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In Italia c’è bisogno di una nuova ecologia popolare



















La comparsa di un nuovo virus è un fatto naturale, la pandemia no: la crisi sanitaria e i suoi effetti economici, sociali e politici “sono la diretta conseguenza di un modello di sviluppo economico e culturale che tiene poco conto del valore della vita”; un modello “nocivo e dannoso per noi individui, per le comunità, per la natura”. Esordisce così il documento intitolato “Per un manifesto di ecologia popolare”, elaborato da un gruppo di attivisti e ricercatori che durante i mesi di sospensione delle attività e degli spostamenti in Italia si sono interrogati sulle origini della crisi che stiamo attraversando, convinti che le premesse del disastro fossero tutte visibili ancora prima che arrivasse il nuovo coronavirus.

“Gli ingredienti di una pandemia sono gli stessi che muovono la crescita illimitata”, scrivono: lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, la crescita a cui si sacrifica la qualità dell’aria, dell’acqua, della terra e degli allevamenti animali; la densità abitativa delle grandi città; la crescente interconnessione di un mondo globalizzato, la spinta verso una produttività sempre più alta, gli standard sanitari e alimentari inadeguati. Insomma: la crisi del covid-19 deve spingerci a ripensare “un modello di crescita autodistruttivo improntato solo al benessere economico”.

Gli autori del manifesto vivono e lavorano per lo più a Napoli, anche se hanno orizzonti più ampi. Il gruppo è eterogeneo: ricercatori universitari, artisti, educatori, giornalisti. Hanno creato la rete Terre in movimento e si presentano con un’identità collettiva. Il nome che ciascuno usa è Ecopop, seguito da un numero per gli uomini e una lettera per le donne: questo perché, spiegano, “vogliamo dare voce a tutti i gruppi che si battono per la giustizia ambientale”. Aggiungono che l’anonimato è anche una sorta di tutela, “perché in molti conflitti ambientali i cittadini non hanno di fronte solo le istituzioni ma anche altre forze, inclusa la criminalità organizzata”.

La crisi dei rifiuti


Per spiegare cosa intendano con “ecologia popolare”, gli autori del manifesto citano la crisi dei rifiuti vissuta dalla Campania per circa un decennio a partire del 2001. “Era un conflitto ambientale tipicamente moderno”, osserva Ecopop 1, “chiamava in causa il ciclo dei rifiuti, la speculazione, i meccanismi illegali che trasferivano gli sversamenti industriali delle regioni più ricche alle zone più povere nel sud dell’Italia, un po’ come si mandavano le navi di rifiuti tossici in Africa. Eppure sui mezzi di informazione non è stato descritto come un conflitto ambientale, soprattutto all’inizio: si parlava di cattiva gestione, di traffici illegali, di camorra, ma la salute di quelle persone e l’ambiente entravano di rado nel discorso”.

Le proteste degli abitanti erano descritte più che altro come “egoismi localisti”. È nato allora il nome Terra dei fuochi. “Si discuteva di inceneritori e di dove collocare le discariche dando per scontato che chi viveva in quei luoghi non avesse una coscienza ambientale”, continua Ecopop 1. “Ma era vero il contrario. Abbiamo visto cittadine e cittadini lottare per difendere il proprio territorio e il proprio diritto alla salute, perché i primi a subire la situazione erano proprio loro. Hanno agito come comunità e in questo percorso hanno acquisito consapevolezza e conoscenze in modo indipendente. Ci sono voluti anni di battaglie perché questo fosse riconosciuto”.

“Le lotte in difesa dell’ambiente spesso non trovano sponde politiche o culturali perché nel nostro paese manca una cultura politica ecologica”, si legge nel manifesto. Si parla di “analfabetismo ecologico”. La sinistra italiana ha una “tradizione industrialista” che l’ha portata anche in tempi recenti a difendere scelte come la Tav, affermano gli autori. Nei programmi politici l’ambiente compare come citazione, “per darsi un volto presentabile”. “Vogliamo che la questione ambientale sia la chiave di lettura per tutti i temi della politica e della società”, dice Ecopop B.

