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Confronto costi di gestione Rifiuti Urbani Emilia-Romagna 2017-2018


In tutti i Comuni regionali il Porta a Porta con Tariffa Puntuale risulta avere il minor costo sia per abitante residente che equivalente

Confronto costi di gestione Rifiuti Urbani Emilia-Romagna 2017-2018

fonte: https://rifiutizeroer.blogspot.com

Rifiuti, la raccolta differenziata porta a porta costa oltre il doppio rispetto a quella stradale

In totale i costi operativi diretti sono passati da 2,6 miliardi di euro del 2007 a 3,4 miliardi di euro nel 2016























Tenere pulita casa propria costa, e lo stesso vale per una città: a maggior ragione se le operazioni di “pulizia” si fanno via via più articolate. Lo studio annuale sulla raccolta differenziata italiana sviluppato da Utilitalia (la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas) in collaborazione con Bain & Company Italy dà un’immagine precisa di questi costi: da un lato la raccolta differenziata per la prima volta in Italia ha superato (nel 2016) il 50% del totale della produzione rifiuti, con un incremento di quasi 4 milioni di tonnellate negli ultimi 5 anni. Dall’altro lato, a fronte di questo incremento i costi operativi diretti della raccolta sono passati da 2,6 miliardi di euro del 2007 a 3,4 miliardi di euro nel 2016, per un valore medio unitario per singola tonnellata che oggi ammonta a 126 euro a tonnellata. E se il sistema di raccolta stradale rappresenta ancora il 62% dei volumi, la modalità porta a porta è ormai al 38%, con un aumento del 12% dal 2007 ad oggi.

Com’è collegato questo andamento con quello dei costi? L’aumento della raccolta differenziata porta a porta «è particolarmente rilevante – ricapitolano da Utilitalia – per comprendere le dinamiche di evoluzione dei costi. Questo sistema di raccolta infatti si conferma molto più oneroso rispetto a quello stradale: il porta-a-porta si attesta a 190 euro a tonnellata contro i 74 euro a tonnellata dello stradale (ovvero la raccolta differenziata da campane e cassonetti filo strada, ndr). Il costo medio della raccolta differenziata è di 126 euro per tonnellata. Si tratta di un valore che cambia molto a seconda delle diverse categorie merceologiche: si passa dai 321 euro della plastica (qui è disponibile l’approfondimento condotto l’anno scorso su questa frazione merceologica, ndr) ai 191 della carta, dai 148 della frazione organica ai 90 del rifiuto residuo». Non è una sorpresa: il porta a porta abbisogna di maggiori mezzi e di un più ampio numero di lavoratori (creando dunque occupazione), che naturalmente vanno pagati. A sorprendere sono piuttosto le promesse di molti amministratori pubblici, che promettono al contempo elevate percentuali di raccolta differenziata, magari da raggiungersi col 100% di raccolta porta a porta, e Tari in calo per tutti.

Secondo quanto riporta l’analisi, in ogni caso «l’incremento dei costi è stato mantenuto a livelli inferiori rispetto ad una loro evoluzione inerziale, con un efficientamento complessivo a livello di sistema superiore ai 400 milioni di euro all’anno». Sono gli obiettivi ambientali che si fanno – giustamente – di anno in anno più sfidanti: il nuovo pacchetto normativo Ue sull’economia circolare che entrerà in vigore dal 4 luglio impone ad esempio che entro il 31 dicembre 2025 almeno il 65% in peso dei rifiuti da imballaggio debba essere riciclato (riciclato e non differenziato, il primo è il fine mentre la raccolta differenziata porta a porta o meno è un mezzo per raggiungerlo). Uno sforzo comune che non fa bene “solo” all’ambiente ma anche alla nostra economia: come ricorda oggi infatti Paola Ficco sul Sole 24 Ore, grazie all’applicazione dell’intero pacchetto normativo, secondo «la Commissione europea nel 2025 il risparmio di materie prime per l’industria europea potrebbe essere di circa 400 miliardi di euro (il 14% a parità di produzione) e 12 miliardi di euro per l’Italia».

