speed Boat, e ha dato prova delle sue capacità presso il Lago dei Quattro Cantoni.

L’aliscafo elettrico è stato progettato con il preciso obiettivo di ridurre i consumi energetici delle tradizionali imbarcazioni offrendo una soluzione veloce ed ecologica. E come mostrato durante le prove svizzere, Candela Seven può raggiungere una velocità di 30 nodi, pari a 55 km all’ora, quando ali del suo scafo la sollevano dall’acqua. Non si tratta della massima velocità raggiungibile da questa categoria di imbarcazioni, ma il mezzo ha dalla sua la propulsione elettrica, un fattore in grado di renderlo molto più green dei suoi colleghi. Grazie alle ali che riducono l’attrito dell’acqua – e l’effetto delle onde che si infrangono sulla barca – il battello è in grado di tagliare dell’80% i consumi rispetto le normali imbarcazioni diesel.

“Grazie l’esperienza nella progettazione di aerei da combattimento e aeroplani, abbiamo reso il Candela Seven estremamente leggero e nel contempo altamente resistente agli urti”, scrive la società sul proprio sito web. “Lo scafo e il ponte sono accuratamente realizzati in fibra di carbonio al 100%”. Il basso peso (circa 1300 kg) contribuisce all’autonomia del mezzo: l’aliscafo elettrico può percorrere fino a 50 miglia nautiche con un pieno.

Inoltre Candela Seven è sempre connesso al cloud tramite rete 3G. La società ha realizzato anche un App che mostra lo stato di carica, la posizione dell’imbarcazione, i registri dei dati e le opzioni di geofence. “Le persone potrebbero usarlo per spostarsi attraverso i laghi o per gite di un giorno”, ha spiegato alla Reuters l’importatore svizzero Christian Vogel. “Puoi guidarlo con la coscienza pulita dal punto di vista ambientale, ed è molto divertente”.





Secondo quanto riporta oggi la stessa agenzia di stampa, l’azienda svedese ha già consegnato 16 barche dallo scorso anno. Il prezzo ovviamente non è per tutti: la barca elettrica è venduta a 250mila euro.

fonte: www.rinnovabili.it


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Bus a zero emissioni, sarà un 2020 col botto

Ogni mille e-bus in strada si evita ogni giorno il consumo di 500 barili di gasolio, calcola BloombergNEF, mentre mille auto elettriche fanno risparmiare solo 15 barili di greggio. In Italia Milano è la città all’avanguardia, ma Torino annuncia nuovi acquisti