La grande cecità

“Bisogna mettere l’accento sul legame tra il contagio e la cecità del modello di sviluppo”, si legge ancora nel manifesto. La pandemia, il degrado ambientale, le mutazioni del clima “sono tutti prodotti di un modello di crescita improntato al solo benessere economico che nasconde una sistematica volontà autodistruttiva”. Riecheggia quella che lo scrittore Amitav Ghosh ha definito “la grande cecità” di fronte al cambiamento climatico, e in effetti gli autori dichiarano di aver tratto ispirazione da quel saggio: “La grande cecità è quella degli esseri umani che non riconoscono alla natura un ruolo protagonista”, riassume Ecopop 1.



Gli autori del manifesto criticano in particolare l’idea di “sviluppo sostenibile”, che considerano una contraddizione in termini: “Si basa sull’idea di un buon uso delle risorse per una crescita economica compatibile con la natura. È il tentativo delle élites ‘avvedute’ di mediare tra l’ambiente e il capitalismo”, dice Ecopop 1: “Ma è una mediazione impossibile. La logica del capitalismo è la ricerca continua di profitto, non la tutela dell’ambiente o della salute della collettività. Al dunque, profitto e natura sono in conflitto”. E poi, “che mediazione può fare una cultura autodistruttiva?”. Al contrario, per “ribaltare il modello di sviluppo che ci ha portato alla crisi attuale” serve un’ecologia “partecipata e dal basso proprio come era successo nella Terra dei fuochi”. Citano i comitati che si battono per la bonifica nei numerosi siti industriali inquinati in Italia, i movimenti No Tav e quelli No Tap (che si oppongono al gasdotto Trans-Adriatico che dovrebbe approdare in Puglia).

La giustizia ambientale “è il nuovo spartiacque del conflitto sociale”, dicono in definitiva gli autori del manifesto di ecologia popolare. Il documento evoca “pratiche di mutualismo” nelle comunità fondate sul “diritto collettivo al cibo, alla salute, la terra, l’acqua come capisaldi del diritto alla vita”. Vedono un esempio positivo nelle esperienze di mutuo soccorso nate nelle settimane del confinamento, da Scampia a Rosarno. Guardano anche più lontano, alle reti di comunità indigene dell’Amazzonia in difesa della foresta o gli ecovillaggi del Rojava.

Il collettivo Terre in movimento si è dato degli obiettivi pratici. Mapperà i conflitti ambientali a cominciare dalle esperienze locali di difesa del territorio e della salute “e qui nel sud ne abbiamo molti casi, dalla Terra dei fuochi alle acciaierie di Taranto”. Avvierà un’inchiesta sul bacino del fiume Sarno, caso esemplare di dissesto e inquinamento: durante il confinamento il fiume si era ripulito e gli abitanti rivendicano una bonifica duratura. Poi un’indagine sul parco dei Camaldoli, 135 ettari di area protetta con un castagneto secolare, vero polmone verde alle porte di Napoli che però resta inspiegabilmente chiuso. L’obiettivo, dicono, è mettere in collegamento esperienze popolari, locali e globali. E diffondere una “vera cultura politica ecologica”.

fonte: www.internazionale.it



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Mamme No Tap: Ribellarsi facendo

I genitori del quartiere Tamburi di Taranto che occupano la scuola per difendersi dai veleni. Un partecipato sit-in a Sulmona che blocca il sopralluogo di Snam e Saipem perché il territorio è di chi lo vive non di chi lo vuole devastare per profitto. Alcuni No Tav settantenni che fanno incursione nel cantiere per l’alta velocità di Chiomonte. Diecimila persone che si riprendono Venezia al grido «Fuori le grandi navi dalla Laguna!». E poi le azioni e le proteste dei No Tap, delle Mamme No Pfas, dei No Muos, degli antimilitaristi sardi, dei comitati in difesa degli ulivi del Salento… La cattiva notizia è che tutto questo è accaduto nelle ultime settimane ma i media sono spesso distratti e riducono il fare politica alla vita del governo. La buona notizia è che ovunque, e in molti modi diversi, migliaia di persone comuni hanno cominciato a riprendere il destino della propria vita in mano

Tratta dalla pag. fb di Mamme No Tap

Un fiume di centocinquanta mamme no Pfas (acronimo che indica le sostanze perfluoroalchiliche) a Roma dal papa, con le loro t-shirt azzurre come l’acqua pura che vorremmo avere. Francesca, mamma tarantina, occupa il tavolo della giunta comunale per ribadire il diritto alla vita di tutti bambini, anche quelli di Taranto. I genitori del quartiere Tamburi, esasperati dall’assenza delle istituzioni, occupano le scuole.

