La più grande indagine mondiale sui cambiamenti climatici

Il 64% delle persone ritiene che il cambiamento climatico sia un'emergenza globale











Sono disponibili i risultati del Peoples ’Climate Vote, la più grande indagine mondiale mai condotta sull'opinione pubblica sul cambiamento climatico. Coprendo 50 paesi con oltre la metà della popolazione mondiale, il sondaggio ha coinvolto oltre mezzo milione di persone di età inferiore ai 18 anni, una fascia di età chiave sul cambiamento climatico che in genere ancora non vota alle elezioni e quindi non incide sulle politiche dei governi.

I risultati dettagliati suddivisi per età, sesso e livello di istruzione saranno condivisi con i governi di tutto il mondo dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), che ha organizzato il sondaggio innovativo con l'Università di Oxford. In molti paesi partecipanti, è la prima volta che vengono condotti sondaggi su larga scala dell'opinione pubblica sul tema del cambiamento climatico. Il 2021 è un anno fondamentale per gli impegni di azione per il clima dei paesi, con un ciclo di negoziati chiave che si terrà al vertice delle Nazioni Unite sul clima a novembre a Glasgow, nel Regno Unito.

Nel sondaggio, agli intervistati è stato chiesto se il cambiamento climatico fosse un'emergenza globale e se sostenessero diciotto politiche climatiche chiave in sei aree di azione: economia, energia, trasporti, cibo e agricoltura, natura e protezione delle persone.

I risultati mostrano che le persone spesso vogliono politiche climatiche di ampio respiro oltre lo stato attuale dei lavori. Ad esempio, in otto dei dieci paesi oggetto dell'indagine con le più alte emissioni del settore energetico, la maggioranza richiede più energie rinnovabili. In quattro dei cinque paesi con le maggiori emissioni dovute al cambiamento dell'uso del suolo, la maggioranza è favorevole alla conservazione delle foreste. Nove paesi su dieci con le popolazioni più urbanizzate hanno sostenuto un maggiore utilizzo di auto e autobus elettrici puliti o biciclette.



L'amministratore dell'UNDP Achim Steiner ha dichiarato: "I risultati del sondaggio illustrano chiaramente che l'azione urgente per il clima ha un ampio sostegno tra le persone di tutto il mondo, di nazionalità, età, sesso e livello di istruzione. Ma più di questo, il sondaggio rivela come le persone vogliono che i loro responsabili politici affrontino la crisi. Dall'agricoltura rispettosa del clima. alla protezione della natura e all'investimento in una ripresa verde, l'indagine porta la voce delle persone in prima linea nel dibattito sul clima. Indica i modi in cui i paesi possono andare avanti con sostegno pubblico mentre lavoriamo insieme per affrontare questa enorme sfida ".

L'innovativo sondaggio è stato distribuito attraverso le reti di gioco mobile al fine di includere un pubblico difficile da raggiungere nei sondaggi tradizionali, come i giovani sotto i 18 anni. Esperti di sondaggi presso l'Università di Oxford hanno ponderato l'enorme campione per renderlo rappresentativo dell'età, dei profili di genere e di formazione scolastica dei paesi presi in esame, con margini di errore ridotti del +/- 2%.

Le politiche hanno avuto un sostegno ad ampio raggio, con le più condivise la conservazione delle foreste (54% di sostegno pubblico), più energia solare, eolica e rinnovabile (53%), l'adozione di tecniche agricole rispettose del clima (52%) e l'investimento maggiore nella green economy (50%).

Il Prof.Stephen Fisher, Dipartimento di Sociologia, Università di Oxford, ha dichiarato: "Climate Vote ha fornito un tesoro di dati sull'opinione pubblica che non abbiamo mai visto prima. Il riconoscimento dell'emergenza climatica è molto più diffuso di quanto si pensasse. Abbiamo anche scoperto che la maggior parte delle persone desidera chiaramente una risposta politica forte e di ampia portata ".

Il sondaggio mostra un collegamento diretto tra il livello di istruzione di una persona e il suo desiderio di azione per il clima. C'è stato un riconoscimento molto alto dell'emergenza climatica tra coloro che avevano frequentato l'università in tutti i paesi, dai paesi a basso reddito come il Bhutan (82%) e la Repubblica Democratica del Congo (82%), ai paesi ricchi come la Francia ( 87%) e Giappone (82%).

Quando si parla di età, i giovani (sotto i 18 anni) sono più propensi a dire che il cambiamento climatico è un'emergenza rispetto alle persone anziane. Tuttavia, altri gruppi di età non hanno dato risultati molto diversi, con il 65% di quelli di età compresa tra 18 e 35 anni, il 66% di età compresa tra 36 e 59 anni e il 58% di quelli con più di 60 anni, a dimostrazione di quanto sia diventata diffusa questa visione.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Coreplay, con Corepla anche la scuola gioca per salvare l’ambiente

In palio una borsa di studio per l’istituto che si posizionerà in testa alla classifica




Imparare, giocando, a differenziare la plastica, un materiale che se correttamente gestito e riciclato può dar vita a una moltitudine di altri oggetti. Un modo innovativo, dinamico e divertente che utilizza anche i social media per imparare, creare nuove connessioni e approfondire i temi cruciali per il futuro del pianeta: è l’iniziativa Coreplay, promossa da Corepla – il Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli imballaggi in plastica – che coinvolge studenti e insegnanti delle Scuole Secondarie di tutto il territorio nazionale e li educa ai grandi temi della sostenibilità ambientale e dell’economia circolare.

“La sensibilizzazione sul rispetto dell’ambiente – sottolinea Giorgio Quagliuolo, Presidente di Corepla – deve necessariamente passare per le giovani generazioni, i futuri cittadini di domani. Corepla da sempre collabora col mondo scuola fornendo tanti strumenti per il corretto approccio alla tematica della sostenibilità ambientale e con questo nuovo format dedicato alle superiori i ragazzi potranno facilmente imparare a distinguere e raccogliere in maniera differenziata gli imballaggi in plastica, risorse preziose alle quali tutti noi possiamo offrire una seconda vita”.

A vincere una borsa di studio sarà la Scuola Secondaria che avrà registrato la percentuale maggiore tra ragazzi che hanno partecipato in rapporto all’intera popolazione studentesca.

L’iniziativa Coreplay: impara, gioca e vinci

Il progetto Coreplay coinvolge le Scuole Secondare italiane a più livelli: da un lato gli insegnanti saranno chiamati a esplorare, insieme agli studenti, tutto quello che c’è da sapere sul ciclo di vita degli imballaggi e sul corretto conferimento della plastica.

Dopo aver appreso le nozioni principali, sarà il turno degli studenti che dovranno sfidarsi “a colpi di testa” per cercare di guadagnare il punteggio più alto raccogliendo in un bidoncino virtuale unicamente gli imballaggi in plastica.

Per giocare basterà collegarsi all’account Instagram @corepla_consorzio e cliccare sul filtro che si trova sulla pagina. Per selezionare gli imballaggi di plastica e metterli nella raccolta differenziata basterà muovere la testa a sinistra o a destra. Ogni imballaggio corretto varrà 2 punti, mentre si perde un punto se si raccoglie un oggetto diverso dagli imballaggi.