I bus elettrici sono ormai una realtà con dentro tanta Cina e un po’ d’Italia. Sulle strade dell’Impero di Mezzo, infatti, a fine 2018 circolava il 99% dei bus elettrici del mondo. Pechino ha iniziato nel 2009 a investire con generosi sussidi statali e locali e schemi di finanziamento, creando una filiera manifatturiera e dimostrando che la trazione elettrica può sostituire quella diesel (che spinge il 99% degli autobus).
I sussidi sono stati ridotti, ma secondo gli analisti della società di consulenza Navigant, a consuntivo le vendite 2019 di e-bus in Cina arriveranno a quota 163mila unità, con il resto del mondo fermo poco sopra le 4mila. A livello globale si parla di quasi 770mila bus elettrici su strada nel 2019, e per ogni tre diesel nuovi se ne compra uno a zero emissioni. Per gli analisti, nel 2019 gli e-bus in esercizio sono circa l’8% del totale su strada, ma si prevede che nel 2030 quasi un autobus su tre sarà elettrico. Da qui a 10 anni la Cina continuerà a dominare (74% delle vendite), ma la crescita maggiore avverrà altrove, Europa e Nord America in testa (14%), spinta da maturazione tecnologica e politiche ambientali.
Cosa comporta la diffusione di e-bus per la qualità dell’aria e il clima? Ogni mille e-bus in strada si evita ogni giorno il consumo di 500 barili di gasolio, calcola BloombergNEF, mentre mille auto elettriche fanno risparmiare solo 15 barili di greggio. Giù emissioni e costi del combustibile quindi, e per gli analisti l’alimentazione elettrica conviene anche in scenari di petrolio basso, sui 40 dollari/barile. Un e-bus naturalmente costa più di uno diesel; ma a fronte di maggiori costi in conto capitale e infrastrutturale, per le reti di ricarica sono dimezzati i costi della manutenzione, secondo stime del governo Usa e della Columbia University. Un costo totale di proprietà (Tco) più basso, quindi, anche se pesa quello delle batterie, che sottoposte a intensi cicli di ricarica si esauriscono prima (cicli più impattanti se ad alta potenza e veloci durante il servizio, meno se di notte in rimessa).
Fa ben sperare il loro costo decrescente, passato dai 1.000 dollari per kiloWattora del 2010 ai circa 200 dollari/kWh del 2019, con una previsione da 100 dollari/kWh verso il 2030. Shenzhen è la città leader globale per la diffusione di e-bus, oltre che la sede del gigante BYD, il principale produttore mondiale di mezzi elettrici. Poi c’è il Cile, con la capitale Santiago seconda solo alle città cinesi. Merito di Enel X, la divisione prodotti innovativi del gruppo elettrico pubblico: collaborando con BYD Chile e l’azienda cilena per il trasporto pubblico Metbus, a fine 2019 avrà in servizio oltre 400 bus elettrici ricaricabili in 9 elettro-terminal, maturando sul campo una solida e robusta esperienza e una competenza specifica. Per capire quanto Santiago del Cile sia avanti, basti pensare che nel 2019 a New York City c’erano solo 10 bus elettrici in servizio, con la Metropolitan Transit Authority che ha annunciato di volerne su strada altri 500 tra 2020 e 2024.
E in Italia? A Milano Atm da quest’anno non acquisterà più autobus diesel, e ha un piano che porterà al 2030 a una flotta bus interamente elettrica. Nei primi mesi del 2019 si è conclusa la fornitura di 25 e-bus, che diventeranno 200 entro il 2020; nel luglio scorso è stata assegnata una gara per ulteriori 250. A Torino circolano 50 e-bus Gtt di varie taglie, tra i quali venti BYD da 12 metri. La sindaca Chiara Appendino ha annunciato a breve «una gara per i bus elettrici. Il Comune non comprerà più diesel», ha detto. Intanto, sotto la Mole si testano anche i minibus elettrici a guida autonoma Olli 2, stampati in 3D. A Bologna Tper ha pubblicato un bando di gara per l’acquisto di due e-bus, con l’opzione di altri 18 per un totale di 20. Poi ci sono le sperimentazioni di Cremona, Genova, Ancona, i piani di Palermo, Messina, Padova e di tante altre città. E ci sono anche i 2,2 miliardi del ministero delle Infrastrutture e Trasporti destinati alle Regioni per l’acquisto di nuovi bus ecologici.
fonte: www.lastampa.it

USA, gli investitori fanno pressione per la decarbonizzazione

Gli investitori di Southern Co, Duke Energy Corp e Dominion Energy Inc stanno presentando una risoluzione che preveda la nomina di un comitato indipendente che monitori il processo di transizione energetica delle tre grandi società energetiche statunitensi.




















Il funzionario del dipartimento pensioni di New York City avrebbe chiesto alle tre maggiori imprese di approvvigionamento energetico degli Stati Uniti (Southern Co, Duke Energy Corp e Dominion Energy Inc.) di dotarsi di un comitato indipendente che gestisca e monitori il processo di decarbonizzazione di queste società.

Secondo Reuters, il funzionario Scott Stringer, che sovrintende a circa 208 miliardi di dollari di fondi pensionistici (che rappresentano una consistente fetta del capitale di investimento delle tre aziende energetiche), avrebbe recentemente proposto agli altri azionisti di Southern Co, Duke Energy Corp e Dominion Energy Inc. di votare una risoluzione per la nomina di soggetti indipendenti che, all’interno dei diversi consigli di amministrazione, possano sorvegliare le strategie di transizione energetica e decarbonizzazione delle società, per agire concretamente verso un’economia a basse emissioni di carbonio.


Le tre utility statunitensi, su carta, hanno ampiamente abbracciato l’idea di ridurre le emissioni per contrastare i cambiamenti climatici, ma mostrano ancora incertezza rispetto a quali precisi obiettivi perseguire (e come) nel processo di decarbonizzazione.  Un certo numero di aziende per l’energia, tra cui Xcel Energy Inc e NRG Energy Inc, prevedono già di raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro il 2050, ad esempio utilizzando più energia solare e eolica o chiudendo gli impianti a carbone e compensando con il ripristino delle foreste per rimuovere il CO2 dall’atmosfera.
Southern e Dominion, dal canto loro, hanno delineato piani per ridurre le emissioni di carbonio, ma non si sono impegnate nell’obiettivo delle zero emissioni entro il 2050. La Duke Energy, invece, ha dichiarato a settembre che mira a raggiungere la totale decarbonizzazione entro il 2050 ma, secondo la risoluzione proposta da Stringer, continua ad investire in progetti sul gas naturale.