A Sulmona, un partecipato sit-in blocca il sopralluogo di Snam e Saipem, perché il territorio è di chi lo vive, non di chi lo vuole devastare. Le mamme libere di Policoro scrivono al ministro dell’ambiente dando voce alla lotta contro la contaminazione da trialometani dell’acqua. In cinquanta città italiane, l’alleanza Stop 5G promuove presidi e mobilitazioni contro l’elettrosmog.

E ancora: diecimila persone si riprendono Venezia: «Fuori le grandi navi dalla Laguna!» E, quando il corteo giunge a San Marco, la fotografia per i croceristi sono migliaia di bandiere “No Navi” che sventolano. A Catania è prevista una manifestazione dei No Muos per chiedere la chiusura delle basi militari in Sicilia. Gli antimilitaristi Sardi, che chiedono la riconversione della fabbrica di bombe Rwm di Domusnovas, si sono resi protagonisti di un blitz al parlamento europeo dove hanno esposto uno striscione con la scritta “No al massacro nello Yemen”.

Alcuni No Tav over settant’anni, pochi giorni fa, hanno fatto incursione all’interno del cantiere per l’alta velocità di Chiomonte al grido di “Non ci fermeranno mai”. Il comitato No Tap ha presentato oltre dieci esposti in cui sono state segnalate tutte le criticità del progetto del gasdotto Trans Adriatico e chiede, oggi come ieri, che sia fatta chiarezza. Cosate Valle d’Itria e Popolo degli Ulivi hanno manifestato davanti alla sede RAI di Bari contro ‘l’imposizione di un nuovo latifondismo’ e a favore di una ricerca libera e della libertà di coltivazione. Chiedono lo lo stop alle misure anti xylella che impongono tagli degli ulivi e irrorazione di pesticidi. I No al carboneattaccano il sindaco di Brindisi: da sindaco ambientalista a sindaco pro fossile: la metamorfosi è inquietante, un cambio di ruolo che ha capovolto d’un botto storie personali e collettive…

E così, nonostante una specie di spaesamento che ogni tanto coglie ognuno di noi di fronte a tante “storture”, pensiamo che la concretezza di tante azioni, di tentativi di ribellione, di non assuefazione al male e alle sue troppe manifestazioni, siano la rappresentazione di un mondo, di uomini e donne, gente comune e al contempo straordinaria, che alza la voce e continua a pensare che l’unica strada possibile sia quella di continuare a percorrerla in “direzione ostinata e contraria”.

fonte: https://comune-info.net

E piove. Anche il cielo si ribella al Tap















E piove è il nuovo singolo di Antonio Treble Lu Professore, cofondatore e storico componente dei Sud Sound System: racconta l’impatto ambientale e sociale sulla Comunità di San Foca, in Salento, del Gasdotto Tap e delle conseguenze che questa Grande Opera produce su tutti i territori attraversati.
Treble ha riadattato un testo scritto da Serena Fiorentino, scrittrice di Soleto (Lecce) e Mamma NoTap (ormai nota ai lettori di Comune), che così descrive l’origine della sua composizione:
“Era il giorno del mio compleanno e, mentre preparavo la torta da condividere al presidio NoTap, il prefetto di Lecce, per favorire i lavori della multinazionale, istituiva la perfida Zona Rossa di San Basilio. Camion, ruspe, reti metalliche, filo spinato e cemento a portarci via quel luogo del cuore! Ho pianto, per rabbia, indignazione, e insieme a me hanno pianto la nostra Terra, il nostro passato, le nostre radici. Ma il futuro, minacciato dal mostro Tap, ha chiamato in nostro soccorso il cielo che, quel giorno e per i giorni a seguire, ha versato, con noi, lacrime di ribellione che hanno allagato il cantiere impedendo la continuazione dei lavori”.