A sfida conclusa bisognerà fare uno screenshot del punteggio ottenuto e caricarlo sul sito www.coreplay.it

Si aggiudicherà la borsa di studio la Scuola i cui studenti avranno partecipato più numerosi, concorrendo al miglior rapporto tra contributi caricati e alunni iscritti all’Istituto.

fonte: www.rinnovabili.it


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Comunità dell’energia rinnovabile, in provincia di Napoli si parte

L’iniziativa, promossa da Legambiente, coinvolgerà 40 famiglie di San Giovanni a Teduccio, in un progetto di condivisione da fotovoltaico contro la povertà energetica.










Parte anche da Napoli la “rivoluzione energetica” delle comunità dell’energia rinnovabile, con un progetto promosso da Legambiente che coinvolge la Fondazione Famiglia di Maria e 40 famiglie del quartiere di San Giovanni a Teduccio.

Sul tetto della sede della fondazione sarà infatti installato un impianto solare da 53 Kw e per la prima volta in Italia l’energia prodotta sarà condivisa con le famiglie del quartiere.

Nei prossimi giorni – spiega Legambiente – sarà costituita formalmente la comunità energetica e il 22 marzo partirà il cantiere che durerà circa dieci giorni. Successivamente verrà fatta domanda di allaccio alla rete elettrica, e nel mese di aprile l’impianto inizierà a funzionare con la distribuzione di energia pulita alla Fondazione e alle famiglie.

“Il progetto – sottolineano i promotori – sarà il primo a essere realizzato in attuazione del Decreto Milleproroghe 2020”, che ha recepito la Direttiva 2001/2018 sulle comunità energetiche per progetti fino a 200 kW (anche se, come abbiamo scritto, in queste settimane diverse altre iniziative analoghe sono in fase avanzata: ad esempio una comunità energetica sarà inaugurata il 12 marzo a Magliano Alpi, in Piemonte, e una si sta realizzano a Paternò, provincia di Catania).

Grazie a questa innovazione normativa, nata da un emendamento di Legambiente e Italia Solare votato da tutti i partiti, si ricorda, la proprietà degli impianti e l’energia prodotta può essere condivisa attraverso la rete. È previsto poi entro quest’anno il completo recepimento della direttiva europea, per cui questo tipo di progetti di energia pulita e condivisa potrà avere uno grande sviluppo in tutto il Paese.

“In Italia ci sono oltre due milioni di famiglie in condizione di povertà energetica, che oggi possiamo aiutare con l’autoproduzione e condivisione di energia da rinnovabili e attraverso interventi che riducono i consumi delle abitazioni come prevede il progetto che porteremo avanti a San Giovanni a Teduccio”, commentano Edoardo Zanchini e Mariateresa Imparato, rispettivamente vicepresidente nazionale e presidente regionale di Legambiente.

“Il rilancio del Sud – proseguono -passerà per progetti di questo tipo, che valorizzano il contributo del sole dentro progetti di rigenerazione sociale e urbanistica. La transizione ecologica di tutte e tutti che parte dal basso e tiene dentro al cambiamento le comunità”.

L’impianto solare di San Giovanni a Teduccio sarà realizzato dall’impresa 3E di Napoli. Il lavoro di Legambiente e di Fondazione Famiglia di Maria continuerà con le bambine e i bambini, le mamme e le associazioni del quartiere. Saranno protagonisti di percorsi di educazione ambientale, di azioni di cittadinanza attiva monitorando i loro consumi e elettrici e le dispersioni di calore delle loro abitazioni attraverso la campagna Civico 5.0 sulla qualità dell’abitare, info day per scuole superiori sulle possibilità occupazionali legate ai green jobs e per le associazioni e cittadini del quartiere su bonus e occasioni per migliorare la qualità dell’abitare e del vivere e abbassare costi e consumi.

fonte: www.qualenergia.it


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Spreco alimentare: storie di inclusione e senso di comunità

 

Durante la pandemia gli italiani hanno cambiato abitudini alimentari. Hanno cucinato di più, mangiato più spesso a casa e riscoperto il rito del pranzo, tutti insieme, tutti i giorni. Secondo un sondaggio commissionato da Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability (rilevazione Ipsos), siamo stati più bravi e attenti in cucina. Nel 2020 abbiamo buttato via l’11,78 per cento di cibo in meno rispetto all’anno prima: 529 grammi a settimana.


Il numero in sé sembra incoraggiante ma le nostre abitudini raccontano una realtà diversa. Sempre secondo i dati Ipsos, infatti, nel 2020 abbiamo comprato troppo, calcolato male quello che ci serviva e lasciato deperire il cibo acquistato. Frutta e verdura sono gli alimenti che più di tutti sono finiti nei rifiuti insieme a due cibi simbolo del lockdown: il pane e la pizza.

Cresce, quindi, la consapevolezza degli italiani sul tema dello spreco alimentare. Si inizia a comprendere che ridurre le perdite significa un minore impatto ambientale e più cibo per tutti, soprattutto per chi in questa fase di emergenza sta pagando il prezzo più caro. Ma la strada è ancora lunga e le soluzioni che favoriscono un reale cambio di abitudini, cultura e mentalità, che vanno oltre la colletta alimentare e le ricette anti spreco, sono ancora poche. Ma esistono e funzionano.

Spreco alimentare: oltre la semplice beneficenza

In Italia è al Sud che si cucina di più, si mangia di più e si butta via di più. Nelle regioni meridionali finisce tra i rifiuti il 15 per cento del cibo, circa 600 grammi a settimana. Ma è anche l’area del paese che sta dimostrando maggiore sensibilità su questo tema.

Il Parlamento europeo ha chiesto l’impegno collettivo e immediato per combattere lo spreco alimentare. Ed è proprio come una grande azione collettiva che è partita da Bari la macchina di Avanzi Popolo 2.0 , associazione impegnata nella raccolta e distribuzione delle eccedenze alimentari alle persone bisognose e premiata nel 2019 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua lotta allo spreco alimentare.