Secondo le fonti di Reuters, i portavoce della Dominion, della Southern Co e della Duke Energy hanno dichiarato che le società starebbero vagliando la proposta di Stringer, che segna una storica escalation dell’approccio che gli investitori stanno adottando nei confronti delle aziende energetiche rispetto al tema dei cambiamenti climatici.

fonte: www.rinnovabili.it

Città sostenibili a zero emissioni a sostegno degli impegni dei governi nazionali

Una transizione verso città a zero emissioni nette di carbonio (carbon neutrality) offre un'immensa opportunità per garantire la prosperità economica nazionale e migliorare la qualità della vita, affrontando al contempo la minaccia ormai sempre più evidente dei cambiamenti climatici. Ma per riuscirci ci vuole coraggio!
















Una transizione verso città a zero emissioni nette di carbonio (carbon neutrality) offre un'immensa opportunità per garantire la prosperità economica nazionale e migliorare la qualità della vita, affrontando al contempo la minaccia ormai sempre più evidente dei cambiamenti climatici. La realizzazione del potenziale delle città richiede un'azione coraggiosa da parte dei governi nazionali, lavorando in stretta collaborazione con i governi locali, le imprese, la società civile, gli istituti di ricerca e altri partner.
E’ stato di recente pubblicato il rapporto “Climate Emergency, Urban Opportunity” da parte della Coalizione per le transizioni urbane, un’associazione che promuove il ruolo delle città nella lotta al cambiamento climatico. Al rapporto hanno contribuito decine di organizzazioni coordinate dal World Resource Institute (WRI), il Ross Center for Sustainable Cities e il C40 Cities Climate Leadership Group. Anche il più importante network europeo di città, il Patto globale dei Sindaci per il clima e l’energia, ha dato il proprio contributo. Unanime è il loro messaggio: la battaglia per salvare il nostro pianeta si vince o si perde nelle città.
Obiettivo principale del rapporto è quello di mettere in evidenza che investire per la sostenibilità ambientale è conveniente anche da un punto di vista economico, visto che molto spesso sembra essere solo questa la leva che fa muovere i decisori politici. A noi “ambientalisti di una certa età” bastavano le prime due dimensioni della sostenibilità, quella ambientale e quella sociale, ma sono anni ormai che anche la dimensione economica viene analizzata approfonditamente e questo rapporto è l’ennesima prova che investire su un pianeta ove si possa ancora respirare aria pulita è anche un buon business.
Innanzitutto ricordiamo che nelle città vive oggi oltre il 50% della popolazione mondiale (che salirà al 66% nel 2050), si produce l’80% del PIL e, non ultimo, si emettono i tre quarti delle emissioni di gas climalteranti dovute ai consumi finali di energia. Dal punto di vista amministrativo, inoltre, le città, quindi i Comuni con i propri Sindaci, rappresentano gli Enti territoriali più vicini al cittadino, con maggiore forza per dialogare sul territorio e contribuire a quella modifica dei comportamenti individuali che rappresenta, sempre di più, l’unica strada da seguire per cercare di affrontare seriamente l’emergenza climatica.
Ma quanto ci costa? E con quali benefici?
Sulla base delle analisi svolte dalla Coalizione per le transizioni urbane, con un investimento di circa 1.830 miliardi di dollari all’anno (circa il 2% del PIL mondiale) si genererebbe un risparmio annuale di 2.800 miliardi di dollari nel 2030 e di 6.980 miliardi nel 2050. In definitiva, si stima che si potrebbero finanziare misure di riduzione delle emissioni di gas climalteranti con un risparmio complessivo, al 2050, pari ad almeno 23,9 mila miliardi di dollari (equivalente al 28,2% del PIL mondiale). Con un’ipotesi realistica di prezzi crescenti dell’energia e innovazione tecnologica più spinta, si salirebbe a valori intorno ai 38,2 mila miliardi di dollari. In tal modo si ridurrebbero anche le emissioni in media di circa il 90% rispetto ai livelli attuali (nello specifico, del 96% dagli edifici commerciali e residenziali, del 76% dall'uso di materiali, dell'86% dal trasporto di passeggeri e merci e di oltre il 99% dalla gestione dei rifiuti solidi) raggiungendo quindi anche quasi la neutralità carbonica come richiesto dagli scienziati del clima a livello mondiale, e il tutto usando tecnologie già note e disponibili, senza quindi agognare a qualche soluzione tecnologica del futuro. Una città carbon neutral effettivamente al 100% con zero emissioni nette si potrebbe raggiungere entro la metà del secolo solo con un dispiegamento ancora più aggressivo delle misure esistenti o con ulteriori innovazioni.
Nello specifico, sul totale del potenziale di abbattimento, il 58% della riduzione delle emissioni deriverebbe dal settore degli edifici, il 21% dai trasporti, il 16% dall’efficienza dei materiali e il restate 5% dal settore dei rifiuti; settori ove si è concentrata questa ricerca in quanto, come si ribadisce più avanti, di diretta competenza delle amministrazioni locali. La metà del potenziale di abbattimento identificato in questa analisi deriva dalla decarbonizzazione dell'elettricità consumata a livello urbano, principalmente attraverso la generazione di elettricità da fonti rinnovabili come il solare, l’eolico, l’idroelettrico, la biomassa e la geotermia. Oltre al beneficio dovuto alla riduzione delle emissioni climalteranti, vi sarebbero anche altri benefici relativi alla riduzione delle emissioni inquinanti, lasciandoci quindi un’aria più respirabile, una minore congestione del traffico urbano con conseguenti migliori servizi ai cittadini e un aumento della produttività locale.  
In uno scenario del genere, non si avrebbe soltanto un pianeta con un’aria più respirabile, si godrebbe anche di un clima più fresco. Infatti, il rapporto calcola che una tale riduzione delle emissioni climalteranti nelle città contribuirebbe per circa la metà a mantenere gli aumenti della temperatura terrestre entro i due gradi centigradi, come previsto dagli Accordi di Parigi. Al contrario, se non si agisce subito, il rapporto cita le stime elaborate da un gruppo di enti di ricerca sul clima (New Climate Institute, Ecofys e Climate Analytics) che prevedono un innalzamento della temperatura media di 3° C rispetto ai livelli pre-industriali entro la fine del secolo. Si ribadisce ancora una volta che per mantenere il riscaldamento globale non superiore a 1,5 ° C sopra i livelli pre-industriali, le emissioni di anidride carbonica dovranno quasi dimezzare entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, e poi azzerarsi intorno al 2050.