Per raggiungere questi guadagni la collettività deve però sopportare alcuni costi, come nel caso della Tari con cui si finanziano i servizi di igiene urbana. E il rapporto Utilitalia ne dà ampio conto: il campione nello studio è pari a oltre 180 Comuni, rappresentativi del 29% del totale dei rifiuti urbani prodotti, con una copertura geografica che va da nord a sud del Paese.

Proprio partendo da questo ampio spettro di dati, il rapporto evidenzia anche una significativa variabilità dei costi sul territorio, con differenze «che possono arrivare anche al 300% a seconda della diversità del contesto – per esempio raccolte più onerose nei grandi centri urbani rispetto ai piccoli Comuni – e del tipo di modelli organizzativi. Guardando alle filiere del trattamento, invece, emerge che solo il 30% del totale dei flussi sono avviati, come prima destinazione, in impianti di proprietà delle stesse aziende che effettuano la raccolta, con un 70% destinato in impianti di terzi».

Perché lo scopo della raccolta differenziata – che sia stradale o porta a porta – è sempre e solo uno: provare a raccogliere i rifiuti che produciamo in categorie omogenee, di qualità sufficientemente elevata per poi avviarle in primis a riciclo. E se non esiste un metodo di raccolta in assoluto migliore rispetto a un altro, dipendendo fortemente dal contesto del territorio locale, è sempre vero che non ha senso fare la raccolta differenziata senza poi re-immettere sul mercato come materie prime seconde i rifiuti raccolti a fronte di costi elevati. Il che significa anche, naturalmente, dotarsi degli impianti industriali (di selezione, di riciclo, di recupero energetico e di smaltimento finale) per gestire questi flussi.

«C’è un crescente impegno delle imprese per il miglioramento qualitativo e quantitativo della raccolta differenziata, per la sostenibilità ambientale – commenta al proposito Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – per la piena attuazione dei principi dell’economia circolare e per la riduzione delle frazioni non utilmente riciclabili. I risultati sono importanti soprattutto proprio nell’ottica del Pacchetto dell’economa circolare che indica target ambiziosi da raggiungere non soltanto con una buona raccolta differenziata ma anche grazie a un adeguato sistema di impianti per il riciclo e recupero. È per questo che continua a preoccupare l’insufficiente dotazione di impianti in alcune aree del Paese, in particolare per la frazione organica».

fonte: www.greenreport.it

GREEN BOOK 2018: I dati sulla gestione dei rifiuti urbani in Italia

























La gestione costa di più dove il servizio funziona meno.

Un paese diviso in due, nella raccolta differenziata: il nord con una media del 64% e quasi tutte le province sopra il 50%, mentre il sud con situazioni fortemente arretrate non raggiunge la media del 38%. Per i rifiuti rimane un forte squilibrio sugli impianti soprattutto in relazione ai target europei: un settore che avrebbe bisogno di investimenti per almeno 4 miliardi di euro.

Da una mappatura degli operatori emerge una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al centro-nord e una presenza residuale al sud (al 33%).

Nel Mezzogiorno si ricorre in modo preponderante al trattamento in discarica (62%) mentre al Nord il 69% dei rifiuti è avviato a trattamento negli impianti di recupero energetico.

Ed è proprio dove il servizio è peggiore che la spesa media annuale per famiglia è più elevata.

Questa la fotografia del settore rifiuti urbani scattata dal GREEN BOOK 2018, realizzato per UTILITALIA dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti e presentato oggi a Roma al Tempio di Adriano

“Non si può non mettere in evidenza l’eterogeneità che caratterizza la situazione nazionale. Significative differenze anche sul livello qualitativo e sui costi del servizio, con il paradosso - osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini - che si registrano costi maggiori là dove qualità ed efficacia del servizio sono invece inferiori. Dipende dal livello di industrializzazione e dalla presenza o meno di imprese strutturate. Il via libera del Parlamento Europeo al pacchetto di misure sull’economia circolare, comporteràun’evoluzione nell’organizzazione dei servizi e delle imprese, ma c’è molta attesa anche dall’avvio concreto della regolazione sul settore rifiuti da parte dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA)”

“Utilitalia auspica che con il lavoro del regolatore – afferma Brandolini - potremo giungere gradualmente al superamento della legislazione concorrente tra Stato e Regioni, accelerare il riassetto della governance, favorire il superamento della frammentazione, e accelerare il percorso verso l’adozione di una tariffa corrispettiva, capace di commisurare il costo alla quantità e alla qualità del servizio, nel rispetto del principio europeo ‘chi inquina paga’”.