“Siamo un piccolo gruppo di volontari attivi nel territorio barese. La nostra missione è combattere gli sprechi ma anche diffondere la cultura del food sharing. Chi in casa ha di più può metterlo a disposizione sulla nostra piattaforma online e riempire ceste virtuali da scambiare, da privato a privato” spiega Marco Costantino, volontario e tra gli ideatori del progetto. “Oltre alle ceste virtuali abbiamo creato anche una rete che fa dialogare i luoghi dello spreco con i luoghi del bisogno. Andiamo personalmente a ritirare le eccedenze nei ristoranti, nelle aziende agricole, nei forni e nelle pasticcerie e consegniamo tutto alle comunità locali che poi distribuiscono a chi ha più bisogno. Oppure, riempiamo i nostri “frigoriferi solidali” che abbiamo attivato in luoghi strategici e controllati della provincia barese. Sono aperti a tutti, chi ha bisogno porta via cibo che altrimenti verrebbe buttato via da un supermercato o da un bar”, continua Marco che ci tiene però a precisare che non si tratta di semplice beneficenza o carità. È un meccanismo virtuoso che attraverso il recupero del cibo crea contatti, legami, condivisione e rinforza il senso di appartenenza alla comunità. Le persone costruiscono relazioni, imparano buone pratiche quotidiane che creano valore e forme di scambio e dono.
La soluzione della porta accanto

“Mi piace ricordare il caso di una sala ricevimenti e di un centro diurno”, racconta Marco. Nessuna delle due sapeva dell’esistenza dell’altro, alla porta accanto. La sala ricevimenti aveva eccedenze di cibo proveniente da eventi e banchetti e non sapeva come recuperarli. Noi li abbiamo messi in contatto e da allora le due realtà vicine dialogano, comunicano e scambiano in modo autonomo. E questa è la soddisfazione più grande. Abbiamo scoperto che a nessuno di loro piaceva buttare via il cibo ma non avevano strumenti ed esempi per fare diversamente. Creare questa rete virtuosa sul territorio è una soluzione che fa bene a tutti e crea un forte senso di comunità, fa sentire tutti parte della soluzione”, continua Marco.

Diventare tutti beneficiari

Il progetto di Avanzi Popolo piace perché ha costruito una rete virtuosa che informa educa e stimola buone pratiche sul territorio e per questo ha incuriosito gruppi di volontari in altre città italiane che si stanno organizzando per replicarlo. “Lavoriamo bene con tante aziende e commercianti ma ancora facciamo molta fatica a fare comprendere ai singoli e alle famiglie che in casa abbiamo troppo e che consumare cibo del giorno prima o in scadenza non è motivo di vergogna ma deve essere la normalità. Questo è ancora un grande limite. Praticare il food sharing e diventare tutti beneficiari, e non solo donatori, dovrebbe essere un comportamento normale. Vediamo che qui c’è ancora molta resistenza su questo. Si compra e si produce ancora troppo cibo”, dice Marco.





Collaborazione e scambio interculturale

Collaborazione, educazione e coinvolgimento. Sembra essere questa la soluzione anche per Recup un progetto nato a Milano che agisce in 11 mercati rionali della città per combattere non soltanto lo spreco alimentare ma anche l’esclusione sociale. “A fine mercato un gruppo di volontari recupera il cibo dai commercianti che liberamente decidono di donare i prodotti che altrimenti butterebbero via. Il cibo recuperato viene raggruppato e ogni volontario sarà poi libero di prendere ciò che preferisce, nel rispetto delle altre persone e delle esigenze di tutti”, spiega Lorenzo Di Stasi, volontario e uno dei responsabili di Recup. “Ci sono tanti ragazzi, ma abbiamo anche molti pensionati e persone straniere che partecipano attivamente. I gruppi sono formati da circa 20 persone per mercato e sono aperti e inclusivi. Non lavoriamo in un’ottica assistenzialista e di semplice recupero ma di collaborazione e di scambio interculturale e intergenerazionale. Ognuno prende quello che gli serve e aiuta gli altri”, continua Lorenzo.

I commercianti dei mercati li conoscono e li riconoscono, sono loro stessi a raggiungerli per regalare qualcosa. Di solito sono ortaggi che dovrebbero buttare. Molti di loro, infatti, non hanno celle frigorifere per conservare la frutta e la verdura più deperibile e preferiscono regalare piuttosto che buttare. Non si tratta di un progetto di semplice economia circolare ma crea un tessuto sociale collaborativo e sensibile ai bisogni di tutti, commercianti e le persone comuni.
Funziona subito ed è replicabile

“Nel 2020 Recup ha recuperano più di 25 tonnellate di cibo ma quello che ci ha dato più soddisfazione è la partecipazione attiva di donatori e beneficiari, la collaborazione con altre associazioni milanesi e le richieste che arrivano da tutta Italia per aiutarli a replicare il progetto in altre città. Quando ci chiedono “Vogliamo fare come voi, ci aiutate?” noi siamo felici di dare il nostro supporto. Significa che hanno visto nel nostro Recup una soluzione che può funzionare.

“Il bello di Recup è che fai qualcosa nell’immediato, nell’arco di 2 ore recuperi il cibo che altrimenti verrebbe buttato e ridistribuisci tra le persone che partecipano. Il risultato lo vedi subito e hai la possibilità di interagire con altre persone molto diverse da te. È un lavoro collettivo che coinvolge piccoli commercianti e persone comuni”, racconta Beatrice, una volontaria. Uno degli obiettivi di Recup è anche di restituire dignità a quanti, per necessità, sono costretti a mettere le mani nella spazzatura per cibarsi, per vivere. Ecco perché si lavora in gruppi, nessuno viene lasciato solo in questa attività.
Non è un sistema perfetto

Durante l’emergenza Covid, Recup ha partecipato al programma Dispositivo Aiuto Alimentare messo in campo dal Comune di Milano e ha lavorato nei centri di raccolta in cui vengono convogliati diversi generi alimentari destinati a chi per effetto dell’emergenza è in situazioni di fragilità sociale ed economica. Recup ha partecipato all’assemblaggio dei pacchi all’Ortomercato di Milano e ha salvato la frutta e la verdura che rischiavano di essere buttate per distribuirle a chi ne ha bisogno. “Questo sistema sta funzionando. Finora ha supportato oltre 6.300 nuclei familiari in difficoltà, movimentando complessivamente oltre 616 tonnellate di cibo ogni settimana ed effettuando quasi 50.000 consegne di aiuti alimentari. Ma sicuramente in un periodo così difficile a livello di inclusione si potrebbe fare di più. La distribuzione del cibo che raccogliamo, infatti, non tiene conto di tante persone meno visibili, senza fissa dimora, che spesso restano esclusi. Non riusciamo a raggiungere tutti, non è un sistema ancora perfetto”, sottolinea Lorenzo.

Le attività di queste associazioni, attive da Nord a Sud, possono aiutare a maturare la consapevolezza sul cibo, sull’ambiente e quindi sui problemi sociali generati e collegati allo spreco alimentare. Dimostrano anche che la strada più efficace non è solo quella della beneficenza, del dono e delle ricette per recuperare gli avanzi in casa, ma passa soprattutto dalla creazione di luoghi di scambio, di relazione, convivialità che valorizzano il cibo come strumento di dialogo e inclusione.

fonte: news48.it


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Isde Umbria e Perugia: Perche' e' necessario sottoporre a VIA la richiesta di bruciare CSS Combustibile nel cementificio della Colacem S.p.A e Barbetti di Gubbio?

 


Oggetto: OSSERVAZIONI AI SENSI DELL ART 19 D.LGS 152/2006: Procedura di Verifica di Assog-gettabilità a VIA del Progetto” Utilizzo del CSS-Combustibile” da realizzarsi all’interno della Ce-menteria Colacem spa esistente, sita in Loc. Ghigiano nel Comune di Gubbio Proponente: Società Colacem Spa (cod. pratica 02-94-2021). Comunicazione, pubblicazione, documentazione, proce-dibilità istanza e avvio consultazioni.