I benefici globali di una riduzione delle emissioni deriverebbero anche dai minori costi per la spesa sanitaria, da una maggiore inclusione sociale e da aumenti della produttività. Senza contare gli 87 milioni di nuovi posti di lavoro che si creerebbero entro il 2030, in particolare nel settore della riqualificazione energetica degli edifici, e i 45 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050, in particolare nel settore dei trasporti. Con un tale approccio e, quindi, intensità dell’investimento, i costi di molte azioni, per esempio nel campo dell’illuminazione pubblica, dei veicoli elettrici e del miglioramento del sistema della mobilità si ripagherebbero in tempi brevissimi (meno di cinque anni), di fatto si ripagherebbero da sole. Per alcuni settori, come ad esempio l’illuminazione pubblica, si è già molto vicini a questo obiettivo e diverse amministrazioni pubbliche ne stanno approfittando.
Governo locale e nazionale possono collaborare?
La capacità operativa delle amministrazioni locali risulta però limitata a causa di alcune barriere. Se da un lato il contributo che le città, così come la società civile e il settore privato, possono dare risulta fondamentale per affrontare l’emergenza climatica, c’è da considerare che questi soggetti non hanno impegni vincolanti nell’ambito degli Accordi di Parigi o in altri strumenti di politica climatica. Sono i Governi nazionali ad avere degli impegni vincolanti da rispettare. Si torna quindi sull’idea già espressa diverse volte di una maggiore sinergia tra i diversi livelli di governance. In teoria, i Governi nazionali hanno formalmente riconosciuto l’importanza delle città nel momento in cui hanno adottato l’obiettivo n. 11 degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG11) che impegna i Paesi a “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”.  Ma dalla teoria è necessario passare alla pratica con un’azione concreta. L’ideale sarebbe che l’iniziativa partisse proprio dai governi nazionali; al momento, si illustra nel rapporto, meno del 40% delle Nazioni ha definito una propria strategia per le aree urbane e al momento solo sette Paesi in tutto il mondo hanno approntato dei Piani nazionali per le politiche urbane che affrontano contemporaneamente i temi delle aree cittadine e dei cambiamenti climatici. Altrimenti, la maggior parte dei Paesi tratta i due temi separatamente facendo giusto riferimento al tema dell’adattamento e della resilienza. Sempre più si dovrà lavorare in stretta sinergia su questi temi perché i Paesi che diventeranno leader domani sono quelli le cui città realizzeranno con successo una transizione equa e sostenibile verso una nuova economia urbana. Già definiti come i principali centri di produzione e consumo, quello che succederà nelle città nel prossimo decennio sarà di fondamentale importanza per i paesi di tutto il mondo. I decisori politici nazionali, con le loro scelte di indirizzo generale, possono aiutare a mettere le città sulla strada della prosperità e della resilienza, o, al contrario, del declino e della vulnerabilità.
Tra i casi concreti analizzati nel rapporto, ove i governi nazionali e locali hanno lavorato insieme per migliorare profondamente la qualità della vita nelle città, per l’Europa viene citata la città di Copenaghen il cui Piano Clima 2025 avevamo già presentato . Nella capitale danese una joint venture tra il governo nazionale e quello locale fu creata nei primi anni ’90 proprio per costruire e gestire la metropolitana che aprì la sua prima linea nel 2002. Già dopo il primo anno gli spostamenti in auto sono diminuiti in media di circa il 3% durante i giorni feriali. Il 29 settembre è stata inaugurata la nuova Circle Line (M3), realizzata come le prime due linee da aziende italiane, con una grande festa in città e mezzi pubblici gratis per tutti per tutto il giorno, che attirerà sul servizio di trasporto pubblico circa 100.000 nuovi passeggeri al giorno. La cultura della bicicletta dagli anni ’70 (il 43% degli spostamenti casa-lavoro-scuola avviene oggi in bicicletta) e un’opportuna tassazione nazionale sull’acquisto e mantenimento di un’auto privata (a Copenaghen ci sono 360 auto per 1.000 abitanti mentre Roma ne ha 641) hanno fatto il resto. E dire che lo sviluppo di Copenaghen poteva essere diverso visto che subito dopo la II Guerra Mondiale si era impostato uno sviluppo urbano (Finger Plan) basato su cinque arterie autostradali lungo le quali si sarebbe espansa la città. L’aumento dei prezzi del petrolio e la forte opposizione pubblica hanno spinto il Governo nazionale a prendere provvedimenti costituendo l’Autorità Regionale di Copenaghen Capitale per facilitare una pianificazione dei trasporti e della mobilità integrati e, di fatto, modificare il piano di sviluppo della città. Molte città a rapida crescita si trovano oggi nella stessa posizione: investire in un sistema basato sull’utilizzo delle auto private o sulla connettività urbana?
Questo ed altri esempi dimostrano come la scala e il ritmo del cambiamento necessari per raggiungere gli obiettivi delineati dal SDG11 e fare in modo che le città diventino carbon neutral sono sia tecnicamente che politicamente fattibili. Le città di Londra e Montreal hanno già evidenziato, ad esempio, il netto disaccoppiamento tra lo sviluppo economico del proprio territorio e le emissioni pro-capite di gas climalteranti. Ovviamente, l’obiettivo di città a zero emissioni non potrà essere raggiunto senza significativi progressi nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze che, in alcune regioni del mondo, rende la sfida ancor più stimolante. Quasi tre quarti (71%) del potenziale di abbattimento delle emissioni a livello urbano identificato in questa analisi si trovano in paesi al di fuori dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che identifica, in generale, il gruppo dei paesi più industrializzati. Le città cinesi rappresentano il 22% e le città indiane rappresentano il 12% delle riduzioni delle emissioni identificate. Nei paesi OCSE, nel frattempo, oltre la metà del potenziale di abbattimento urbano si trova nelle città degli Stati Uniti, che rappresentano il 15% del potenziale globale. I governi nazionali e statali in Cina, India e Stati Uniti hanno quindi ruoli particolarmente importanti da svolgere nel sostenere una transizione urbana a zero emissioni.
fonte: www.ilcambiamento.it