Il videoclip, che accompagna il brano E piove, rivela la disperata corsa sotto la pioggia, fin dalle prime luci dell’alba, di un giovane uomo che corre in difesa della sua terra stuprata e giunto nei pressi del cantiere Tap rimane pietrificato alla vista di tanta devastazione. L’ambiente paradisiaco – l’azzurro del mare, l’alba rossa, la sabbia bianca, il verde degli ulivi e delle pinete – contrasta e stride drammaticamente con i “mostri di metallo”, le barriere di filo spinato, il fango e gli ulivi eradicati.
Il video è interpretato da due attori della compagnia “La DifferArt”: Stefania Bove e Antonio Carelli e vede la regia e il montaggio di Baba Paradiso.
E piove anticipa l’uscita del terzo album da solista di Treble, dal titolo Cultura Amore Radicazione, prevista per Novembre 2018.
Intanto anche in Salento piove, piove piove. “Dalla tarda serata di domenica 4 novembre non smette di piovere e Tap ha ripreso a sventrare la Terra”, racconta Stefania Bove.
Il videoclip è stato pubblicato ufficialmente il 5 novembre sul canale youtube di Elianto il 5 novembre. Alzate il volume.




fonte: https://comune-info.net

Gasdotto TAP, perché l’Italia vuole dire di sì

Stanno crollando le ultime resistenze degli esponenti M5S di governo: l’opera si farà, perché sarebbe troppo costoso abbandonarla.





















Ormai è impossibile fermare la costruzione del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline): lo stop costerebbe troppo all’Italia, a causa delle penali e dei contenziosi che si aprirebbero con il consorzio – di cui fa parte l’italiana Snam con il 20% del pacchetto – che sta realizzando il super progetto per portare nuovo combustibile fossile dall’Azerbaijan al nostro paese.
Così, in sintesi, il Movimento 5 Stelle ha alzato bandiera bianca dopo un vertice molto affollato a Palazzo Chigi per discutere il futuro dell’opera.
Presenti, oltre al premier Giuseppe Conte, i ministri Sergio Costa (Ambiente) e Barbara Lezzi (Sud), il sindaco di Melendugno, Marco Potì, contrario al gasdotto, con alcuni esponenti del M5S pugliese che da sempre contesta l’apertura del corridoio Sud del gas, il cui obiettivo è trasportare 10 miliardi di metri cubi dai giacimenti sul Mar Caspio fino alle coste meridionali italiane.
“Resta un’opera non strategica scelta da un altro governo e agevolata da un altro governo”, ha dichiarato il ministro Lezzi alle agenzie di stampa, riferendosi a TAP.
“Abbiamo fatto adesso questa analisi dei costi dall’interno dei ministeri. Questi costi il Paese non può permetterseli e noi non ce la sentiamo di addossarli sui cittadini. Non abbiamo nulla di cui vergognarci, non avevamo a nostra disposizione una serie di dati che forniremo pubblicamente”, ha aggiunto.
Il TAP, ricordiamo in sintesi, diventerebbe la parte finale della linea di tubi in cui viaggerebbe il gas azero, per circa 3.500 km (900 km il solo TAP) attraverso le pianure anatoliche, la Grecia, l’Albania e un tratto offshore nel Mar Adriatico.
Da parte sua, il ministro Costa sta compiendo le ultime verifiche ma il semaforo verde definitivo dell’attuale governo Lega-M5S pare scontato, nonostante le proteste sempre più accese del movimento NO-TAP, che ha anche chiesto le dimissioni degli esponenti M5S se il gasdotto non sarà bloccato.
L’opera, infatti, in campagna elettorale era stata completamente bocciata dai Grillini, e lo stesso Costa, qualche mese fa, aveva dichiarato che TAP sarebbe inutile, ricordando i temi cari ai pentastellati, in particolare l’impatto ambientale della nuova infrastruttura, i consumi di gas previsti in continuo calo, l’ascesa delle fonti rinnovabili.
Poi Conte, all’inizio di agosto, durante un vertice alla Casa Bianca con il presidente Usa, Donald Trump, aveva dato segni contrari, riaffermando che TAP avrebbe un elevato valore strategico per l’Italia.
La stessa tesi sposata dall’ex ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, nel precedente governo Renzi, quando si sosteneva la necessità di variare le importazioni di gas per circoscrivere un po’ il peso geopolitico della Russia e ridurre il costo dell’energia per le famiglie e le imprese.
Un argomento, quest’ultimo, molto caro all’attuale vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che ancora nei giorni scorsi ha ripetuto che all’Italia servono più infrastrutture, TAP compreso, scoprendo una volta di più quelle contraddizioni e tensioni interne tra gli alleati di governo su aspetti cruciali come gli investimenti in campo energetico.
Secondo la Commissione Ue, ricordiamo, il corridoio Sud del gas è di fondamentale importanza per aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici per il nostro continente, tanto da aver ottenuto, lo scorso febbraio, un maxi finanziamento da 1,5 miliardi di euro dalla Banca europea per gli investimenti.
In sostanza, la resa del M5S sul dossier TAP sembra dettata da motivazioni esclusivamente economiche, ma ci sono molte prove che dimostrano l’inutilità del gasdotto (vedi QualEnergia.it per approfondire tutte le incertezze: Se il TAP non serve).
Il succo è: ha senso realizzare in Italia una nuova rotta del gas quando la richiesta di combustibile fossile è data in diminuzione e le infrastrutture esistenti sono già sottoutilizzate? Una infrastruttura di questa portata quanti anni richiederà per essere ammortizzata? Come penalizzerà le future politiche, sempre più necessarie, per lo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica?
fonte: https://www.qualenergia.it