Relazione ISDE per parere Colacem definitiva 12-marzo-2021


SistemaSalute: La Rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute

Rivista del Centro Sperimentale per la Promozione della Salute e l'Educazione Sanitaria dell'Università degli Studi di Perugia

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Sistemi di deposito o drs: opportunità e sfide per l’introduzione in italia (1ª parte)

 

Entro il 3 luglio 2021 l’Italia dovrà trasporre in legge nazionale la direttiva UE 2019/904 sulla riduzione dei rifiuti di plastica sull’ambiente, conosciuta anche come direttiva SUP. La direttiva “promuove approcci circolari che privilegiano prodotti e sistemi riutilizzabili sostenibili e non tossici, piuttosto che prodotti monouso, con l’obiettivo primario di ridurre la quantità di rifiuti prodotti”. Basata sul principio “chi inquina paga”, la direttiva rafforza la responsabilità estesa del produttore, già presente nella direttiva 2018/851 sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggi, per tutti i prodotti di plastica monouso, prevedendo l’obbligo per i produttori di coprire al 100% i costi di raccolta e gestione dei rifiuti derivanti dai loro prodotti.

Per i contenitori per bevande, la direttiva SUP suggerisce inoltre esplicitamente agli Stati Membri “l’introduzione di sistemi di cauzione-rimborso” o sistemi di deposito (Deposit Return System o DRS), considerati da molti esperti, tra cui la Corte dei Conti Europea, come l’unico strumento legislativo capace di raggiungere gli obiettivi di raccolta del 77% entro il 2025 e 90% entro il 2029 previsti dalla direttiva stessa.
In Italia però il dibattito a livello politico sui sistemi di deposito non è ancora iniziato. E anche nella "Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 " approvata dal Senato nel novembre 2020 e recante i principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva SUP non c’è menzione dei sistemi di deposito.
Per capire quali sono le opportunità dell’introduzione dei DRS per il riuso / riciclo in Italia e promuovere un dibattito sulla piena applicazione del principio di responsabilità estesa del produttore, Materia Rinnovabile ha intervistato per telefono e per email alcuni esperti provenienti da vari ambiti (ricerca e consulenza sulla gestione dei rifiuti; promozione di politiche ambientali sostenibili; mondo dell’impresa; produzione di macchinari per la raccolta d’imballaggi) e chiesto loro di indicare quali sono alcune delle caratteristiche necessarie di un buon sistema di deposito. Dopo aver raccolto i contributi degli esperti, abbiamo avuto accesso alla visione di una proposta di legge sull’introduzione di un sistema di deposito per bevande in Italia e ne abbiamo intervistato il promotore.
Il risultato è un’inchiesta che pubblichiamo in tre parti; questa la prima.
I sistemi di deposito si basano su un modello economico diverso dai sistemi incentivanti

I sistemi di deposito (DRS) per il riuso/ riciclo sono presenti in 46 paesi da oltre 50 anni. La maggior parte riguardano contenitori per bevande, per i quali il consumatore paga un deposito cauzionale al momento dell’acquisto di un prodotto e la cauzione gli viene resa integralmente al momento in cui l’imballaggio viene restituito. In Europa ci sono diversi paesi che applicano la cauzione sia su imballaggi monouso che su imballaggi riutilizzabili (ad esempio Germania, Estonia, Lituania, etc.). In questi paesi i produttori sono liberi di scegliere quale imballaggio utilizzare e a seconda del tipo di imballaggio dovranno partecipare a uno dei due sistemi. I sistemi di deposito obbligatori per legge sono uno strumento nettamente distinto dai sistemi incentivanti su base volontaria, recentemente usati in Spagna e Gran Bretagna dai produttori di imballaggi per ritardare l’introduzione dei sistemi di deposito (DRS).

Silvia Ricci, responsabile di Comuni Virtuosi: “In Italia si tende a confondere i sistemi di deposito per contenitori di bevande monouso con i sistemi di vuoto a rendere con refill. In realtà si tratta di due sistemi diversi che possono convivere all'interno di un sistema cauzionale. Dal lato del cittadino non cambia nulla perché prevede due percorsi diversi solamente dal momento in cui i contenitori vengono resi al rivenditore. Questa confusione credo sia stata in parte alimentata dalla presenza dei cosiddetti sistemi incentivanti, esistenti solo in Italia, finanziati ultimamente dal Governo. Trattasi di compattatori attraverso i quali si cerca di incoraggiare la raccolta della plastica tramite il compenso di alcuni centesimi di euro, con la speranza che i cittadini oltre alla plastica che metterebbero nel sacco della raccolta differenziata conferiscano in queste macchine compattatrici anche imballaggi che finirebbero abbandonati nell'ambiente. Tuttavia questi sistemi di raccolta incentivanti non possono garantire i vantaggi a livello ambientale ed economico che invece sono ormai riconosciuti da anni ai sistemi di deposito cauzionale. Il modello economico dei sistemi incentivanti è diverso dal modello economico di un vero sistema cauzionale a portata nazionale in cui sono i produttori e i distributori di bevande che organizzano e finanziano al 100% la raccolta e gestione dei rifiuti, invece dei comuni, con i cittadini che oggi pagano larga parte dei costi della raccolta differenziata con le bollette dei rifiuti.” “Venendo al sistema di deposito DRS per il riuso, conosciuto anche come vuoto a rendere con cauzione (che si applica a bottiglie di vetro o in PET che sono riempite più volte) ho notato che esiste in alcuni gruppi ambientalisti, e non solo, l'idea che ci si possa arrivare senza passare per un sistema nazionale che includa anche un sistema DRS per il monouso – continua Silvia Ricci - In alcuni casi è stato detto che un sistema DRS per contenitori per bevande monouso avrebbe addirittura determinato un'incentivazione al consumo di bevande in contenitore monouso rispetto a bevande in contenitori riutilizzabili. In realtà si è visto che la quota di riutilizzabile esistente in uno specifico mercato non è influenzata negativamente da un sistema di cauzione per il monouso, ma al contrario, ci possono essere vantaggi per entrambi i sistemi. Ad esempio, grazie a un'ottimizzazione nell'uso di trasporti e infrastrutture e considerando anche il ruolo del cittadino, che può beneficiare di un punto comune di conferimento per tutti i contenitori, la presenza di un sistema DRS per il monouso può facilitare anche lo sviluppo ed efficacia di sistema DRS per il riuso. Poi è la legislazione che ha un ruolo chiave nell'aumentare la quota d’imballaggi e bevande refillable imponendo per legge quote vincolanti di riuso ai produttori e per ogni tipologia di prodotto.”
Migliorare la logistica dei sistemi di deposito per il riuso per realizzare economie di scala

