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Il valore della natura. Presentato il quarto Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia

 










È stato presentato in videoconferenza, alla presenza del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, il “Quarto Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia” che, dopo l'approvazione, sarà trasmesso al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia. Alla riunione plenaria del Comitato per il capitale naturale sono intervenuti tra gli altri, oltre al direttore generale del Mite per il patrimonio naturalistico Antonio Maturani, il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini, il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli, il ministro del Turismo Massimo Garavaglia, la viceministra all’Economia Laura Castelli, la sottosegretaria al Lavoro Rossella Accoto, la sottosegretaria al Sud Dalila Nesci e il direttore generale dell'Ispra Stefano Laporta.

Il Rapporto è stato predisposto tra novembre 2020 e marzo 2021. La necessità di preservare e ripristinare il capitale naturale per garantire una ripresa duratura è riconosciuta dall’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile e dal Green Deal europeo. Nell’impostare questa quarta edizione, gli esperti hanno concordato sull’importanza strategica di tenere in considerazione ciò nell’ambito della transizione economica prevista dal programma integrato del Next Generation EU, da sviluppare attraverso un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che dedichi il 37% delle risorse alla biodiversità, ad azioni per il clima e all’adattamento ai cambiamenti climatici, anche in virtù dei nuovi impegni comunitari derivanti dalla Strategia europea per la biodiversità al 2030 e alla Strategia “Farm to Fork” per una migliore sostenibilità ecologica di tutta la filiera agroalimentare.

“La nostra deve essere la prima generazione capace di lasciare i sistemi naturali e la biodiversità dell’Italia in uno stato migliore di quello che abbiamo ereditato - sostiene la “vision” del comitato. - Per questo si suggerisce che il Pnrr, costituendo una straordinaria occasione per il necessario cambio di rotta, includa una grande “opera pubblica” di ripristino degli ambienti terrestri e marini attraverso la creazione di infrastrutture verdi e soluzioni basate sulla natura, rispondendo altresì all’impegno delineato dal decennio delle Nazioni Unite sull’“Ecosystem Restoration” 2021-2030 e consentendo di affrontare l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Proprio sulle azioni prioritarie del Pnrr si è soffermato nel suo intervento il ministro Cingolani, che ha sottolineato quanto sia fondamentale puntare sulla riforestazione, sul miglioramento delle aree fluviali, sui programmi per i parchi e il mare, sulla riconnessione degli ecosistemi, sul turismo verde, sul monitoraggio del capitale naturale, includendo la decarbonizzazione, la circular economy, lo stop al consumo di suolo, il recupero delle aree degradate, le infrastrutture idriche, la mobilità urbana, senza dimenticare la pianificazione delle risorse. “Ho osservato con soddisfazione – ha affermato il ministro – che l'impostazione del Quarto Rapporto sullo stato del capitale naturale è allineata con il Recovery Plan, pur essendo nata precedentemente. È una buona notizia: vuol dire che stiamo quindi lavorando, tutti insieme, nella giusta direzione".

fonte: www.e-gazette.it


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Primo rapporto sulle bonifiche dei siti regionali

 














Qual è lo stato delle bonifiche in Italia sui siti di competenza regionale? Quanti sono in Italia e per quanti si è concluso l’iter di bonifica? Esistono buone pratiche?

Frutto del lavoro compiuto dalla Rete nazionale di Snpa, il 4 marzo è stato presentato il primo rapporto su “
Lo stato delle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i dati regionali“.



Il rapporto, frutto dell’attività del SNPA e delle Regioni e Province Autonome, fornisce un quadro delle informazioni oggi esistenti e l’analisi dei dati disponibili.

Illustra e analizza i dati del 2020 relativi al numero e alle superfici interessate da procedimenti di bonifica regionali al 31.12.2019.

I dati raccolti sono relativi ai procedimenti di bonifica regionali la cui competenza è in capo alle Regioni o a enti territoriali da esse delegate, sono esclusi i procedimenti relativi ai Siti di Interesse Nazionale (SIN) di competenza del MATTM (ora MiTE).








I dati sono disponibili per tutte le regioni /province autonome d’Italia con livello di dettaglio fino al singolo comune e consentono di descrivere l’iter del procedimento e lo stato della contaminazione per i procedimenti in corso e per quelli conclusi.