"Il Green Book scatta la fotografia del settore rifiuti all’avvio della regolazione di ARERA- rileva Valeria Garotta, direttore della Fondazione Utilitatis - I dati cristallizzano il mancato compimento del disegno normativo secondo cui il ciclo integrato dei rifiuti deve essere organizzato per ambiti territoriali di dimensioni adeguate: dal permanere dell’inoperatività di alcuni enti di governo d’ambito, all’elevata frammentazione gestionale; dagli squilibri territoriali nell’assetto impiantistico, all’elevato numero di gare bandite per singoli comuni e brevi durate. L’auspicio è che la prossima edizione del rapporto possa catturare importanti cambiamenti, messi in moto dall’intervento di ARERA. Inoltre, rispetto alle precedenti edizioni, il Green Book si arricchisce di una mappatura puntuale dei gestori nei singoli comuni e di un focus sui grandi centri urbani”.

PRODUZIONE E RACCOLTA DIFFERENZIATA

La produzione dei rifiuti prodotti in Italia ha ripreso a crescere nel 2016, dopo alcuni anni di stabilizzazione: l’incremento è stato del 2% rispetto all’anno precedente, soprattutto per via della ripresa economica.

La raccolta differenziata ha raggiunto il 52,5% nel 2016, anche se con molte differenze tra aree del Paese: il nord arriva al 64%, il centro al 48,6% e il sud al 37,6%.

Per quanto riguarda la riforma dell’assetto organizzativo del servizio di igiene urbana, sono oggi presenti 57 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), con una riduzione del 55% rispetto ai 129 ATO del 2007; prevalgono gli Ambiti regionali anche se ci sono ATO con dimensione che varia dalla scala regionale a quella sub-provinciale.

SPESA PER FAMIGLIA E GRANDI CITTA'

Dall’analisi sulle tariffe per il 2017, su una popolazione complessiva di oltre 18 milioni di abitanti nei comuni capoluogo, una famiglia tipo (3 persone che vivono in 100 metri quadri) nel 2017 ha speso mediamente 227 euro in un comune sotto i 50.000 abitanti e 334 euro in un comune con popolazione superiore a 200.000 abitanti.

In media sempre nel 2017 al nord la spesa è stata di 271 euro, di 353 al centro e 363 al sud.

Il paradosso è nella disomogeneità del servizio nelle diverse aree del Paese (dalla raccolta differenziata alla presenza di impianti fino all’intera filiera dei ciclo): i costi che sono più alti proprio dove la qualità è peggiore. Nel 2017 si registra un valore medio del costo per abitante di 232 euro, con punte minime di 155 e massime di 366.

IMPIANTI

Dalla mappatura degli operatori, sia per il servizio di raccolta che per la gestione degli impianti, emerge una situazione molto frammentata, con una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al centro-nord e una presenza residuale al sud (dove il 33% degli abitanti è servito da aziende pubbliche o miste).

Quanto agli impianti e alla loro localizzazione, quelli di trattamento integrato aerobico e anaerobico sono concentrati al nord dove viene gestito il 98% della frazione organica da raccolta differenziata; gli impianti di compostaggio della stessa tipologia di rifiuti sono invece in prevalenza al sud (il 49% trattata in impianti a partecipazione pubblica e il 51% privati). Gli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) sono più diffusi al sud (con il 49% del trattamento).

Per lo smaltimento in discarica il Sud supera il resto del Paese: con il 62% del rifiuto urbano residuo a livello nazionale smaltito in questo modo. La situazione si capovolge sugli impianti di recupero energetico: concentrati soprattutto al nord dove viene trattato il 69%, il 12% al centro e il 19% al sud.