Enzo Favoino, ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza: “Con la raccolta differenziata non siamo in grado di raggiungere l’obiettivo di recuperare il 90% dei contenitori per bevande così come chiesto dalla legislazione europea. Più vasto è il sistema di deposito, meglio è. Non vedo restrizioni all’implementazione progressiva da un sistema di deposito per il monouso a un sistema di deposito per il riuso. Per le bottiglie in PET gli imballaggi raccolti saranno probabilmente avviati al riciclo, perché grazie al sistema DRS possono essere raccolte in purezza e riciclate in purezza; per il vetro, i contenitori raccolti saranno più probabilmente avviati al riuso.”
“Per far sì che i sistemi di deposito (DRS) per il riuso funzionino bene è necessario ottimizzare e far diventare più efficiente la logistica – continua Favoino.- Fino a quando i sistemi di deposito sono limitati a situazioni locali e su base volontaria non si riesce a realizzare un’economia di scala sulla logistica inversa. Spesso il riuso è attaccato sulla base di analisi di Life Cycle Assesment (LCA) dove si dice che l’utilizzazione di risorse legate al ricondizionamento degli imballaggi riutilizzabili sarebbe maggiore dell’utilizzazione di risorse per produrre imballaggi monouso. Tuttavia, queste analisi spesso sono incomplete perché non prendono in conto i danni derivanti dalla dispersione nell’ambiente dei rifiuti e sovrastimano il contributo negativo dei trasporti. Come dimostrato dal rapporto Reusable vs Single-Use Packaging: A review of environmental impacts di Zero Waste Europe, sono molte le azioni che possono essere fatte per arrivare a una ottimizzazione sia economica che ambientale del riuso: ad esempio la standardizzazione dei formati degli imballaggi; la collassabilità per le cassette dove puoi abbassare le sponde e questo garantisce risparmi sul trasporto presso i centri ricondizionamento. Inoltre è possibile effettuare il pooling, cioè mettere in comune i centri di lavaggio, che non devono dipendere dalla ditta e dalla marca, ma dalla regione geografica. Tutte queste cose incidono positivamente sulla ottimizzazione del sistema e sulla riduzione dei carichi ambientali. Il trasporto è la cosa che incide di più sulle LCA con gli effetti negativi sulle emissioni di gas serra: ma perché dovrei portare i contenitori riutilizzabili a 700 km di distanza?”

Necessario introdurre obiettivi obbligatori per il riutilizzo

Paolo Azzurro, esperto di gestione di rifiuti: “Un sistema di deposito cauzionale dovrebbe sicuramente essere implementato per tutti i contenitori per liquidi alimentari, indipendentemente dal materiale di cui sono fatti. In questo modo si evita che le imprese che non vogliono sostenere i maggiori costi legati all’introduzione del sistema si spostino da un materiale (es. il PET) ad un altro (es. l’alluminio).
Il sistema di deposito (DRS) dovrebbe essere implementato sia per i contenitori monouso da avviare a riciclo, sia per i contenitori riutilizzabili, con target specifici di riutilizzo stabiliti a livello europeo. Al momento, la disciplina introdotta dal legislatore comunitario con le Direttive 851/2018 e 852/2018 di modifica della direttiva rifiuti (Dir. 98/2008/CE) e della direttiva imballaggi (Dir. 94/62/CE) non prevede infatti target obbligatori di riutilizzo, ma lascia agli Stati membri la facoltà di introdurli a livello nazionale nell’ambito della revisione dei regimi EPR.
Con riferimento agli imballaggi in plastica, è emblematico il caso francese, che con la legge conosciuta come “anti-gaspillage” (LOI no 2020-105 du 10 février 2020 relative à la lutte contre le gaspillage et à l’économie circulaire) ha introdotto un obiettivo nazionale di eliminazione degli imballaggi monouso al 2040 e ha disposto l’introduzione di target vincolanti di riutilizzo per gli imballaggi in plastica immessi sul mercato francese da ridefinire ogni 5 anni a partire dal 2021. Nello specifico dei contenitori per bevande in PET, alla luce dei dati relativi ai tassi di intercettazione e avvio a riciclo nei diversi paesi europei, ritengo che non ci siano alternative ai sistemi DRS per il conseguimento degli obiettivi stabiliti dalla Direttiva sulle plastiche monouso (la cd. Direttiva SUP – Dir. 904/2019) ovvero 77% entro il 2025 e 90 entro il 2029.”

Utilizzare lo stesso tipo di plastica per tutte i contenitori di bevande

Alberto Bertone, presidente di Acqua Sant’Anna: “Anche i paesi che spesso consideriamo più indietro di noi hanno già pianificato quando introdurranno un sistema di deposito con cauzione: in Croazia è già funzionante e altri paesi ci arriveranno presto. L’Italia è uno dei pochi stati che non ha ancora deciso dove andrà. A me interessa risolvere il problema del littering e il sistema di deposito cauzionale è la soluzione. Altrimenti lo Stato introduce la plastic tax, una tassazione che non c’entra niente e non riesce a risolvere il problema. Gli imballaggi rappresentano un costo per i produttori. Io metto l’acqua in bottiglie di plastica perché è il consumatore che vuole la plastica, che è trasparente e infrangibile. Se il consumatore volesse il vetro, metterei l’acqua nel vetro”.
Maggiore il numero degli imballaggi inclusi nel sistema di deposito, maggiore la sua efficacia

Filippo Montalbetti, vice presidente dell’ufficio rapporti governativi di TOMRA in Europa Centrale: “Secondo l’esperienza di TOMRA, racchiusa nello White Paper Rewarding Recycling pubblicato a gennaio 2021, per avere un sistema di deposito (DRS) per il riciclo che sia efficace devono essere presi in considerazione quattro principi: performance, convenienza, responsabilità del produttore, integrità del sistema. Il concetto di deposito cauzionale è storicamente legato agli imballaggi per bevande ma in un futuro potrà essere applicato anche ad altri imballaggi. Anche se probabilmente è il primo tipo di sistema di deposito sul quale l’Italia dovrebbe iniziare una discussione perché la direttiva 2019/904 sulle plastiche monouso che deve essere recepita entro luglio va a colpire soprattutto il littering, cioè la dispersione nell’ambiente, dove è molto più facile trovare i contenitori di bevande abbandonati in giro invece che, ad esempio, contenitori per la passata di pomodoro che sono utilizzati prevalentemente per il consumo domestico. I sistemi cauzionali possono però essere applicati a diversi beni di consumo. La Corea del Sud, per esempio istituirà dei sistemi di deposito (DRS) per i bicchieri per il caffè monouso, perché in quel paese hanno un grandissimo consumo di caffee to go”.
“L’esperienza di TOMRA mostra che maggiore è il numero e il tipo di imballaggi inclusi nel sistema, meglio funzionerà il sistema. Questo perché si creano delle economie di scala e si elimina la confusione dei consumatori. Inoltre è importante dire chiaramente che il deposito si applica agli imballaggi, non al prodotto. Ad esempio, nel sistema di deposito in Germania l’acqua è soggetta a cauzione, ma i succhi di frutta no. Per eludere il sistema di deposito, alcuni imbottigliatori hanno immesso sul mercato bevande che sono al 51% succhi e al 49% acqua. Questa situazione di confusione sarà risolta nel 2022 quando anche i succhi di frutta entreranno a fare parte del sistema DRS. Nel 2024 anche il latte entrerà a far parte del sistema DRS tedesco. Il latte e derivati tendenzialmente non fanno parte dei sistemi di deposito per gli imballaggi monouso. Da un punto di vista tecnologico non vi sono problemi per quanto riguarda la raccolta degli imballaggi per il latte. La più grande sfida in questo senso è rappresentata dalla compattazione degli imballaggi (prevalentemente per quanto riguarda le bottiglie in PET). Questo processo può portare allo sversamento di resti di latte e a preoccupazioni legate all’igiene. Diversi paesi come la Norvegia, la Croazia ed alcuni stati dell’Australia e del Canada hanno deciso di includere il latte nel sistema (senza però comprimere l´imballaggio)”.