Bubble, il taxi su acqua elettrico e a energia rinnovabile













È stato presentato a Parigi, Sanit-Tropez e Miami il prototipo di un aliscafo elettrico progettato per fare servizio di taxi sui corsi d'acqua delle città. A zero emissioni, zero rumore e con le fonti rinnovabili.


Il prototipo è stato ideato dalla startup SeaBubbles, fondata da Alain Thébault, un marinaio francese che da anni sperimenta la mobilità sostenibile su acqua.
Insieme a Anders Bringdal, quattro volte campione del mondo di windsurf, da qualche anno lavora al progetto Bubble, con l'idea di ridurre la congestione del traffico nelle città, sfruttando i corsi d'acqua.

Bubble, infatti, è stato concepito come un "taxi d'acqua": un modo veloce, sostenibile e a emissioni zero per la mobilità pubblica sostenibile. "Le città sono inquinate e congestionate dal traffico" spiega Bringdal. "Molte città hanno corsi d'acqua che potrebbero essere utilizzati per spostarsi in città. Con Bubble, lo possiamo fare in modo veloce, economico e a zero emissioni".


Bubble ha due motori elettrici, ognuno dei quali ha una potenza di 18 kW. La batteria è, invece, da 41 kW/h e agli ioni di litio, con un'autonomia di 2 ore e mezza.
L'imbarcazione ha cinque posti e può raggiungere i 32 chilometri orari. La struttura portante è realizzata con una combinazione fra fibra di carbonio e vetr, per ottimizzare resistenza e leggerezza.