DATI ECONOMICI

Nel 2016, dall’analisi dei 575 gestori individuati, il settore dell’igiene urbana ha registrato oltre 12 miliardi di fatturato, occupando 90.433 addetti. Il 75% delle aziende è rappresentato da monoutility legate al settore ambiente, il restante 25% da aziende multiutility. Gli operatori di piccole dimensioni (con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro) rappresentano il 55% del totale anche se contribuiscono a solo il 10% del fatturato nazionale. Il 37% del fatturato di settore è generato dal 3% di operatori con un volume d’affari superiore ai 100 milioni di euro. Gli operatori della categoria ‘Raccolta e Ciclo Integrato’(cioè che gestiscono tutto il processo dalla produzione alla fine del rifiuto) rappresentano il 73% del totale, registrano il 73 % del fatturato e occupano l’89% degli addetti; la categoria ‘Gestione Impianti’ comprende il restante 27% degli operatori, genera il 27% del fatturato complessivo ed impiega l’11% della forza lavoro. Dal punto di vista dell’assetto proprietario il 34% delle aziende ha natura completamente privata e il 66% risulta partecipato dal pubblico.

INVESTIMENTI

La stima del fabbisogno nazionale di investimenti in raccolta differenziata e nuovi impianti – in base a un’analisi su un panel di gestori a partecipazione pubblica - viene valutata in circa 4 miliardi di euro.Gli investimenti complessivamente realizzati dai gestori del campione nell’arco temporale 2012-2017 ammontano a 1,4 miliardi di euro, pari a 82,5 euro per abitante in sei anni (14 euro a testa all’anno). Il 46% degli investimenti è destinato alla raccolta e allo spazzamento, mentre il 54% agli impianti di selezione, avvio a recupero e smaltimento. Nel 2017 il trend degli investimenti in raccolta sono aumentati del 73% rispetto al 2012. Sul versante degli impianti, c’è stato un netto calo degli investimenti in impianti di incenerimento (meno 55% rispetto al 2012); in controtendenza rispetto al recupero energetico risultano gli investimenti in discarica che nel 2017 crescono rispetto al 2012 di oltre il 200%.

Gli investimenti in impianti di selezione e valorizzazione delle frazioni differenziate passano da 9 milioni di euro nel 2012 a circa 18 milioni di euro nel 2017.

Infine, mentre gli investimenti in compostaggio e Tmb hanno un andamento crescente, quelli in digestione anaerobica sono fermi fino al 2016, per l’incertezza sul meccanismo di incentivazione. Rispetto agli investimenti realizzati sulla fase impiantistica, solo il 39% ha riguardato la realizzazione di nuovi impianti; mentre la voce più importante è sugli interventi di manutenzione straordinaria e revamping (46%), seguita dall’ampliamento di impianti esistenti (15%).

Dai Piani di investimento dei gestori – parte dell’analisi – emerge un incremento complessivo di circa il 60% del volume di investimenti pianificati tra il 2018 e il 2021, rispetto a quelli realizzati nei quattro anni precedenti.

fonte: https://www.recyclind.it/

Folli: 'Potenziare Banca dati ANCI-CONAI in modo da rendere fruibili tutti i dati disponibili'

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Gabriele Folli, Assessore Ambiente e Mobilità Comune di Parma e Membro della Commissione Ambiente ANCI 














Lo scorso martedì 5 aprile, nell’ambito del convegno organizzato da Legambiente e Corepla a Roma presso il Centro Studi Americani su raccolta plastica ed economia circolare, ha avuto luogo una tavola rotonda che ha messo insieme vari livelli di competenze e responsabilità nel ciclo di gestione dei materiali post-consumo.
Alla tavola rotonda hanno partecipato il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, il presidente della Commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci, il vicepresidente di Anci Federico Pizzarotti, il presidente Conai Roberto De Santis, il presidente Unionplast Giorgio Quagliuolo, il presidente della fondazione per lo sviluppo sostenibile Edo Ronchi e la presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni.
Uno dei temi di dibattito ricorrente (a volte anche acceso) tra ANCI e CONAI è quello sulla congruità dei corrispettivi erogati ai Comuni che con il contributo ambientale (CAC) pagato dai produttori di imballaggi dovrebbe sostenere i maggiori oneri della raccolta differenziata.
Spesso su questo argomento vi sono posizioni diametralmente opposte che vedono i Comuni lamentare insufficienza di risorse per avviare politiche serie di raccolta differenziata che permettano di fare il salto di qualità e rispettare gli obiettivi europei ed i consorzi degli imballaggi che snocciolano cifre importanti a sostegno della tesi che il sistema si regge grazie a loro.
Personalmente non ho la verità in tasca ma credo che per andare oltre la contrapposizione che c’è stata fino ad oggi basti semplicemente giocare a carte scoperte mettendo a sistema e fattor comune tutte quelle informazioni che derivano dai piani finanziari dei comuni e dai bilanci dei consorzi che ad oggi non sono facilmente fruibili in un contesto che permetta analisi comparative almeno a tutti gli attori del settore.
Facciamo dunque noi il primo passo mettendo in chiaro le informazioni che ben conosciamo avendo lavorato 5 anni a Parma per lo sviluppo di un sistema di raccolta domiciliare con tariffazione puntuale che ci ha permesso di raggiungere percentuali di raccolta differenziata che ormai sfiorano l’80% con una drastica riduzione del rifiuto residuo pro capite ormai prossimo a scendere sotto i 100 kg/abitante/anno, risultati questi di tutto rilievo perchè ottenuti in una città che conta quasi 200.000 abitanti con importanti flussi turistici, presenza di universitari fuori sede ed attività commerciali ed industriali .