Il numero totale di procedimenti è pari a 34.479 di cui 16.265 in corso e 17.862 conclusi.

La superficie interessata dai procedimenti di bonifica è nota solo per una parte di essi (67%), è pari a 75.277 ettari (753 kmq) e rappresenta lo 0,25 % della superficie del territorio italiano; di questi 46.532 ettari sono relativi a procedimenti in corso e 28.745 ettari sono relativi a procedimenti conclusi.

Nella seconda parte del rapporto sono disponibili per ciascuna Regione/Provincia Autonoma, una serie di elaborazioni dei dati in forma tabellare e grafica.
Abruzzo
Basilicata
Emilia-Romagna
Calabria
Campania
Friuli Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trentino Alto Adige
Umbria
Valle d’Aosta
Veneto

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/03/rapporto-bonifiche-siti-compresso.pdf



Le slide illustrate durante l’evento di presentazione del rapporto
Fabio Pascarella (ISPRA) – Introduzione ai lavori e inquadramento dello stato dell’arte
Federico Araneo (ISPRA) – Il primo rapporto ISPRA sulle bonifiche dei siti contaminati regionali
Reiner Baritz (Agenzia Europea dell’Ambiente – EEA) – Management of contaminated sites in Europe
Eugenia Bartolucci (ISPRA) – Lo stato delle bonifiche in Italia: verso un database nazionale
Andrea Merri (ARPA Lombardia) – La banca dati dei siti contaminati in Regione Lombardia: stato dell’arte e sviluppi in corso
Manrico Marzocchini (ARPA Marche) – L’approccio del sistema informativo sui siti contaminati della Regione Marche: un punto di svolta

fonte: www.snpambiente.it


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Ecco come l’Italia può diventare 100% rinnovabile (VIDEO)

Rapporto di Greenpeace: un’Italia a emissioni zero porterebbe vantaggi economici e per l’ambiente e più occupazione



In contemporanea con gli Stati generali dell’economia, organizzati dal governo per pianificare l’utilizzo dei fondi Ue destinati al rilancio del Paese, Greenpeace Italia ha lanciato il rapporto “Italia 1.5”, che presenta come «Uno scenario di rivoluzione energetica all’insegna della transizione verso le rinnovabili e della totale decarbonizzazione del Paese. Un piano che permetterebbe all’Italia di rispettare gli accordi di Parigi, diventando a emissioni zero, con vantaggi economici, occupazionali e di indipendenza energetica».

Lo studio, commissionato da Greenpeace Italia all’Institute for Sustainable Future di Sydney , utilizza per lo scenario italiano una metodologia già applicata su scala globale per lo scenario di decarbonizzazione del Pianeta promossa dalla Dicaprio Foundation e realizzata dalla stessa ISF, dall’Agenzia aerospaziale tedesca (DLR) e dall’Università di Melbourne.

Luca Iacoboni, responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace Italia, spiega che «In questi giorni il governo Conte e le istituzioni europee dichiarano a più riprese di voler puntare anche sulla transizione energetica per ripartire dopo lo shock causato dalla pandemia di Covid-19. Il piano “Italia 1.5” di Greenpeace Italia va esattamente in questa direzione. Non è possibile pensare a un futuro migliore se non puntiamo con determinazione e rapidità su rinnovabili ed efficienza energetica, abbandonando i combustibili fossili che causano cambiamenti climatici, inquinamento e degrado ambientale».

Il rapporto degli ambientalisti sviluppa due scenari – uno con il traguardo di emissioni zero dell’Italia al 2040, uno con una decarbonizzazione totale al 2050 – confrontandoli con lo scenario contemplato dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), consegnato dal governo all’Ue a inizio 2020. Per Greenpeace il PNIEC «però non è in linea con gli Accordi di Parigi e continua a puntare sul gas fossile. Una strategia energetica dunque da rivedere, come ha peraltro dichiarato anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa».

