Intervista a Federico Rossi, coautore del volume "Comunicare la
sostenibilità", esperto consulente aziendale nel campo della
comunicazione.

Continuando nel filone del confronto con esperienze e conoscenze di
esperti di vario genere nel campo della comunicazione, che ci hanno
portato ad intervistare, fra gli altri,
Ernesto Belisario e
Daniela Vellutino (trasparenza, opendata e dati ambientali),
Giampietro Vecchiato (comunicazione di crisi),
Francesca Maffini (emergenze ambientali e comunicazione),
Rosy Battaglia (giornalismo civico e data journalism),
Fabio Mariottini e
Giancarlo Naldi (le riviste del sistema agenziale),
Angelo Robotto e
Giancarlo Marchetti (diffondere l'informazione ambientale),
Stefano Tibaldi
(reportistica per la sostenibilità) con questo ed un successivo numero
affrontiamo la questione della comunicazione della sostenibilità, con
particolare attenzione al punto di vista delle imprese.
Abbiamo infatti proposto alcune domande a Federico Rossi e Maria Grazia Persico, coautori del volume "
Comunicare la sostenibilità", recentemente pubblicato per la Franco Angeli. In questo numero di ARPATnews presentiamo lintervista a
Federico Rossi, mentre nei prossimi giorni pubblicheremo quella a Maria Grazia Persico.
Nel
libro “Comunicare la sostenibilità”, che ha scritto insieme a Maria
Grazia Persico, individua la sostenibilità come una prospettiva
necessaria per le imprese, se intendono davvero rimanere competitive,
vuole spiegarci meglio questo concetto?
È inutile
negarlo, il vecchio paradigma economico basato sulla crescita tout-court
e sul conseguente sfruttamento indiscriminato delle risorse è giunto al
capolinea.
Nonostante la sostenibilità, oggi, rappresenti uno
degli argomenti più caldi sul fronte aziendale, si palesa ancora una
sostanziale confusione sia negli imprenditori sia nei manager su cosa
effettivamente sia e cosa possa rappresentare in termini di vantaggio
competitivo e di leva differenziale rispetto alla concorrenza, in un
mercato che oggi si caratterizza sempre più per dinamicità,
imprevedibilità, velocità e globalizzazione.
La sensibilità dei
consumatori verso i temi della sostenibilità è in forte crescita. Questi
non solo sono più informati e consapevoli ma inseriscono la
sostenibilità (del prodotto e dell’azienda) nell’insieme dei driver che
utilizzano per scegliere un prodotto.
Siamo di fronte a
un’evoluzione che sta cambiando le regole del gioco e che in tempi brevi
determinerà le condizioni minime per poter partecipare alla
competizione.
Solo chi sarà realmente sostenibile e sarà in grado di comunicarlo in modo chiaro, trasparente e puntuale, sopravviverà.
Vuole spiegarci meglio la sua idea di sostenibilità?
Ancora
troppe aziende ritengono che per essere sostenibili sia sufficiente
soddisfare parte del proprio fabbisogno energetico con l’installazione
di pannelli fotovoltaici sul tetto degli stabilimenti, ridurre lo spreco
di carta o spegnere le luci quando non servono.
Essere
sostenibili non è una dichiarazione di intenti da inserire in un company
profile, è una filosofia aziendale che taglia in modo profondo e
trasversale tutta la struttura e che parte dalla revisione in chiave
“green” (consumi energetici e idrici,
emissioni, rifiuti, utilizzo risorse, etc.) dei processi e dei prodotti.
Una revisione con forti basi scientifiche che deve essere misurata, validata e comunicata.
Una revisione che non deve essere limitata alla propria azienda ma deve
essere estesa a tutta la filiera: dalla culla alla tomba, come si usa
dire.
E proprio l’approccio ampliato a tutto il ciclo di vita e a
tutta la catena del valore (fortemente sostenuto anche a livello
normativo) rappresenta un punto chiave.
L’azienda non dovrà più
guardare solo dentro i propri stabilimenti o fermarsi alla “richiesta di
sostenibilità” del proprio cliente diretto ma dovrà assumere un punto
di vista molto più ampio.