Analizzando dunque questa prima tabella (in alto NdA) derivata dal Piano Economico Finanziario del 2016 del Comune di Parma possiamo vedere come i costi della raccolta differenziata del multimateriale leggero (Plastica e barattolame raccolti settimanalmente con sacco a perdere da 80 lt) sono poco più di 3,4 milioni di Euro (Prezziario Atersir per la provincia di Parma)
 
Ipotizziamo quindi di trattare lo stesso materiale (circa 7.700 tonnellate di plastica e barattolame) come se fosse indifferenziato con i conseguenti costi di raccolta e smaltimento e vediamo in tabella 2 come il costo sarebbe di poco meno di 1,5 milioni con un differenziale di maggiori oneri di circa 2 milioni di Euro rispetto all’attuale situazione.
Ad oggi i corrispettivi ricevuti dal Comune di Parma per questi flussi di materiali dai consorzi Corepla e Cial, secondo quanto previsto dal prezzario Atersir, ammontano a poco più di 800.000 Euro (tabella 3) con una copertura dei maggiori oneri che arriva al 42% (tabella 4) e quindi di molto inferiore a quanto prevede l’accordo ANCI-CONAI. 
Ovviamente si tratta di un’analisi parziale riferita ad un caso singolo e quindi suscettibile di critiche ed obiezioni ma proprio perchè la completezza delle informazioni potrebbe dare un contributo importante alla discussione ritengo fondamentale mettere in chiaro e disponibili a tutti i soggetti interessati i dati dei comuni e dei consorzi.
Un importante contributo in questo senso lo può dare una spinta in avanti all’evoluzione della Banca Dati ANCI-CONAI se potenziata in modo da rendere fruibili, interpretabili ed analizzabili tutte le informazioni disponibili. Penso ad una banca dati che non si limiti all’emissione di un report annuale ma che abbia la forma di database online con tutti i costi, ricavi ed i dati di raccolta dei singoli comuni consultabili senza vincoli.
Sarebbe un passo importante verso la trasparenza di un sistema centrale per la crescita delle comunità locali e del paese intero che potrebbe essere gestito con il contributo di un organo terzo super partes che fornisca garanzie di imparzialità a tutti i soggetti coinvolti.
Gabriele Folli
Assessore Ambiente e Mobilità Comune di Parma
Membro della Commissione Ambiente ANCI

fonte: www.ecodallecitta.it

Analisi dei costi e modelli della raccolta differenziata multimateriale in Italia in uno studio promosso da Utilitalia e Bain

Realizzato da BAIN per conto di UTILITALIA, l'analisi entra nel merito della presenza e dei costi delle raccolte congiunte delle diverse frazioni di rifiuto da imballaggio (carta e cartone, vetro, plastica e metalli) combinate fra di loro con diverse modalità














Come è meglio raccogliere il vetro, la plastica, la carta, il metallo e le frazioni umide dei nostri rifiuti? Come cambia il costo del servizio di raccolta se basato su un unico cassonetto stradale, o anche sulle campane per il vetro e sui cassonetti per la carta o il ferro? È più utile la raccolta monomateriale, che segmenta ogni tipologia di rifiuto o quella multimateriale che accorpa nello stesso cassonetto vetro-plastica-metalli oppure carta-vetro-plastica-metalli? Quale è la scelta migliore perché un Comune raggiunga gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla legge?