C’è un solo grande cortile
























C’E’ UN SOLO “GRANDE CORTILE”, IL PIANETA TERRA.
MA CI SONO TANTI GRANDI INTERESSI CHE LO MINACCIANO
Manifestazione “NO Snam – NO gasdotto, NO centrale, STOP hub del gas”
Appello ai tutti i movimenti ad aderire e partecipare
Nella seduta del 22 dicembre 2017 il consiglio dei ministri ha dato il via libera alla costruzione della Centrale Snam di Sulmona (Aquila), tassello fondamentale del progetto di gasdotto Snam “Rete Adriatica”, prosecuzione del gasdotto TAP. Per affermare le ragioni del No a quest’opera inutile e imposta e alle altre opere legate a estrazione, trasporto e stoccaggio del gas che minacciano il territorio nazionale, il Collettivo AltreMenti Valle peligna e il Collettivo studentesco Sulmona-Valle peligna, insieme agli altri comitati e associazioni riuniti nel coordinamento “NO hub del gas – Abruzzo”, chiamano i movimenti da tutt’Italia ad aderire e a partecipare alla manifestazione del 21 aprile 2018 a Sulmona (AQ).
Per anni abbiamo preso i nostri pullman colorati e abbiamo invaso città, fossero capoluoghi di provincia, di Regione o Metropoli. Abbiamo urlato, cantato, ballato, percorso chilometri sotto il sole cocente o con la pioggia, il vento e persino sotto la neve. In cambio della nostra passione abbiamo trovato porte chiuse, strade sbarrate, molte volte a farla da padrone è stato il silenzio, altre ancora il suono sordo della repressione delle nostre speranze.
In questi anni abbiamo visto lo sfruttamento più avanzato allargarsi nelle province, come ci hanno mostrato in tutta la loro evidenza i No Tav, i No Muos, i No Ombrina, i No Triv, i No Tap. I territori periferici sono stati integrati nella grande macchina dell’estrazione di profitto dopo essere stati isolati, espoliati di servizi, spopolati, lasciati a loro stessi.