Ma la cosa più sorprendente è che riesce a sollevarsi dall'acqua come un aliscafo: una volta raggiunti i 12 chilometri orari, Bubble si solleva su delle idroali e naviga a 40 cm sopra il livello acqua. In questo modo la navigazione risulta più efficiente, meno rumorosa. evitando qualsiasi problema di mal di mare procurato dal rollio delle onde.

La ricarica della batteria avviene durante le fasi di imbarco e sbarco dei passeggeri: Bubble si aggancia a un molo che funge da stazione di ricarica. Progettate dall’architetto oceanografo Jacques Rougerie specializzato in installazioni sottomarine, le dock station per la ricarica di Bubble ospitano idrogeneratori, con motori a turbina sommersi che sfruttano il moto delle onde, pannelli solari e generatori eolici per produrre energia che viene immagazzianta in batterie al litio.

Il progetto include una App per le prenotazioni online, con un sistema di geolocalizzazione che permette all’utente di individuare il dock più vicino e prenotare un posto, in funzione della destinazione e dell’orario.

Speriamo di vederle presto anche in qualche città italiana, visto che sono molte quelle che hanno corsi d'acqua navigabili.

fonte: http://www.nextville.it

Brenner to Oslo: dall’Italia alla Norvegia con una 500e

Con Allacarica.it, il sito che racconta l’evoluzione della mobilità sostenibile, la storia della spedizione a zero emissioni




La mobilità elettrica non ha ancora ottenuto lo spazio che merita, per il momento, per una manciata di motivi che a voler ben vedere sono sempre gli stessi: carenza di modelli elettrici sul mercato; scarsa diffusione delle infrastrutture di ricarica sul territorio nazionale; barriere culturali che vedono soprattutto nella cosiddetta “range anxiety”, l’ansia da autonomia, un nemico quasi invincibile. Eppure c’è chi è già in grado di dimostrare come in ambito europeo questi limiti non ci siano più, e che con un veicolo elettrico si possano fare anche viaggi più lunghi. Come dall’Italia alla Norvegia, ad esempio, che in auto elettrica può essere fatto anche in meno di 24 ore. Non in Tesla, ma… udite udite: con una Fiat 500 elettrica.

Ci è voluto un po’ di tempo in più, ma anche FCA è arrivata alla stessa conclusione di molti suoi concorrenti: il futuro è elettrico. E così, dopo il fallito tentativo di unire le forze con Renault e Nissan, colossi già da tempo impegnati nel produrre modelli ad emissioni zero, il marchio italo-americano ha deciso puntare sulla 500 elettrica. Già prodotta in Messico per il mercato USA (o meglio, californiano), la compatta torinese verrà presto realizzata anche in Italia per il mercato europeo. Sono 80mila le Fiat 500 elettriche che verranno prodotte a Mirafiori: un investimento pari a 700 milioni di euro che rientra in un piano da 5 miliardi di euro investiti nel Belpaese da qui al 2021.




Per quanto l’idea di vedere una 500 elettrica possa sembrare rivoluzionaria, c’è chi ci ha pensato già qualche anno fa. Come Gianfranco Pizzuto, pioniere italiano dell’emobility noto non solo per essere stato nel 2007 socio co-fondatore della Fisker Automotive, ma anche e soprattutto per aver cercato (per ora inutilmente) di rilanciare il marchio Lancia in chiave elettrica e per avere intuito per primo l’enorme potenziale di una 500 full electric. Tanto da averne avviato negli scorsi anni l’importazione dalla California.



Diffondere la 500 elettrica in Europa, per Pizzuto, senza il supporto di Fiat e con una burocrazia soprattutto in Italia tale da dissuadere anche i più pazienti ed appassionati, si è rivelato molto più difficile del previsto. Tanto da portare all’abbandono di questo progetto, ma allo stesso tempo all’avvio di altri. Ad esempio, sulla sua 500e – che resta comunque “la seconda auto di casa” (la prima è una Jaguar iPace, essendo lui anche Brand EV ambassador per JLR Italia) Gianfranco Pizzuto ha brevettato un nuovo tipo di batteria, che utilizza una resina bi-componenteaddizionata di grafene che permette di aumentare notevolmente le proprietà di dissipazione del calore. Un sistema questo che aumenta anche la sicurezza in caso di incidente limitando il pericolo del cosiddetto “thermalrunaway”, ossia il possibile innesco di una reazione chimica a catena che può far incendiare le batterie agli ioni di litio.