Invece la rivoluzione energetica promossa da “Italia 1.5” è «In linea con l’obiettivo per l’Italia di fare la propria parte per contenere l’aumento della temperatura globale entro 1.5° C» e «Oltre a rispondere alle preoccupazioni della comunità scientifica, porterebbe con sé vantaggi economici e occupazionali. Entro il 2030, si avrebbe infatti la creazione di 163 mila posti di lavoro, ovvero un aumento dell’occupazione diretta nel settore energetico pari al 65%. Anche dal punto di vista economico la transizione potrebbe interamente finanziarsi con i risparmi derivanti dalla mancata importazione di combustibili fossili al 2030. Un cambio sistemico che condurrebbe a enormi vantaggi economici nei decenni a seguire».

Iacoboni conclude: «In questo nostro studio ci sono numeri chiari, che dimostrano innanzitutto che il PNIEC del governo non è nell’interesse dei cittadini italiani ma risponde piuttosto alle richieste delle lobby di gas e petrolio. Occorre subito una rivisitazione degli obiettivi su clima e rinnovabili, una rivoluzione che coniugherebbe la tutela del clima e del Pianeta, con vantaggi economici e per la competitività e la modernità del Paese. L’emergenza climatica in corso sta interessando pesantemente anche il nostro Paese, con danni a persone, ambiente ed economia, e non è più possibile rinviare la rapida transizione verso un Paese 100% rinnovabile».

Videogallery

L'Italia può diventare 100% rinnovabile




fonte: www.greenreport.it


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Le Accademie europee della scienza: «La crisi della plastica richiede un cambiamento fondamentale del sistema»



