Sarà sufficiente solo che un anello della
catena (basta pensare ai sempre più stringenti criteri “green”
richiesti dai buyer della grande distribuzione) faccia della
sostenibilità un elemento fondante delle proprie scelte e tutta la
filiera sarà chiamata ad adeguarsi.
In questo scenario la
sostenibilità diventa non solo un driver evolutivo dell’azienda ma
assurge al ruolo di indirizzo gestionale che, per essere realmente
differenziale deve essere supportato da un’adeguata strategia di
comunicazione.
Sostenibilità, però, non vuol dire solo ambiente;
vuol dire attenzione anche alla sfera sociale. Il tutto ovviamente con
massima attenzione agli equilibri economici.
La sostenibilità diventa così anche un cambio di paradigma nella produzione e distribuzione del valore.
Un
valore non più solo legato alla remunerazione degli azionisti ma
orientato alla distribuzione di un benessere diffuso che coinvolga tutti
gli stakeholders in un’ottica di sviluppo sostenibile anche dal punto
di vista etico.
Il tutto ricordando che la sostenibilità non
necessariamente richiede ingenti investimenti finanziari e non deve
essere per forza collegata a settori strettamente normati e
regolamentati.
Essere sostenibili richiede, in primis, la voglia
dell’azienda di rimettersi in gioco, di rileggere i propri processi, i
propri prodotti e più in generale il proprio modo di fare business sotto
una lente nuova. Una lente che porterà sempre di più a rispondere in
modo adeguato e puntuale a un’evoluzione ineluttabile del mercato.
Nel
libro, fra i diversi esempi portati ce n’è uno di particolare
interesse, quello di una acciaieria di Udine. Vuole sinteticamente
parlarcene?
Quello siderurgico è sicuramente uno dei settori produttivi in cui la problematica dell’
impatto ambientale
si è fatta sentire negli anni in maniera più evidente. Questo dovuto
anche ad alcuni eventi che sono arrivati a occupare le prime pagine dei
giornali.
Il settore, inoltre, presenta una legislazione molto
articolata e sempre più stringente sia a livello nazionale sia a livello
europeo e internazionale.
Il percorso di sostenibilità ABS
nasce, quindi, non solo per ottemperare ai quadri normativi di
riferimento ma per rispondere a un sentimento comune che vede nel
settore metallurgico uno dei business “grey” per antonomasia.
Proprio
per questo il progetto di sostenibilità non punta alla costruzione di
un’argomentazione di vendita ma al riposizionamento di un percepito del
settore in generale e al rafforzamento della reputazione aziendale.
I
destinatari principali dell’azione di comunicazione di sostenibilità
conseguente non sono i clienti, come potrebbe risultare naturale, ma la
collettività di riferimento e gli enti di controllo relativi.
ABS,
però, non ha limitato l’approccio di sostenibilità agli aspetti
ambientali ma ha esteso gli interventi anche alla sfera sociale
riservando particolare attenzione al clima organizzativo, al welfare
interno e alla sicurezza dei lavoratori e assicurando un supporto
diretto e concreto alle attività della comunità locale.
Negli
ultimi anni l’azienda ha investito oltre 50 milioni di euro per far sì
che tutti gli impianti possano garantire i più elevati standard
ambientali e di sicurezza; rispettando, e in molti casi anche
anticipando, le prescrizioni delle più severe normative nazionali e
internazionali.
L’obiettivo dell’azione di comunicazione è stato quello di aprirsi con trasparenza e coraggio all’esterno.
Un’acciaieria
non potrà mai essere a “impatto zero” ma allo stesso tempo è
inimmaginabile un mondo senza l’acciaio. L’impegno delle aziende del
comparto deve essere quello di intervenire e innovare il più possibile i
processi al fine di ridurre (nei limiti tecnicamente possibili) gli
impatti.
ABS lo ha fatto e ha posto questo aspetto tra i suoi indirizzi strategici.