Ora, per Gianfranco ed il suo team, Scuderia E, c’è una nuova sfida da vincere. Anzi, un record da compiere: andare dal Brennero ad Oslo in meno di 24 ore. Si chiama appunto “In 24 hours from Brennero to Oslo with an electric Fiat 500”, iniziativa tutta italiana sponsorizzata da Ionity, joint venture tra BMW Group, Daimler AG, Ford Motor Company e Volkswagen Group con Audi e Porsche con un chiaro obiettivo: costruire una rete di ricarica ad alta potenza per veicoli elettrici lungo le principali autostrade in Europa.

Allacarica.it, media partner dell’evento, seguirà dal vivo questa impresa, raccontandone via social in diretta i dettagli ed i retroscena più interessanti per capire quali sono i reali limiti ed opportunità che si nascondono dietro la pianificazione di un lungo viaggio con un’auto elettrica. L’appuntamento è per il 31 agosto, quando da Merano ci si incamminerà appunto verso la Scandinavia.

Come si dice in questi casi, quindi, “Stay tuned!”, perché prossimamente vi daremo maggiori dettagli sia sulla spedizione che sull’auto che verrà utilizzata.


Andrea Bertaglio


fonte: www.lastampa.it

Regno Unito, svolta green: primo Paese al mondo a proclamare emergenza climatica

Approvata dalla Camera dei comuni la mozione laburista. Obiettivo: livello zero di emissioni nocive prima del 2050, incremento delle fonti rinnovabili, progetti di economia verde e taglio dei rifiuti










Il Regno Unito proclama l’emergenza climatica, accelerando il cammino verso la propria svolta green: è, infatti, il primo Paese al mondo a farlo. La Camera dei Comuni britannica ha approvato la mozione presentata nei giorni scorsi in aula dal leader del Labour, Jeremy Corbyn e invocata dai movimenti ecologisti in una serie di manifestazioni di piazza. La sfida laburista al governo Tory si traduce in diversi obiettivi concreti: il raggiungimento del livello zero di emissioni nocive prima della data finora indicata del 2050, l’incremento delle fonti rinnovabili, ma anche progetti di economia verde e un taglio dei rifiuti.
LA MOZIONE LABURISTA – Presentando la mozione, Jeremy Corbyn aveva parlato di un “dovere storico”, sottolineando che non c’è più tempo da perdere: “Viviamo una crisi globale” ha detto, sottolineando come questa situazione sia legata ai cambiamentidel clima e sia stata generata anche dalle azioni dell’uomo. Un crisi, ha ribadito, che rischia di portarci “pericolosamente in una spirale fuori controllo, a meno di azioni rapide e marcate”. La principale è proprio quella di tagliare drasticamente le emissioni di CO2 già entro il 2030. Non si tratta di una data a caso: secondo il rapporto Global Warming presentato a fine 2018 dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), se si dovesse continuare a emettere la stessa quantità di CO2, l’aumento di temperatura del pianeta supererà il grado e mezzo proprio nel 2030. Un disastro da evitare a tutti i costi perché a quel punto non si potrebbe più tornare indietro. Abbiamo meno di dodici anni.

IL DIBATTITO IN AULA E L’ACCUSA A TRUMP – Nel dibattito alla Camera, rispondendo a Corbyn, il ministro dell’Ambiente Michael Gove non ha appoggiato la mozione, pur riconoscendo l’esistenza di un’emergenza. “Può essere l’inizio di una serie di azioni” ha dichiarato Corbyn, commentando l’approvazione a una folla di ambientalisti. E guardando Oltreoceano: “Prendiamo l’impegno di lavorare con altri Paesi per allontanare la catastrofe climatica e per rendere chiaro a Donald Trump che non può ignorare gli accordi internazionali”. Ma il presidente degli Stati Uniti non è certo l’unico ostacolo da superare, se, come ha ricordato il Guardian, lo stesso candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti Beto O’Rouke, che ha sposato il Green new deal, in realtà ha a lungo appoggiato l’industria del carbone, votando due volte per revocare le restrizioni di lunga data sull’esportazione del petrolio e votando con i repubblicani, nei suoi sei anni come deputato al Congresso, più di quanto abbiano fatto i suoi colleghi dem, inclusi alcuni importanti voti su iniziative legate al clima.
IL SOSTEGNO ALL’INIZIATIVA – L’emergenza climatica è stata già proclamata dal Comune di Londra su proposta del sindaco laburista, Sadiq Khan, ma negli ultimi mesi sono complessivamente 59 i comuni del Regno Unito che si sono impegnati per tagliare le emissioni, da Edinburgo a Oxford, da Cambridge a Newcastle. Tant’è che l’emergenza climatica è stata annunciata anche dai governi locali di Galles e Scozia. Qui, la prima ministra Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party, aveva parlato di ‘emergenza climatica’ già nei giorni scorsi. Durante un congresso del suo partito, infatti, la premier aveva annunciato che il governo avrebbe agito immediatamente di fronte a un input del comitato di esperti sul clima del Regno Unitorispetto all’urgenza di ridurre la produzione di CO2. Un cambio di rotta rispetto a quando gli stessi deputati Snp avevano votato contro la mozione dei Verdi scozzesi di dichiarare l’emergenza climatica. Un’opposizione che aveva spinto i militanti ecologisti di Extinction Rebellion a compiere tre incursioni al Parlamento scozzese. D’altronde in tutto il Regno Unito, il sostegno all’iniziativa di dichiarare l’emergenza climatica arriva anche dalla strada, come dimostra la partecipazione alle proteste ambientaliste di Londra di questi giorni, a cui hanno preso parte i gruppi ecologisti radicali come Greenpeace e, appunto, Extinction Rebellion e la sinistra giovanile britannica Momentum.
fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Costa Rica: presentato il piano per la decarbonizzazione 2050