L’European Accademies Science Advisory Council (EASAC) ha pubblicato il rapporto “Packaging plastics in the circular economy” nel quale avverte che «Gli attuali sforzi per risolvere la crisi della plastica sono inefficaci e fuorvianti. I responsabili politici e l’industria devono affrontare i conflitti all’interno dell’intero sistema, dalla produzione alla fine del ciclo di vita».
Secondo Michael Norton dell’EASAC, «Ridurre lo scarico di milioni di tonnellate di rifiuti di plastica negli ambienti marini, terrestri e di acqua dolce è incompatibile con il finanziamento della continua crescita dell’utilizzo della plastica. L’ultimo rapporto dell’EASAC dimostra che sono necessarie riforme fondamentali e sistemiche lungo l’intera catena di valore, al fine di rallentare e invertire i danni all’ambiente, alla biodiversità e, in definitiva, i rischi per la salute umana».
Le Accademie europee della scienza ricordano che «Le materie plastiche sono letteralmente ovunque. Dagli anni ’60 la produzione globale di plastica è aumentata da 1,5 milioni a quasi 400 milioni di tonnellate all’anno» e Norton aggiunge che «Le macro e le microplastiche sono diffuse sulla terra, nei mari e si trovano persino nell’aria. Per molte specie, le materie plastiche sono mortali, a causa dell’impigliamento e dell’ingestione, mentre le microplastiche vengono trasmesse attraverso la catena alimentare. Nella storia dell’umanità, il XXI secolo potrebbe in realtà essere ricordato come l’”età della plastica”. Non mettiamo in discussione il ruolo essenziale e i benefici della plastica per il nostro stile di vita. Ma l’avvertimento del nostro rapporto non è una distopia da attivisti ambientali. E’ scienza».
Il rapporto evidenzia che «I meccanismi volontari e di mercato non sono sufficienti per affrontare il problema» e secondo Norton «I legislatori europei dovrebbero adottare regole e incentivi per accelerare il passaggio a un’economia circolare dei rifiuti di plastica. Dobbiamo riutilizzare i prodotti e gli imballaggi in plastica, migliorare drasticamente il nostro riciclaggio e soprattutto guardare che non vengono i rifiuti non vengano gettati nell’ambiente».
Ma il rapporto delle Academies chiarisce che «Il banking on growth non è un’opzione, anche perché il passaggio a molti cosiddetti “bio-materiali” non può essere giustificato neppure da motivi di risorse o ambientali». Per Norton «Possono fuorviare i consumatori creando una falsa immagine di sostenibilità e rischiando quindi di prolungare la mentalità dell’usa e getta».
Si tratta della prima volta in assoluto che i principali scienziati delle National Academies of Science di 28 Paesi europei si sono riuniti per dare uno sguardo approfondito all’intera catena del valore delle materie plastiche. Sulla base delle loro scoperte, gli scienziati dell’EASAC hanno pubblicato 7 raccomandazioni su come trasformare il sistema destinate ai policymakers dell’Ue. Eccole:
Sette raccomandazioni ai legislatori europei 
1 Divieto di esportare rifiuti di plastica. Oggi, la maggior parte dei rifiuti di plastica dell’Ue non viene riciclata in Europa. Enormi quantità di plastica contaminata e difficile da riciclare vengono spedite fuori dall’Europa, finendo spesso in fabbriche illegali e/o venendo disperse nell’ambiente locale e infine negli oceani. Annemiek Verrips dell’Accademia olandese delle scienze ha detto che «L’Europa dovrebbe gestire i propri rifiuti e non scaricarli su altri meno in grado di gestirli. Il trattamento dei rifiuti di plastica in Europa è migliore sia dal punto di vista ambientale che etico, anche se ne dobbiamo incenerire una parte negli impianti di termovalorizzazione».
2 Adottare il target zero plastic in discarica, ridurre al minimo i consumi e l’utilizzo del monouso. L’EASAC sollecita la Commissione europea a rendere prioritaria l’adozione di un obiettivo di zero rifiuti di plastica in discarica, in linea con lo sviluppo di un’economia circolare per la plastica nell’Ue. Gli scienziati raccomandano inoltre di rendere la riduzione dei consumi un obiettivo esplicito del prossimo pacchetto “La plastica nell’economia circolare”. Le Verrips spiega che «Un’importante misura politica per ridurre l’utilizzo del monouso è quella di estendere gli schemi di rimpatrio diretto a una più ampia gamma di contenitori e bevande monouso».
3 Estendere la responsabilità dei produttori. L’EASAC chiede inoltre ai responsabili politici di assicurarsi che il principio “chi inquina paga” si applichi ai produttori e ai rivenditori di materie plastiche. Secondo Gaetano Guerra dell’Accademia italiana delle scienze, «L’Europa deve applicare ambiziose tasse di responsabilità estendendole ai grandi produttori di packaging. Il sistema dovrebbe includere t rilevanti riduzioni fiscali per le materie plastiche riciclate, costringendo così a progettare scelte volte alla riciclabilità». Le tariffe ecomodulate devono tener conto anche dei criteri di design del prodotto relativi al loro utilizzo a fine vita e agli impatti ambientali quali tossicità, durata, riutilizzabilità, riparabilità e riciclabilità/compostabilità. Insomma tutto il contrario della scriteriata battaglia populista contro la “plastic tax” messa in piedi in Italia da Matteo Salvini e Giorgia Meloni con il sostegno di quel che rimane di Forza Italia.