La scelta degli enti locali e il lavoro delle aziende di igiene urbana può presentare scenari totalmente differenti, che vengono studiati da alcuni anni e lo scenario è tracciato dai risultati dello studio ‘Analisi Costi Raccolta Differenziata Multimateriale’, promosso da Utilitalia – la federazione delle imprese dei servizi ambientali, idrici ed energetici – e realizzato da Bain, su un campione molto rappresentativo del Paese, pari al 24% della popolazione italiana.

Dopo l’analisi che nel 2013 Utilitalia e Bain hanno presentato sui costi della Raccolta Monomateriale dei rifiuti da imballaggi e quella del 2015 sulla Raccolta Differenziata della frazione organica (con un’appendice sulla raccolta indifferenziata) nel 2017 è la volta di uno studio sui diversi costi sostenuti dalle imprese sulla base delle diverse combinazioni e modalità di raccolta (stradale e/o domiciliare).

La fotografia scattata dalla ricerca presentata a Roma offre alcuni dati su composizione, modelli, sistemi e analisi dei costi della raccolta differenziata, facendo anche una comparazione tra ritiro ‘stradale’ e domiciliare. Le imprese che utilizzano almeno una modalità di raccolta multimateriale sono il 94%. I modelli di raccolta sono principalmente cinque, divisi in ‘leggero’ (plastica-metalli e carta-plasticametalli) e ‘pesante’ (vetro-metalli, vetro-plastica-metalli, carta-vetro-plastica-metalli). Il modello ‘leggero’ incide per il 47%, quello ‘pesante’ per il 53%. In tutti e cinque i modelli è presente la raccolta di metalli. Quelli più diffusi sono: plastica-metalli (42%), vetro-plastica-metalli (25%), vetro-metalli (23%). Guardando alla categoria di rifiuto, per il vetro il modello più diffuso è quello ‘vetro-metalli’ (23%), per la plastica è ‘plastica-metalli’ (62%), per i metalli è ‘plastica-metalli (36%).

Il ‘porta a porta’ vince, sia pur di poco, con il 51% sulla raccolta stradale (49%). Nello specifico, quando il modello è il multimateriale ‘leggero’ prevale il ‘porta a porta’ con il 56%; quando invece il modello è ‘pesante’ la raccolta stradale arriva al 60%. Oltre il 30% dei rifiuti della differenziata – spiega il documento - sono raccolti con modalità multimateriale: circa 1,9 milioni di tonnellate all’anno (6% della produzione totale di rifiuti urbani) su un totale di oltre 6,3 milioni di tonnellate.

Sono oltre 119 mila le tonnellate di carta e cartone (pari al 4% del totale) raccolte; più di 839 mila quelle di vetro (48%); quasi 819 mila di plastica (70%); oltre 132 mila di metalli (51% del totale). La percentuale sale al 56% escludendo dal computo carta e cartone. Perciò considerando soltanto plastica, vetro e metalli sono quasi 1,8 milioni le tonnellate raccolte con modalità multimateriale su un totale di quasi 3,2 milioni di tonnellate.

“Non c’è un unico modo di fare le cose – osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – ci sono delle variabili che cambiano in base alle caratteristiche del territorio, della popolazione, della stagionalità. Le aziende, in generale, sono attente a tutti i modelli che si stanno sviluppando perché soltanto da un’analisi comparata di dati effettivi, riscontrabili e statisticamente rappresentativi, si riescono a fare scelte di efficienza industriale e di riduzione dei costi di gestione”.

Il costo di raccolta del multimateriale in Italia è pari a 185 euro a tonnellata. In generale per la raccolta multimateriale il ‘porta a porta’ costa di più con una differenza che oscilla tra il 30 e il 40%. Costi maggiori che vengono riassorbiti però dal trattamento industriale successivo, che è naturalmente più basso quando concentrato su un'unica tipologia.

Guardando invece alla comparazione dei costi, emerge mediamente una maggiore convenienza della raccolta con il sistema multimateriale rispetto a quello monomateriale. La ricerca rileva anche come, a fronte di una maggiore efficienza, i valori di intercettazione della differenziata pro-capite siano mediamente più bassi.

fonte: www.ecodallecitta.it