Investimenti in infrastrutture, trasporto pubblico, conversione da petrolio a idrogeno e riforestazione: queste alcune delle misure contenute nel piano sostenibilità del Costa Rica.

















Il Costa Rica ha presentato un piano per la decarbonizzazione del Paese entro il 2050:“Se dovessimo raggiungere i nostri obiettivi i nostri nipoti nel 2035 avranno la stessa carbon footprint dei nostri nonni nel 1940 – ha affermato il Ministro dell’Ambiente costaricano Carlos Manuel Rodríguez – e per il 2050, i loro figli non ne avranno alcuna”.
Il programma della nazione centroamericana è ambizioso: mantenere la crescita economica (lo scorso anno, il Costa Rica ha registrato un aumento del Pil del 3%), abbattere le emissioni di CO2 e investire in infrastrutture sostenibili sono alcuni dei punti inseriti nel piano.

Circa il 40% delle emissioni di gas serra in Costa Rica proviene dal comparto trasporti: di qui la scelta di investire fortemente nel settore al fine di modernizzarlo. Il piano prevede il dimezzamento delle auto circolanti in aree urbane entro il 2040; l’utilizzo di almeno il 70% di bus elettrici e di almeno il 25% di auto entro il 2035; il 100% del trasporto pubblico (taxi, bus e treni) alimentato da energia elettrica entro il 2050. Tra le grandi opere annunciate anche la costruzione entro il 2022 di una linea ferroviaria elettrica che colleghi 15 delle 31 città sorte nei dintorni della capitale San Jose: un servizio che dovrebbe garantire la mobilità quotidiana di almeno 250 mila residenti nell’area metropolitana capitale (circa 1 milioni di abitanti).

Fonti alternative al posto del petrolio: il programma chiede uno sforzo di conversione alla maggiore società di distribuzione petrolifera, la Astra, di proprietà statale, che già da tempo ha avviato progetti di ricerca e investimenti su idrogeno e biocarburanti per alimentare mezzi pesanti e navi cargo.


Più complesso il discorso fondi: dal momento che il Costa Rica non possiede propri giacimenti, buona parte delle entrate statali proviene dalle tasse sull’importazioni di carburanti. L’abbandono del sistema basato sulle energie fossili porterebbe a un drastico calo del budget statale (cui i dazi sulle importazioni di carburanti esteri contribuiscono per il 12%): per sopperire a questa mancanza, il piano prevede l’introduzione di non meglio specificate “tasse verdi”.

La nazione centroamericana è già tra i leader ambientalisti della regione: se negli anni ’60 e ’70, il Costa Rica aveva il maggior tasso di deforestazione pro capite al mondo, negli anni ’80, le foreste avevano riguadagnato circa il 25% del territorio e nel 2013 il 50%. Secondo i dati riportati dall’Istituto per l’Elettricità del Costa Rica, lo scorso anno il 98% dei consumi elettrici è stato soddisfatto da fonti rinnovabili.

C’è ancora molto da fare ma si tratta sicuramente di un passo nella direzione giusta: “E’ giusto essere ambiziosi – ha commentato Jairo Quiros, ricercatore presso l’Università del Costa Rica intervenuto per smorzare i facili entusiasmi dei propri amministratori richiamandoli sul grande lavoro da fare per raggiungere gli obiettivi del piano, a suo avviso ‘un po’ utopico’ – Non sarà facile, ma credo che questo programma possa spingere il Paese verso una trasformazione come nessun’altra di quelle osservate negli ultimi decenni”.

fonte: www.rinnovabili.it