Indicazioni sull'imballaggio e ritiro automatizzato

Continua Filippo Montalbetti: “Perché un sistema di deposito sia efficace è necessario che sull’imballaggio sia chiaramente indicato il logo del sistema di deposito per permettere un riconoscimento immediato dell’imballaggio da parte dei consumatori e da parte dei rivenditori che optano per il ritiro degli imballaggi vuoti manualmente. Per il ritiro automatizzato è invece fondamentale il barcode, che permette di riconoscere se l’imballaggio è parte del sistema, e dunque autorizzato a essere recuperato nel sistema di deposito”.
“I sistemi di deposito misurano le loro prestazioni attraverso le unità di imballaggi raccolti, non con le tonnellate: questo sistema consente una rendicontazione puntuale e accurata degli imballaggi raccolti. Non tutti i rivenditori devono acquistare macchine per il recupero automatico degli imballaggi, i più piccoli possono fare la raccolta manuale. Le macchine per il recupero degli imballaggi, le cosiddette Reverse Vending Machines, possono essere utilizzate sia per il monouso che per il riuso, la tecnologia alla base è la stessa. È poi importante che il deposito sia conteggiato nella spesa in maniera separata, non solo sullo scontrino ma anche sull´etichetta apposta sullo scaffale e sul prodotto stesso ed è fondamentale che sia rimborsato al 100%. Il sistema di deposito deve inoltre essere il più conveniente possibile per i consumatori. Il modello return-to-retail è il più efficace e il più conveniente per il consumatore e in Europa tutti i sistemi di deposito cauzionale lo applicano con successo, con l’eccezione del sistema islandese, che per via della particolare distribuzione demografica ha optato per un modello return-to-depot.”


(Continua)

fonte: www.renewablematter.eu


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NoCSSGubbio: Comunicato stampa 18 - Gubbio non lascia, raddoppia! Anzi triplica!

 



















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Riciclare impegno da cui dipende nostro futuro, non sprecare e rigenerare in logica sviluppo

Il ministro della Transizione energetica Roberto Cingolani in occasione della Giornata mondiale del riciclo. “Grazie al Recovery plan faremo di tutto per supportare la transizione circolare soprattutto nei centri urbani” per “rafforzare e digitalizzare i sistemi di raccolta differenziata e colmare i gap impiantistici”. Avviato l’aggiornamento della Strategia nazionale sull’economia circolare del 2017, a settembre consultazione pubblica


“Il riciclo dei materiali è un impegno fondamentale per una gestione consapevole del nostro futuro: non sprecare, riutilizzare tutto ciò che è possibile, anche trasformandolo o rigenerandolo, nella logica di uno sviluppo sempre più sostenibile, giusto, inclusivo”. E’ il pensiero del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sui rifiuti espresso in occasione della Giornata mondiale del riciclo, istituita nel 2018 dalla Global recycling foundation per sensibilizzare la comunità internazionale.

“L’attuale crisi pandemica – osserva Cingolani – ha evidenziato il ruolo fondamentale delle nostre città come ambienti resilienti. Ho potuto lavorare per diversi anni su tecnologie e materiali relativi alla seconda vita della plastica. Sono stati anni entusiasmanti: forse in nessun altro settore ho avuto modo di vedere come in così poco tempo alcune delle idee nate nei laboratori siano diventate realisticamente utili. Grazie al Recovery plan – spiega il ministro – faremo di tutto per supportare la transizione circolare soprattutto nei centri urbani, con progettualità innovative che consentano di rafforzare e digitalizzare i sistemi di raccolta differenziata e colmare i gap impiantistici per favorire il riciclo e il recupero di materia. Tutti temi portati nel G20, del quale abbiamo la presidenza”.

Il ministero – viene spiegato – in collaborazione con il ministero dello Sviluppo economico e con il supporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e dell’Enea, ha avviato l’aggiornamento della Strategia nazionale sull’economia circolare del 2017. Il nuovo Piano revisionato sarà messo a consultazione pubblica a settembre. All’interno della Strategia saranno comprese le azioni dell’Italia in coerenza con il Piano europeo di azione sull’economia circolare.

“Un grande lavoro sta riguardando anche il comparto tessile, per supportare il settore nel percorso di transizione ecologica e nel raggiungimento degli obiettivi europei di raccolta e il riciclo pre e post consumo – dice Laura D’Aprile, direttrice generale per l’Economia circolare dell’ex ministero dell’Ambiente – il riciclo e la rigenerazione dei materiali sono pratiche fondamentali per salvaguardare il Pianeta”. Poi, annuncia che “entro aprile verrà avviata la consultazione degli operatori pubblici e privati sul recepimento delle Direttive sulle plastiche monouso e sui rifiuti portuali”.

fonte: www.rinnovabili.it

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Per 7 italiani su 10 i contenitori per la raccolta dei rifiuti sono troppo piccoli

Secondo quanto emerge da una ricerca condotta da OnePoll per DS Smith, il 71% degli italiani ha riempito almeno una volta al mese i contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, a causa del maggior tempo passato in casa (60%) e dell’aumento degli acquisti e-commerce (35%).