Il
passo successivo era quello di farlo sapere all’esterno, parlando a un
pubblico diversificato sempre con l’obiettivo di far comprendere
l’impegno quotidiano dell’azienda su questo fronte.
Dal punto di vista della comunicazione, cosa cambia per una impresa che ha scelto la sostenibilità?
Tralasciando le attività di comunicazione che un’azienda o un ente
possono mettere in campo per creare (anche ex ante) una cultura e una
sensibilità verso la sostenibilità, l’elemento fondamentale da tenere
presente è che la comunicazione resta un’attività terminale, ovvero
un’attività che deve venire dopo una profonda attività di revisione dei
processi e dei prodotti in chiave sostenibile.
Anche quando punta
a creare un elemento differenziale con la concorrenza, la comunicazione
di sostenibilità raramente è persuasiva, ponendosi come obiettivo
l’informazione e il coinvolgimento del target e più in generale degli
stakeholders.
Il fine è la creazione di un trait-d’union tra gli
stakeholders stessi e l’impresa che punti a evidenziare quanto fatto da
quest’ultima sul piano della sostenibilità e quanto questo sia in linea
con le aspettative dei primi.
Deve puntare a rendere visibili e
facilmente comprensibili le strategie e le attività sviluppate affinché
il paradigma innovativo che vede un nuovo equilibrio tra impresa,
ambiente, sfera sociale e stakeholders possa concretizzarsi.
Questo
non vuol dire che la comunicazione di sostenibilità non possa contenere
elementi creativi forti, caratterizzanti e riconoscibili. Anzi. Proprio
perché il compito principale è “tradurre”, rendendo fruibile a un
pubblico vasto, disomogeneo e diversificato una tematica molto specifica
che affonda la sue radici in un substrato tecnico non immediatamente
comprensibile ai più, la comunicazione deve essere studiata in ogni
minimo dettaglio.
Una comunicazione di sostenibilità vincente è
quindi quella che, sfruttando appunto la forza della creatività, delle
idee e dei mezzi di comunicazione che coerentemente con il messaggio
vengono selezionati, riesce a trasferire messaggi corretti, veritieri,
attendibili, chiari, accurati, rilevanti e coerenti.
Solo in
questo modo la comunicazione di sostenibilità potrà aggiungere
all’obiettivo dell’informazione anche due obiettivi più strettamente
“commerciali” come la crescita del capitale reputazionale e la creazione
di un nuovo vantaggio competitivo.
Altro elemento da tenere ben
presente è che la comunicazione di sostenibilità deve parlare a tutto
l’universo degli stakeholders aziendali e non focalizzarsi solo sui
clienti.
L’impegno è quello quindi di riuscire a modulare i
messaggi in modo da declinare l’impegno (reale) di sostenibilità
aziendale in funzione delle aspettative e del livello di competenza dei
singoli portatori di interesse.
Dal suo punto di
vista di professionista della comunicazione, che lavora soprattutto nel
settore privato, cosa si aspetterebbe dalla comunicazione di una ARPA?
Senza
scendere nel dettaglio tecnico dei contenuti della comunicazione e
nelle dinamiche relazionali con i suoi referenti, un ente come ARPA può e
deve giocare un ruolo importante nella creazione di una sensibilità
ambientale a tutti i livelli.
Lo sforzo dovrà essere quello di
usare proprio la comunicazione per rendere fruibile a un pubblico sempre
più ampio e molto diversificato un insieme di tematiche spesso
complesse e specialistiche.
L’ARPA può già vantare una
credibilità e una competenza riconosciuta, dovrà essere capace di uscire
dai paradigmi tipici della comunicazione delle pubbliche
amministrazioni, ovvero una comunicazione che spesso guarda più
all’espletamento di un obbligo di legge che al reale trasferimento di
informazioni e all’apertura di un dialogo con i propri referenti.
Chiarezza e fruibilità dovranno essere gli aspetti da perseguire.
Così
facendo l’ARPA potrà diventare un soggetto importante non solo sul
fronte del controllo e del monitoraggio ma anche nell’ambito della
diffusione di una più ampia cultura della sostenibilità.
fonte: http://www.arpat.toscana.it