Il modello è ancora quello delle grandi opere “strategiche” (per i loro interessi), gran parte delle quali riguardano le infrastrutture energetiche. È proprio su questo nodo che si sta giocando una partita fondamentale fra chi vuole mantenere il proprio potere attraverso il ricatto delle fonti fossili, condannando il mondo all’autodistruzione, e chi vuole guardare a nuovi scenari che parlino di trasformazione delle scelte di consumo e produzione nel quotidiano e aprano prospettive di emancipazione sociale.
È proprio questa battaglia epocale che si sta riproducendo nella lotta contro la grande opera Snam “Rete Adriatica”: questa prevede la costruzione di un megagasdotto di quasi settecento chilometri lungo la fascia appenninica – pericolosamente sismica – e di una centrale di compressione nel Comune di Sulmona (AQ) (zona sismica di primo grado). La centrale si troverebbe a tre chilometri di distanza dalla famigerata “faglia del Morrone”, alle porte del Parco Nazionale della Majella, in una Valle, quella Peligna, in cui il ricircolo di aria è limitato per via della sua conformazione orografica e le emissioni ristagnano nell’aria che respiriamo. La sua costruzione è un gesto folle e sconsiderato in un’epoca in cui i nostri consumi di gas sono diminuiti e siamo ben lontani dal pieno utilizzo della capacità della rete già esistente. E in un momento storico, per di più, in cui non possiamo più permetterci di spendere soldi ed energie nella riproduzione di un modello, quello delle fonti fossili, che sta devastando il pianeta.
I Comitati cittadini della Valle peligna, come quelli dell’intero Appennino, da anni si battono contro il megagasdotto Snam “Rete Adriatica” e l’annessa centrale di compressione di Sulmona, della quale, nella seduta del 22 dicembre 2017, un Governo uscente e a ridosso dello scioglimento delle Camere ha autorizzato la costruzione contro il parere negativo delle istituzioni locali, dai Comuni alla Regione, ripetutamente espresso, e contro la risoluzione della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati adottata nel 2011. L’autorizzazione della costruzione della centrale di Sulmona è un affronto che non è fatto soltanto ai cittadini peligni, ma a tutti i Comuni interessati dall’intera opera “Rete Adriatica” e a tutto un Paese sempre di più insidiato da progetti di estrazione, trasporto e stoccaggio di idrocarburi.
Il megagasdotto Snam “Rete Adriatica” è l’ennesima grande opera dannosa, inutile e imposta che dobbiamo rispedire al mittente, un’opera che non serve al fabbisogno di gas del Paese, né dell’Europa, ma solo ai piani di sviluppo commerciale di un’impresa privata, la Snam. “Rete Adriatica” fa parte di una strategia più ampia che mira a fare dell’Italia una terra di attraversamento, uno snodo (“hub”) dell’importazione e dell’esportazione di gas metano, capace di stoccare volumi importanti di gas nel sottosuolo (come avviene già massivamente in Lombardia, ad esempio) e di garantirne il trasporto in grandi quantità verso l’Europa centrale, sfruttando le importazioni da Sud (vedi il progetto TAP). L’obiettivo è quello di aumentare i profitti privati delle multinazionali del gas che guadagnano dalla compravendita di idrocarburi, mentre i rischi e i costi sociali, economici e ambientali vengono scaricati sulle comunità e gli ecosistemi locali.
Ci sono diverse ragioni per cui vi invitiamo allora a manifestare insieme a noi il 21 aprile 2018 a Sulmona (AQ). Perché non vogliamo vedere boschi e prati appenninici sventrati da un megagasdotto. Perché non vogliamo sacrificare la salute e la sicurezza delle nostre comunità alle allucinazioni dei padroni delle fonti fossili. Perché vogliamo costruire una solidarietà delle mobilitazioni dalla Puglia che lotta contro il TAP alla Lombardia che si oppone agli stoccaggi.
Vi invitiamo ad essere al nostro fianco per una battaglia che è perfino più grande. È la battaglia che decide del modo in cui produrremo energia nei prossimi decenni, se saremo ancora dipendenti dal capitalismo degli idrocarburi o potremo sperimentare percorsi di democrazia energetica. È la battaglia che decide del nostro presente, se saremo spettatori impotenti di una crisi ecologica senza responsabili o saremo capaci di invertire la rotta opponendoci allo sfruttamento, alla violenza e alla devastazione connessi al modello estrattivista. È la battaglia che vogliamo combattere per una democrazia reale in cui possiamo decidere collettivamente del nostro futuro e per un mondo ecologico, giusto e solidale, che non sacrifichi più sull’altare dell’accumulazione e del profitto popoli ed ecosistemi.
Per tutte queste ragioni che accomunano le nostre lotte, manifestiamo insieme a
SULMONA (AQ) il 21 APRILE 2018
contro l’imposizione della centrale Snam e del gasdotto “Rete Adriatica” e contro la riduzione del nostro Paese a terra di attraversamento, snodo (“hub”) dell’importazione ed esportazione di gas
Per adesioni scrivere un email a: sulmona21aprile@gmail.com
Collettivo AltreMenti Valle peligna
Collettivo studentesco Sulmona Valle peligna
Coordinamento No HUB del gas – Abruzzo
fonte: comune-info.net