I contenitori per la raccolta differenziata sarebbero ormai diventati troppo piccoli per le abitudini di consumo degli italiani. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da OnePoll per DS Smith, azienda che opera nel settore del packaging sostenibile, secondo cui il 71% degli italiani ha riempito almeno una volta nell’ultimo mese i contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, non avendo più spazio per conferirne di nuovi.
La pandemia Covid-19 e i relativi lockdown hanno pesantemente influito su questo fattore: il 60% degli intervistati dichiara che l’aumento della produzione di rifiuti riciclabili sia stata generata dal maggior tempo passato in casa per via delle restrizioni, mentre il 35% indica tra le cause anche l’aumento degli acquisti in Rete. Un italiano su tre, invece dà anche una motivazione più “ecologica” legato all’aumento della raccolta differenziata, e cioè uno sforzo maggiore per differenziare e conferire correttamente i rifiuti per l’avvio a riciclo.
Con l’85% degli italiani che dichiara di aumentare o mantenere il livello di acquisti on-line anche al termine delle restrizioni, e l’affermarsi dello smart working come modalità di lavoro anche nella nuova normalità, questa situazione è destinata a rimanere in via permanente. Per questo, il 64% degli italiani vorrebbe poter contare su contenitori più capienti, in grado di ospitare tutti i rifiuti conferiti a livello domestico.
Avere contenitori più grandi farebbe anche bene all’ambiente: il 15% dei rispondenti ammette infatti – a contenitori pieni – di buttare i rifiuti rimanenti nell’indifferenziata, non permettendone così il corretto riciclo.
In particolare, dall’inizio della pandemia gli italiani riportano un aumento delle seguenti tipologie di rifiuti prodotte a livello domestico: imballaggi per lo shopping online (48%), imballaggi per la farina (40%), contenitori per l’asporto dai ristoranti (34%) e contenitori per il sapone per le mani (34%).
Questa situazione crea frustrazione negli intervistati, con il 58% dei rispondenti che è in imbarazzo per la quantità di rifiuti prodotti, in buona parte (40%) perché pensa di crearne troppi. Gli italiani sono anche preoccupati dell’impatto dei rifiuti sull’ambiente (92%) e sul servizio di raccolta dei rifiuti, con il 45% preoccupato per una gestione non corretta, che vanificherebbe gli sforzi condotti per differenziare i rifiuti. Infine, il 78% concorda sul bisogno di maggiori informazioni e trasparenza su ciò che può e ciò che non può essere riciclato.
"Shopping on-line e lavoro da casa erano fenomeni già diffusi prima della pandemia, ma le restrizioni dovute alla diffusione del Covid-19 hanno drammaticamente accelerato queste tendenze” ha commentato Mike Harrison, Recycling South Region Managing Director. “Molti di questi cambiamenti sono destinati a diventare permanenti, comprese le abitudini di riciclo, per cui dobbiamo assicurarci che il sistema di raccolta dei rifiuti permetta di avviare il processo di riciclo dai flussi domestici di quanto più materiale possibile”.

fonte: www.greencity.it


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Quando il cibo da asporto incontra i contenitori riutilizzabili. Gli esempi in Italia e nel mondo

Una lezione circolare da trarre dal Covid è che anche nel settore dell'asporto può esserci spazio per il riuso. In Gran Bretagna l'associazione City to Sea diffonde nelle caffetterie l'uso delle tazze riutilizzabili, mentre negli Usa Just Salad appone etichette climatiche sui menu. Anche in Italia qualcosa si muove




L’emergenza sanitaria ha comprensibilmente messo in secondo piano altre emergenze ambientali, come quelle connesse all’aumento della produzione di rifiuti. Le misure per contrastare il Covid hanno rallentato, se non fermato, centinaia di progetti nazionali o locali, in particolare quelli che riguardano la sostituzione di contenitori e altri accessori monouso nel settore della ristorazione da asporto, che sono già da tempo nel mirino delle direttive europee. Intanto la domanda di alimenti confezionati e pronti al consumo continua a crescere e il ricorso al cibo da asporto nei periodi di lockdown è letteralmente esploso.

Sfide impossibili che diventano realtà

Lo scossone prodotto dalla pandemia è l’occasione per vedere con più chiarezza i limiti e i rischi insiti nel modello di consumo e negli stili di vita attuali, aprendo la strada alla riflessione sulle opportunità di cambiamento che possono scaturire da una migliore organizzazione della società, del lavoro, della mobilità, della burocrazia. L’innovazione digitale nella pubblica amministrazione e la possibilità di lavorare da casa, ad esempio, sono due delle “conquiste” che nessuno prima che scoppiasse la pandemia immaginava potessero arrivare così velocemente.

Anche davanti a sfide come quella della neutralità climatica al 2050, così come sul fronte della prevenzione della produzione dei rifiuti c’è la possibilità di non perdere questo atteggiamento proattivo individuando soluzioni innovative e sistemiche che possano avere applicazioni su larga scala.

Guardando ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, il numero 12 in particolare, promuove un modello di consumo e di produzione sostenibile. Per superare il dilagare dell’usa e getta c’è l’impegno espresso a “ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il riutilizzo”. E c’è un obiettivo temporale: il 2030, anno entro il quale bisogna anche “incoraggiare le imprese, in particolare le grandi aziende multinazionali, ad adottare pratiche sostenibili e a integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali”.
Il monouso non offre maggiore protezione

La pandemia ha portato con sé misure che si sono poi rivelate eccessive, come la disinfezione ambientale di strade e spiagge da parte dei Comuni e l’utilizzo di guanti per uscire a fare la spesa da parte dei cittadini. La paura che il contatto con le superfici portasse il contagio si diffondeva insieme agli studi che rilevavano il permanere del coronavirus su oggetti e arredi per più giorni, anche perché non si precisava che la carica virale non fosse sufficiente a farci ammalare.

Successivamente sono poi arrivate rassicurazioni dal fronte medico, riprese dal ministro della Salute Roberto Speranza nel corso di un’audizione dello scorso anno sulla sicurezza delle stoviglie riutilizzabili che, al contrario dei manufatti monouso, si possono lavare seguendo i più elevati standard di igiene.

Superata la paura iniziale, dunque, hanno ripreso a farsi strada alcuni progetti basati sul riuso di contenitori e stoviglie per la ristorazione, in grado di garantire la qualità e la sicurezza del servizio, riducendo enormemente l’impatto ambientale dei contenitori usa e getta che vanno a sostituire.

Il caffè da asporto diventa “contactless”

L’organizzazione ambientalista inglese City to Sea si è attivata per evitare che le numerose caffetterie del Regno Unito sospendessero, sull’esempio di Starbucks, l’utilizzo di tazze riutilizzabili per le bevande da asporto. L’iniziativa #ContactlessCoffee nasce dalla consapevolezza delle dimensioni del problema rifiuti: secondo un recente studio di Science, ogni anno a livello globale 250-300 miliardi di tazze monouso finiscono smaltite o abbandonate nell’ambiente.

Per spingere i coffee shop britannici ad accettare il sistema di ritiro delle tazze riutilizzabili, City to Sea ha promosso una semplice procedura che evita contaminazioni incrociate mentre si riempie la tazza del cliente. Come si può vedere dalle istruzioni diffuse attraverso il sito e tramite un video, il barista versa il caffè da una tazza in ceramica nella tazza che il cliente appoggia su un vassoio senza bisogno di toccarla. Il vassoio viene poi igienizzato prima che un altro cliente lo usi nella stessa modalità.

City to Sea ha anche istituito una task force intersettoriale per valutare e gestire al meglio le questioni legate all’impiego di sistemi riutilizzabili durante la pandemia da Covid-19 che conta più di 20 organizzazioni, tra cui Starbucks, Sustainable Restaurant Association e Zero Waste Scotland.

Contenitori da asporto riutilizzabili per prevenire gli sprechi

Per tanti americani il cibo surgelato pronto da scaldare, così come quello da asporto, è un’abitudine che produce ogni anno montagne di rifiuti, per lo più smaltiti in discariche e inceneritori. Per permettere ai propri clienti di ordinare piatti pronti ma con un contenitore riutilizzabile, la catena Just Salad, con base a New York, sta sperimentando uno modello a rifiuti zero denominato Green Bowl Program.