4 Fine delle fuorvianti alternative bio-based. Allo stato attuale, gli scienziati vedono un potenziale molto limitato per la plastica biodegradabile. Anne-Christine Albertsson dell’Accademia svedese delle scienza osserva che «L’obiettivo ideale di una plastica che si decompone naturalmente nell’ambiente rimane sfuggente poiché la maggior parte delle applicazioni di materie plastiche richiede durabilità. È una premessa di base che un materiale che può degradare nell’ambiente non dovrebbe degradarsi durante la sua durata. Esistono solo un numero limitato di prodotti in grado di soddisfare i test di biodegradazione nell’ambiente marino e anche quelli mantengono la loro integrità per mesi, durante i quali permangono i rischi di impigliamento e ingestione. Inoltre, “bio” non equivale a un ridotto impatto ambientale poiché le materie prime alternative ai combustibili fossili possono essere associate a elevate emissioni di gas serra, alla concorrenza per i terreni per l’alimentazione o alla promozione del cambiamento nell’uso del suolo». Attila Varga dell’Accademia delle scienze ungherese aggiunge: «Oggi i consumatori vengono spesso fuorviati, anche per l’attuale diversità dei sistemi di etichettatura. Abbiamo bisogno di un sistema di etichettatura europeo obbligatorio e uniforme relativo alla riciclabilità effettiva piuttosto che teorica».
5 Tecnologia avanzata di riciclaggio e ritrattamento. Per gran parte del flusso di rifiuti, un riciclaggio efficace è eccezionalmente difficile e occorre sviluppare una gamma di opzioni per estrarre valore dagli attuali rifiuti di plastica misti a valore basso o negativo. Se, come raccomanda l’EASAC, le esportazioni dall’Ue e le discariche devono essere fermate, è essenziale sviluppare sistemi di riciclaggio integrati in grado di gestire tutti i rifiuti di plastica. Per Norton «Abbiamo bisogno di una chiara gerarchia nel riciclaggio: il riciclaggio a circuito chiuso, vale a dire il riciclaggio per l’utilizzo nello stesso prodotto,caratterizzato dal riciclaggio delle bottiglie in PET in bottiglie in PET, deve essere al primo posto, mentre il recupero di energia dovrebbe essere l’ultima risorsa dopo che si sono esaurite opzioni migliori come il circuito aperto, il riciclaggio per l’uso in un altro prodotto e il riciclaggio molecolare».
6 Limitare gli additivi e i tipi di resine per migliorare la riciclabilità. Finora, molti produttori e trasformatori nel settore delle materie plastiche non hanno mostrato abbastanza interesse per ciò che accade dopo l’utilizzo dei loro prodotti. Il rapporto rileva che la fattibilità tecnica ed economica del riciclaggio sarebbe notevolmente aiutata riducendo l’uso di additivi talvolta persino tossici e semplificando il numero di polimeri che possono essere utilizzati per applicazioni specifiche, ad esempio in applicazioni di grande volume per i polimeri facilmente riciclabili come PET e PE. I recenti progressi tecnologici stanno permettendo che anche l’imballaggio multistrato composto da materiali diversi (e quindi molto difficili da riciclare) sia sostituito da imballaggi multistrato costituiti dalla stessa resina, in modo che possa essere riciclato.
7 Regolamenti dei prezzi e quota per il contenuto riciclato. La materia prima di plastica vergine è troppo economica. Il costo della plastica non include i costi per l’ambiente e delle compagnie del petrolio o gas originarie fino ai rifiuti che finiscono sulla terra o sull’oceano. Non includere i costi ambientali è un fallimento del mercato e un ostacolo fondamentale a una maggiore domanda di materiali riciclati. Secondo il rapporto, questo va a sostegno delle misure in discussione in alcuni Stati membri e a livello europeo per introdurre una plastics tax o per richiedere un contenuto minimo di materiale riciclato. Insomma le European Accademies non sono per niente d’accordo con gli “scienziati” Salvini, Meloni e Brunetta. Al contrario, l’EASAC sottolinea che «Il prezzo è anche il segnale più importante per i consumatori per cambiare rapidamente comportamento». Ma la Varga conclude: «Tuttavia, ci sono chiari limiti nella misura in cui ogni iniziativa può essere efficace solo basandosi su decisioni dei consumatori motivate individualmente. Ecco perché crediamo che i responsabili politici debbano adottare rapidamente un quadro regolamentare e finanziario coerente».
Cosa che l’ultima legge finanziaria italiana non è certo riuscita a fare cedendo alle pressioni anti-ambientaliste e anti-innovazione del centro-destra, di una parte della maggioranza e di settori di Confindustria.
fonte: www.greenreport.it

Dissesto idrogeologico in Italia, i dati nel Rapporto Ispra







Ogni due anni l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale presenta il Rapporto nazionale sulla situazione del dissesto idrogeologico nel Paese. Gli ultimi dati disponibili sono quelli presentati alla Camera dei deputati nel luglio del 2018, secondo il quale è a rischio il 91% dei comuni italiani (88% nel 2015) ed oltre 3 milioni di nuclei familiari risiedono in queste aree ad alta vulnerabilità.


Complessivamente, il 16,6% del territorio nazionale è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni (50 mila km2). Quasi il 4% degli edifici italiani (oltre 550 mila) si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più del 9% (oltre 1 milione) in zone alluvionabili nello scenario medio.


Il rapporto Ispra sul dissesto idrogeologico in Italia


mappa delle aree a rischio frane
mappa delle aree a rischio alluvioni
rapporto sul disseto idrogeologico

fonte: http://www.snpambiente.it/