Just Salad, che oggi conta 41 ristoranti negli Stati Uniti e 4 a Dubai, aveva già lanciato nel 2006 un servizio da asporto con contenitori riutilizzabili. Per ridurre ulteriormente la produzione di questi rifiuti, che si aggira intorno ai 100.000 kg l’anno, nel 2020 la catena ha anche eliminato l’uso di ciotole monouso per il consumo ai tavoli.

“Gran parte dei nostri clienti ordina online piuttosto che andare nei ristoranti”, ha dichiarato Sandra Noonan, responsabile sostenibilità di Just Salad. “Pertanto il nostro servizio deve diventare digitale. I rifiuti che si accumulano sui marciapiedi a New York sono la prova quotidiana che il problema è causato dalle consegne a domicilio e non si esaurirà a meno di affrontarlo a testa alta”.



A partire dal progetto pilota attivato a inizio anno in un negozio Just Salad a Manhattan, i clienti possono ordinare online scegliendo l’opzione della consegna in ciotola riutilizzabile di colore verde. Dopo di che, la potranno riportare al negozio che partecipa al programma, dove verrà igienizzata per poi finire reinserita nuovamente nel circuito delle consegne a domicilio.

Procedura contacless per la protezione del personale

La ciotola in polipropilene blu a disposizione dei clienti per l’asporto dal 2006 viene invece acquistata presso i punti vendita al costo di un dollaro. Nel 2019 le sue vendite sono aumentate del 100%.

Quando i clienti si recano con la loro ciotola nei ristoranti per acquistare un piatto del menù devono posarla su un apposito vassoio e il personale si serve di pinze e mestoli per riempirla. Questa procedura viene adottata nel rispetto dei requisiti del programma sanitario: i contenitori che arrivano dall’esterno non possono infatti toccare gli spazi di preparazione condivisi.

Nelle prime settimane del Green Bowl Program, senza che l’opzione fosse stata promossa, oltre il 30% degli ordini online richiedeva questo servizio in cui la ciotola rimane di proprietà della catena. Il prossimo passo sarà offrire lo stesso servizio per gli ordini di consegna. Come si può leggere nel Rapporto di sostenibilità pubblicato recentemente è in corso un monitoraggio sul progetto pilota per vedere quanto velocemente i clienti restituiscono i contenitori e quali “solleciti comportamentali” posso funzionare meglio.

Anche per gli uffici è previsto un sistema di consegna e ritiro, denominato Zero Waste Hub: si può ordinare un pasto in contenitore riutilizzabile con consegnato sul luogo di lavoro o ritiro in giornata da Just Salad.


Etichette climatiche sui menù

“Nel 2020, il nostro mondo è cambiato ma i nostri valori no” scrivono Noonan e Nick Kenner, rispettivamente ad e fondatore di Just Salad, nel rapporto sulla sostenibilità. “La pandemia ci ha resi più determinati nel creare una nuova normalità per il nostro settore, dove i rifiuti sono un tabù, e dove fare ‘meno male’ non è più sufficiente”. Se lo scorso anno la pandemia ha richiesto la sospensione o il rallentamento di alcune buone pratiche della catena legate al riutilizzabile, la direzione di Just Salad precisa che con il 2021 si recupererà il tempo perduto.

Oltre ai diversi impegni assunti dalla catena a livello ambientale e sociale, nel rapporto di Just Salad si legge che negli Usa gli imballaggi e contenitori monouso insieme rappresentano il 23% dei rifiuti che finiscono in discarica. Questa quota include imballaggi alimentari come scatole e contenitori da asporto monouso. Gli Stati Uniti consumano ogni anno oltre 3.300.000 tonnellate di articoli monouso legati all’asporto di cibo e bevande: contenitori per cibo e pizza, tazze, bicchieri e coperchi annessi, coppette, tovaglioli, involucri in carta e borse da asporto.

Just Salad è anche la prima catena del suo genere negli Usa ad aver dotato, già dallo scorso anno, i propri menù di etichette climatiche che quantificano l’impronta di carbonio di un prodotto ovvero le emissioni di Co2 generate per la produzione di uno specifico alimento. Anche quando si ordina online, accanto al valore calorico del loro pasto i clienti visualizzano il “peso”in termini di emissioni di ciò che mangiano: uno stimolo in più a scegliere a dieta giusta.


E a Milano c’è Altatto: piatti veg e schiscetta a rendere

Anche in Italia c’è chi sceglie il riutilizzabile per il suo servizio da asporto e a domicilio. Altatto è una realtà milanese di cucina vegana e vegetariana nata come servizio di catering per piccoli e grandi eventi con un bistrot in zona Greco a Milano, in cui offrono anche lezioni di cucina vegetariana e vegana. Nel novembre del 2020 – come si può leggere sul sito – la necessità di reinventasi e di dare un segnale di cambiamento, modificando anche le modalità in cui era avvenuto il delivery durante il primo periodo di lockdown, ha portato le tre fondatrici di Altatto all’idea di fornire un pasto da asporto “zero waste”.

La crescita del delivery – che e un’opzione irrinunciabile per i ristoratori di questi tempi– ha portato con sé un impatto ambientale e una produzione notevoli di rifiuti di cui si dispiacciono gli stessi operatori più sensibili del settore.



Altatto ha cercato una soluzione e l’ha trovata ispirandosi anche alla tradizione dei dabbawala indiani, un sistema composto da più contenitori sovrapposti che vengono ritirati e poi consegnati in India con il cibo caldo.

L’offerta con vuoto a rendere di Altatto, una schiscetta in acciaio inox, è per ora disponibile due volte a settimana e viene consegnata intorno all’ora di pranzo adoperando mezzi elettrici. Va ordinata attraverso il sito entro le 18 del giorno prima. Si può scegliere tra due menù completi, che possono essere riscaldati nel forno e consumati anche a cena.

La prima volta vengono addebitati 10 euro extra, cifra che corrisponde al prezzo della schiscetta. Già dall’ordine successivo si può scegliere l’opzione del vuoto a rendere che viene ritirato contestualmente alla consegna del pasto, e non si paga più per il contenitore. I clienti che vogliono ritirare di persona, e in particolare coloro che abitano fuori Milano, zona non coperta dal servizio di delivery, possono farlo presso il ristorante nell’orario in cui si effettuano le consegne.

L’esperienza di Altatto si presta ad essere implementata, per coinvolgere più milanesi qualora fosse condivisa dal circuito di ristoranti vegetariani e vegani, e non solo. Già solamente l’adozione da parte di tutti i ristoranti dello stesso modello di schiscetta favorirebbe il diffondersi dell’iniziativa e anche, perché no, un aumento dei clienti per tutto il circuito. Perché alla fine l’unione fa la forza, senza che ognuno debba rinunciare alle sue specificità.

Silvia Ricci

fonte: economiacircolare.com


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La Verde Umbria insorge: Sit-in di protesta - Padule di Gubbio, Sabato 20 marzo 2021 - ore 15

 





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